Dettagli Recensione
Chiare, fresche e dolci acque
I romanzi distopici in genere presentano un’umanità sopravvissuta a qualche cataclisma di varia natura, in genere provocato dagli stessi uomini, in scellerata autonomia, che riporta il pianeta e le comunità in una condizione declassata, retriva e regredita.
Questo accade a volte come esito di un conflitto mondiale, seguito da un olocausto nucleare, oppure in seguito ad un immane disastro ecologico, occorso per folle, malevolo, illecito abuso delle risorse naturali. Trattasi in ogni caso di eventi tali da proiettare i superstiti in un nuovo scenario sociale ed ambientale, drammatico per molti versi, perché necessariamente la realtà come la conosciamo appare stravolta da nuove priorità, si instaurano giocoforza nuove regole, sorgono spesso autoritarismi, tendono ad affermarsi valori e strutture non sempre lodevoli ed esemplari, anzi, quasi mai l’esperienza passata insegna a edificare un mondo nuovo a misura d’uomo, dove l’aggettivo nuovo dovrebbe intendersi nel senso di “buono”, migliore proprio in virtù dell’esperienza passata.
“Il Maestro della cascata” di Christoph Ransmayr non fa eccezione, qui a seguito di annosi conflitti armati l’umanità si è come dire frammentata, si è divisa in stati e staterelli, costantemente ostili tra loro, i continenti sono divenuti un gigantesco puzzle, sbrindellati in una miriade di cocci, piccole fazioni sempre in lotta tra di loro, e l’elemento essenziale, la ricchezza superstite del pianeta, è l’acqua. Infatti, oltre agli usi comuni quale elemento indispensabile alla vita, l’acqua è oramai l’unica risorsa energetica del pianeta. Terminate le risorse sfruttabili, abbandonate e improponibili quelle dannose, l’unico modo di fornire energia per gli usi civili e industriali, è l’acqua, che opportunamente incanalata su appositi percorsi, crea energia, sfruttando il principio delle dighe si creano bacini, chiuse, dislivelli, cadute, cascate per cui il movimento liquido viene convertito in moto, e da qui in energia buona a tutti gli usi. Ne consegue che coloro che sono in grado di padroneggiare l’elemento liquido, guidarne e regolarne il corso, la corrente, il deflusso, quindi gli ingegneri idrici, gli esperti del ramo, sono i nuovi sacerdoti, i potenti, i sapienti in grado di assicurare il proseguimento della civiltà, sono i nuovi maestri, letteralmente i maestri della cascata, e come tali a lungo andare assumono vesti e modi di onnipotenza.
Il protagonista del libro è esattamente questo, un ingegnere delle acque, che in virtù del suo potere e dei suoi privilegi, è il solo a poter percorrere impunemente il mondo in perenne conflitto, accolto ovunque con tutti gli onori grazie ai suoi indispensabili servizi. Ma non solo, egli è anche il figliolo di uno dei primi grandi nuovi padroni del pianeta, Il Maestro della cascata per antonomasia, che pare si sia tolto la vita proprio nelle acque affidate alla sua guida, al suo governo, alle sue manovre, forse per il rimorso di aver volutamente e gratuitamente provocato un naufragio con vittime, un pluriomicida, quindi, agendo sul sistema di chiuse e canali sotto la sua potestà, per un malinteso delirio di onnipotenza. In sintesi, il romanzo sembra snodarsi come il racconto in prima persona di una epopea familiare, una famiglia del nuovo mondo a prevalenza energetica acquatica, sorto sulle ceneri dell’originario e devastato pianeta di terraferma, quasi che il protagonista percorresse a ritroso, controcorrente, la storia della propria famiglia, dalla foce alla sorgente. Trattasi pertanto di un romanzo forte, con una scrittura altrettanto energica e vigorosa, e proprio per questo una lettura non facile. L’assenza quasi totale di dialoghi, la presenza di accurate descrizioni e di lunghi monologhi e pensieri sparsi alla rinfusa, quasi un “Ulisse” di Joyce alla massima potenza, rende il romanzo complesso, molteplice e multiforme. Non è un gran volume, non conta neanche duecento pagine, e però richiede concentrazione, attenzione, attenta riflessione, anche se talora non è proprio sufficientemente empatico da accattivarsi la simpatia del lettore. Non è un libro scritto male, tutt’altro, direi invece che è scritto fin troppo bene, e fittamente, ma è un libro parlato, narrato a ruota libera, autoriferito in velocità. Il romanzo non racconta, è il protagonista che si parla addosso, le acque protagoniste, sapientemente racchiuse, sono sullo sfondo, ma il maestro della cascata si comporta non come uno che sa dirigerne il corso per l’opportuno e proficuo salto, ma come se fosse il creatore stesso della cascata. Per cui la storia è involuta, si schiarisce nel finale che lo riscatta in toto, ma solo dopo essersi impegnato, non è quindi una lettura facile, da relax, ma ha una sua valenza, indiscutibile.
Forse per questo il romanzo, malgrado l’ottima idea originaria, sembra perdersi, confondersi.
Può piacere, ma anche risultare gravoso, difficile da leggere quanto è stato difficile da scrivere.
Ha un suo valore di percorso e di corrente, ma è fiume sotterraneo, ha le sue cattedrali, situate però in grotte sottomarine, non all’aperto, serve essere sub o speleologi, quindi, per carpirne appieno il valore. Talora il testo appare oscuro, contorto, spinoso, ma perché è chiaro e torbido allo stesso tempo, come sa essere l’acqua secondo l’habitat che percorre. Il romanzo, ed il sottinteso in esso, è da un lato semplice quale può essere la struttura molecolare dell’acqua stessa, H2O, solo un paio di elementi chimici di cui uno ripetuto due volte, che però con opportuni provvedimenti può trasformarsi di stato, mutare da acqua lieve dissetante ad acqua pesante buona per una bomba atomica.
Lo stesso elemento dei versi poetici delle chiare fresche e dolci acque può trasformarsi in flutti rapidi, assume un aspetto impetuoso, travolgente, tumultuoso, strepitante.
Il nuovo ordine mondiale è estremamente frammentario, per cui problemi di differenze etniche, di nascita, di provenienza, sono esasperati, unioni appena nate e cementate dal tempo devono obbligatoriamente essere scisse allorché una ulteriore divisione si attua in una realtà politica già miniaturizzata. Ne consegue che sono incoraggiate le unioni tra consanguinei, tra fratelli e sorelle, questi legami non sono più considerati incestuosi o forieri di errori genetici, ma come un rievocare le epopee faraoniche dell’antico Egitto, com’è noto i faraoni si sposavano tra consanguinei, ed il tutto avveniva al cospetto del Nilo, come dire la maggiore divinità delle acque:
“…il faraone…era il figlio di una coppia di regnanti sul Nilo, fratello e sorella, potente ed invincibile come i suoi genitori, un figlio del sole che come già suo padre aveva preso in moglie la propria sorella.”
In definitiva, quindi, tutto il libro ha percorrenza tumultuosa, da fiume in piena, il finale poi, a sorpresa, lascia ad un tempo meravigliati e sgomenti, sbigottiti, sbalorditi, è sconvolgente e veemente, anche commovente, restituisce la caduta, il salto, di una cascata, e il conseguente sfarfallio alla bocca dello stomaco quando si precipita dall’alto per un tuffo o un piede in fallo: il tutto a suggerire, e significare, una grande verità della vita, che è impossibile opporsi a certe correnti convulse e frenetiche, esattamente come l’umanità non è capace, non è in grado, non ha architetture o strutture ingegneristiche tali da opporsi alla deriva delle proprie passioni nel mare dell’esistenza, e le prime vittime sono sempre quelle con le ossa di vetro.
“…il faraone…venerato come un santo protettore…non soltanto era morto da ragazzo, ma soffriva di una malformazione, aveva i piedi vari, il bacino troppo largo e il mento sfuggente, e riusciva a camminare solo appoggiandosi a due stampelle dorate (che alla fine vennero messe insieme a lui nel sarcofago).”
Navigare nella vita come fanno le acque nei fiumi, linearmente dalla sorgente al mare, seppure con rapide, salti, vortici e anse serene, senza guida e timone, per la razza umana non è altrettanto facile, certamente non come bere un bicchier d’acqua.
L’acqua si ricicla di continuo, dal cielo alle sorgenti ai fiumi al mare, disseta e assiste, aiuta, sostiene.
Gli uomini invece non imparano mai, vivono sempre:
“…Everyone for himself: ognuno per sé.”