Dettagli Recensione
L'impossibilità del contatto
Stanislaw Lem è uno di quegli autori sui quali ripongo grandi speranze ogni volta che comincio a leggere una loro opera, tra i rappresentanti di una fantascienza capace di inglobare in sé stessa storie coinvolgenti e tematiche importanti e interessanti, coniugando intrattenimento e contenuto. E' chiaro che anche "Il pianeta del silenzio" abbia questa struttura di base e questi obiettivi, ma devo dire che rispetto ad altre opere dell'autore polacco (come ad esempio "L'invincibile") presenta una piacevolezza di lettura sensibilmente più bassa. Questo problema è da imputare, a mia opinione, principalmente alle digressioni scientifiche di Lem: un po' come Melville fa con elementi della baleneria nel suo capolavoro "Moby Dick", l'autore si lascia qui andare a digressioni riguardanti aspetti tecnici e teorici della fisica e del volo spaziale; le descrizioni sono lunghe, spesso così difficili da non permettere all'immaginazione di fare il suo lavoro ma lasciano spazio a un pizzico di frustrazione. E' stato davvero complicato portare avanti questa lettura, per lunghi tratti piuttosto pesante.
Quel che non manca, come al solito, è la riflessione filosofica che si intreccia con la narrazione: Lem è infatti uno di quegli autori che riescono in maniera egregia a inserire tematiche universali riguardanti la natura umana in un contesto fantascientifico, inglobando in esso anche riflessioni antropologiche e religiose; la fantascienza di Lem ha al suo centro l'essere umano, che di fronte all'ignoto e al fantastico si rivela più umano che mai, rivelando le proprie complessità e le proprie contraddizioni.
Il pretesto per indagare la psiche umana e il suo approccio all'ignoto è qui usata attraverso l'espediente del contatto con una civiltà aliena, i Quintani, i quali rappresentano un'occasione più unica che rara: nell'abnorme esistenza dell'universo, infatti, le probabilità di entrare in contatto con una civiltà che sia così avanti nel suo grado di sviluppo e civilizzazione da essere in grado di comunicare con i terrestri è infatti quasi irrisoria. La missione di Mark Tempe e dell'equipaggio dell'Euridice è quello di cogliere questa opportunità tanto agognata, di stabilire questo contatto che rappresenterebbe un punto di svolta nell'esperienza umana. Quel che tutti gli studiosi hanno dimenticato di considerare è: la civiltà in questione è davvero interessata ad avere un contatto? Oltre questo, c'è un altro aspetto ancor più importante da tenere a mente: gli esseri umani sono in grado di gestire una situazione di questa portata? L'essere umano è diffidente, disposto a tutto per salvaguardare la propria sopravvivenza; il suo primo approccio all'ignoto è una prudenza che al primo segnale negativo può sfociare nella violenza. Questo sarà da subito evidente, e la missione dell'Euridice sarà chiaramente fallita prima di cominciare: ogni segnale da parte dei Quintani sarà interpretato come una minaccia accompagnata dall'immediata dimostrazione di forza, adoperata per salvaguardare sé stessi. Allo stesso modo sarà interpretato il loro silenzio.
In un modo estremamente interessante, Lem ci sbatte in faccia la realtà: per come è fatto, l'essere umano non è in grado di gestire un contatto con una civiltà lontana, non senza l'uso della violenza. Lo avesse fatto indulgendo meno a infinite e complesse descrizioni e a digressioni estremamente criptiche, potrei dire che "Il pianeta del silenzio" rientri tra i libri da leggere assolutamente da chiunque. Purtroppo questa problema è talmente preponderante da non poter essere ignorato e da restringere il campo delle persone a cui lo consiglierei a coloro che apprezzino tali peculiarità descrittive e narrative. E questo è davvero un peccato.
"L'uomo aspira a conoscere la verità ultima. Ogni mente mortale, credo, è fatta così. Ma dove si trova la verità ultima? E' alla fine della strada, dove non c'è più mistero, dove non c'è più speranza. E dove non ci sono più domande da rivolgere, perché si sono già ottenute tutte le risposte. Ma un simile posto non esiste."