Dettagli Recensione
Il mio nome è Kilgor Trout
«Dicono che la prima cosa che parte quando diventi vecchio è la vista o l’uso delle gambe. Non è vero. La prima cosa che se ne va è la memoria.»
Tanti nomi celebri della letteratura (da Romain Gary a J.K. Rowling) si sono avvalsi nell’arco della loro carriera di pseudonimi con i quali hanno portato avanti le proprie opere in varie forme e sotto tante vesti. Tuttavia, ben pochi sono ricorsi ad un alter ego da promuovere come pseudonimo e tra questi vi è Kilgor Trout, personaggio che notoriamente ha preso vita contro la volontà stessa del suo ideatore e coego, Kurt Vonnegut.
Kilgor Trout fa la sua prima apparizione in “Dio la benedica, Mr. Rosewater” nel 1965 per mutare sembianza, città, età e connotati in ogni opera. L’unica costante che lo caratterizza è data dal fatto che impersona il più prolifico autore fallito di fantascienza. Non a caso, nella sua falsa esistenza egli è autore di una miriade di falsi romanzi (circa 117) e di falsi racconti (circa duemila). Vonnegut, dunque, ben caratterizza il suo altro io in un gioco letterario che finisce con il prendere il sopravvento e assumere dimensione propria. Torna a ripresentarsi e a riproporsi con una cadenza tanto regolare quanto irregolare che sorprende lo stesso originale. E così accade anche in questo titolo, opera all’interno della quale ricostruiamo la trama per via frammentaria e attraverso pensieri e riflessioni che sono portate alla luce dall’io narrante. È un libro all’interno del quale a prevalere è l’ironia, l’introspezione, la satira.
Un volume adatto a chi già conosce l’americano e vuole approfondire le tematiche trattate.