Dettagli Recensione
Top 50 Opinionisti - Guarda tutte le mie opinioni
Aggiornamento non richiesto
Presentato come una versione moderna del classico di George Orwell, "2084. La fine del mondo" aveva attirato la mia curiosità proprio quando avevo terminato la lettura di "1984" ed ero a caccia di suoi cloni. Dopo averlo lasciato per un bel po' in wishlist, l'ho infine recuperato all'usato e, a lettura ultimata, posso dirmi contenta che sia andata così: se lo avessi pagato a prezzo pieno, adesso sarei molto più contrariata.
Le vicende immaginate da Sansal sono ambientate in un lontano futuro in cui la gran parte del pianeta si trova sotto il controllo di uno Stato teocratico chiamato Abistan. Qui abita tra gli altri Ati -il nostro del tutto ininfluente protagonista- che, durante un periodo di ricovero in un sanatorio molto isolato, inizia ad interrogarsi sulle incongruenze nelle verità assolute imposte da Yölah e dal suo Delegato Abi. Ad esclusione dell'elemento religioso che va a sostituire con la fede l'amore per la Patria, questo mondo non è affatto diverso da quello orwelliano: ci sono comitati per sorvegliare la lealtà dei cittadini, ogni spostamento deve essere approvato dall'autorità, si premia chi denuncia i crimini altrui, ed il profeta Abi viene perfino identificato come Bigaye (una storpiatura di Big Eye, ossia il Grande Fratello che vigilava su Winston Smith) e rappresentato con un solo grande occhio nei manifesti propagandistici.
Anche l'abiling mostra delle similitudini nette e dichiarate con la neolingua, infatti entrambe mirano ad una semplificazione del lessico e vengono imposte come linguaggi universali. Pur essendo una sorta di derivato (o meglio, di seguito ideale) del futuro di Orwell, il world building di questo romanzo non pecca completamente di originalità: è interessante leggere della commistione tra la modernità degli elicotteri e la pochezza con cui vive la gente comune, come anche tra la realtà concreta e gli elementi folkloristici; a questo proposito, non mi sarebbe dispiaciuto vedere davvero i V, di cui nel testo si parla spesso senza però mostrarli mai in azione.
Questo forse è il primo difetto di questo titolo a palesarsi: tutto viene raccontato al lettore, ma (quasi) mai mostrato, tanto che i dialoghi si possono contare sulle dita di una mano. E per questo ogni relazione sembra artefatta e macchinosa, rendendo impossibile provare empatia per i personaggi; come posso credere che Ati si commuova per la sorte di Nas se nel testo non li vedo mai interagire realmente? Va da sé che questo problema si ripercuote anche sulla caratterizzazione dei protagonisti, poco più che abbozzati e con delle motivazioni imposte dall'alto anziché spontanee conseguenze della loro indole.
La prosa non è eccessivamente ostica, ma spesso si sofferma a spiegare più e più volte i medesimi concetti, mentre per contro da per certo che basti menzionare una sola volta il significato di una sigla incomprensibile per farla memorizzare a colpo sicuro al lettore. Ne consegue un nebuloso senso di confusione: grosso modo potrete capire cosa stia succedendo, ma probabilmente vi rimarrà sempre il dubbio su cosa sia l'Associazione libera dei Civici e in cosa si differenzi dai Credenti giustizieri, per esempio.
Problematiche a parte, credo che per un neofita del genere non sia una lettura pessima: magari io ho letto troppi romanzi distopici per farmi ancora stupire. Oltre ad alcune intuizioni interessanti sul world building, ci sono anche un paio di svolte non scontate sul finale e del potenziale nei personaggi di Toz e Ram; peccato che rimanga solo questo, un potenziale che non potrà mai esprimere il meglio di sé.
Indicazioni utili
- sì
- no