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Falsi miti tra Orwell e attualità
Leggendo le posizioni del Garante della privacy sull'utilizzo di sistemi di videosorveglianza intelligenti nelle città, sull’etica della raccolta di dati biometrici in luoghi pubblici o sul grado di invasività decisionale degli algoritmi, non posso non fare un confronto con 1984 di George Orwell. Uno sguardo sull'orrore della sorveglianza portata alle estreme conseguenze distopiche.
La trama del romanzo è nota: una società priva di qualunque forma di libertà. Il protagonista nutre dubbi sul controllo assoluto esercitato dal Grande Fratello. L'oscurantismo dei sentimenti permea la civiltà basata sull'Odio. Lo slogan di 1984, infatti, la libertà è schiavitù, la guerra è pace l'ignoranza è forza.
"Nella veglia o nel sonno, al lavoro, a tavola, in casa o fuori, a letto o in bagno, non c'era scampo. Nulla vi apparteneva, se non quei pochi centimetri cubi che avevate dentro il cranio. Ognuno poteva essere scrutato senza preavviso, nulla di quello che si faceva era privo di importanza". La sorveglianza dai teleschermi orwelliani ha una portata applicativa attuale: nel concetto di allerta sul confine tra sicurezza degli individui, vantaggi economici degli attori coinvolti, autodeterminazione e trattamento di dati personali.
La tecnologia, siamo tutti concordi, riveste un ruolo di primaria importanza nelle ns vite. Tuttavia, esiste una linea sottile che separa l'autodeterminazione del singolo in caso di attività di monitoraggio.
In una società come la ns che corre senza sosta gli individui devono tenerne il passo. In una società liquida coacervo di informazioni, verità o menzogne la chiave di volta immutabile e non negoziabile per riprodurre se stessa resta il tempo. Un'economia assetata di dati è inevitabile.
Come comunicare attirando l'attenzione nella babele di attività ed informazioni che ci circondano? Bisogna conoscere la persona.
Le persone in genere sono schematiche, si allineano ad idee già maturate a conferma della propria integrità. Il sentirsi sicuri, a qualunque livello di sicurezza si parli fa sempre leva.
Fino a che punto il controllo ci rende sicuri, qual è il limite tra sicurezza, monitoraggio e sospetto? Difficlissimo il discrimine ma non parlarne non elimina le zone grigie che si creano, al cui interno, come insegnano gli eventi, si annidano tranelli. Il fine subdolo di ottenere informazioni per insinuarsi nelle ns abitudini si maschera con scopi i più coloriti.
Spesso c'è l'idea che chi mette in discussione la vita online, la rete, il digitale, la tecnologia è "contro" a prescindere.
Ogni società ha infatti miti e tabù, per riprendere la provocazione di Orwell "in qualunque momento esiste una ortodossia, un complesso di idee che si presume debbano essere accettate senza obiezione da chiunque la pensi correttamente"
Risposte nette ai dubbi etici non esistono. Tuttavia, subire acriticamente l'evolversi della realtà digitale può generare concause i cui effetti diventano di difficile controllo. Il pensiero critico con le sue domande non devono venir meno in quanto sono una delle armi più potenti per la consapevolezza.