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Il bisogno di pensare
Come ci fa notare Neil Gaiman nella sua Introduzione all’edizione Mondadori del celeberrimo “Fahrenheit 451”, la narrativa distopica non vuole fare predizioni sul futuro, in realtà vuole parlare del presente. E Ray Bradbury sicuramente voleva scrivere del suo presente, degli Stati Uniti del 1953, nel suo “Fahrenheit”, quando le trasmissioni televisive erano il miglior passatempo possibile e la Guerra Fredda era percepita come un pericolo reale e concreto. Ma alla fine Bradbury ha scritto un classico, cioè ha scritto un romanzo che ha parlato, che parla e parlerà a più generazioni, perché parla ancora oggi a noi, di noi.
Credo che la trama sia nota più o meno a tutti, almeno nelle sue linee essenziali: Montag è un pompiere che vive nel mondo di un ipotetico futuro, dove i vigili del fuoco non hanno il compito di spegnere gli incendi, di salvare vite e custodire i beni dell’umanità e della cultura ma, al contrario, sono chiamati a bruciare i libri.
Molto evidente e – temevo prima di leggere il romanzo- forse un pochino scontato il simbolismo espresso da Bradbury: mi sembrava troppo ovvio che la rappresentazione di un’umanità che avesse perso la voglia di leggere e fosse diventata inerte e passiva ci avrebbe resi sgomenti e ci avrebbe fatto orrore. Invece devo ammettere che, pur nella sua semplicità e facile evidenza, la metafora di “Fahrenheit 451” arriva potente e diretta al nostro raziocinio di persone che vivono nel XXI secolo.
Non si tratta solo di parlare di libri e di lettura, non si tratta soltanto ovviamente di condannare un’eccessiva fruizione di programmi televisivi (nel nostro tempo poi potremmo parlare di eccessivo utilizzo di videogiochi o di social media): la riflessione riguarda aspetti più profondi inerenti al bisogno di pensare e quindi di diventare attivi, creatori, proprio degli esseri umani. Colui che legge in “Fahrenheit” è l’uomo di cultura, di cultura umanistica in particolare, lo storico, il filosofo, il linguista: colui che si interroga sul significato delle cose e, con le sue riflessioni si discosta momentaneamente dalla logica utilitaristica fine a se stessa. In un mondo in cui ha vinto definitivamente l’idea che ciò che conta è solo il lavoro e il divertimento dopo il lavoro, in cui – di conseguenza?- governa un regime totalitario, non c’è altra scelta che dichiarare fuori legge chiunque senta forte l’esigenza e il bisogno di pensare.
Ma può essere veramente sopportabile vivere in questo modo? Forse all’inizio può sembrare divertente, evitare i problemi, trascorrere le ore in una rassicurante pausa rispetto alle preoccupazioni, alle difficoltà, allo studio e ai pensieri impegnativi. Ma dopo? Trascorrere un’esistenza fasulla, anestetizzati davanti a uno schermo, senza più la capacità di percepire il nostro senso di essere nel mondo: non è possibile tollerarlo davvero. Può portare soltanto all’oblio e alla distruzione. Montag intuisce tutto questo e ne diventa consapevole quando incontra Clarisse McClellan, una ragazza dagli occhi luminosi che ha il brutto vizio di fare caso al mondo intorno a sé. Non è governata solo da una coscienza annebbiata e stordita, come la maggior parte delle persone che vivono nel mondo distopico di “Fahrenheit”. Da quel momento anche Montag si risveglia, comprende che non può più accettare quel tipo di esistenza e comincia a combattere.
“ -[…] Solo una settimana fa, spruzzando cherosene con la mia pompa, pensavo che fosse divertente.-
Il vecchio annuì. -Quelli che non sono capaci di costruire finiscono per dar fuoco alle cose. E’ una verità antica come la storia e come la delinquenza giovanile.”
“Fahrenheit 451” è quindi senza dubbio un classico moderno, un romanzo che ancora oggi è attuale; che ci fa ricordare anche in questo nostro tempo presente quanto sia importante il nostro bisogno di pensare, di riflettere e di creare e costruire qualcosa di nostro relazionandoci con il mondo intorno a noi, entrando in connessione con il nostro io più profondo e di conseguenza con le altre persone.
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Io non sono mai stato un fan sfegatato della prosa di Bradbury, ma non posso negare che certe sue intuizioni siano terribilmente (genialmente) profonde.