Dettagli Recensione
Abituarsi all'abitudine
Poco sappiamo della protagonista di questo libro; neanche il titolo allude al suo essere ma solo al suo ruolo: ancella.
Il nome narra un destino e quello che il regime di Gilead assegna alle sue ancelle racconta l’unica sorte possibile per una donna fertile che vive a Gilead: l’appartenza ad un uomo. Ogni donna è spogliata del suo essere per divenire puro accessorio, mezzo dei potenti per perpetuare la loro specie: June viene ridotta a Of-Fred.
Il regime nasce dalle migliori intenzioni: far rifiorire un mondo oppresso da disastri ambientali, tornare a scorgere una crescita nella natalità, portare ordine in una contemporaneità dominata dal caos. Eppure, viene da chiedersi a scapito di chi tali piani si perseguano, quando anche gli stessi uomini, a capo del sistema, ne sono schiavi a loro volta. Una società che riduce la donna a oggetto, che le toglie ogni valore se non la riproduzione, nega al contempo l'umanità dell’uomo. Perché umanità è nella relazione e neanche Fred ha più diritto al dialogo che elemosina alla sua ancella.
Atwood sceglie uno stile lineare e, al tempo stesso, narrativamente ben pensato. Il salto schizofrenico tra passato e presente, il racconto frammentario di Of-Fred ben rendono lo smarrimento della protagonista.
Restano molti dubbi al lettore: come è avvenuto il passaggio dall’antico mondo a Gilead? Cosa avviene una volta che le ancella saranno ormai anziane e non più fertili? Esiste una possibilità di sovvertimento dell’ordine? Sono risposte che il lettore non ha perché neanche il suo narratore può darvi risposta. Anche noi entriamo a far parte di Gilead e della sua manipolazione.
June ci offre, però uno scenario: ciò che rende la distopia realtà è l’abituarsi all’abitudine, il lasciar scorrere senza alzare lo sguardo.
Quel che, invece, alimenta la vita, nel regno della distopia, è solo una flebile speranza in parole non totalmente comprese, a cui ci si aggrappa, quando tutto pare perduto: Nolite te bastardes carborundorum.