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Contiamo le pecore... Elettriche.
Siamo nel 1992 e San Francisco è una delle poche città ancora popolate sulla Terra perché la maggior parte della popolazione è migrata verso le colonie extra mondo per scappare dal pianeta in seguito ad un conflitto nucleare. Il protagonista è Rick Deckard che vive a San Francisco con la moglie, Iran. Per sopravvivere fa il cacciatore di androidi. Infatti in questo mondo futuristico immaginato da Dick, non esistono solo umani ma anche esseri artificiali identici agli umani: androidi.
Parto subito con il dire che apprezzo molto Dick, avendo letto svariati suoi libri e sono convinta che scriva bene. È sintetico, diretto ed efficace. In particolare, le scene d’azione sono rapide, zero dettagli inutili e fanno provare al lettore l'ansia che stanno provando i personaggi. Quando mostra la parte più sentimentale usa delle immagini intense, usando molti dettagli. Quello in cui forse pecca sono i dialoghi. Qualcuno risulta un po' senza senso, per esempio, quello tra Dick e Iran, ad inizio libro in cui litigano senza motivo.
La trama non è facile, senza grossi sconvolgimenti. L'ho trovata lineare fino alla fine.
Per quanto riguarda i personaggi: Rick è caratterizzato in modo discreto ed è il "classico protagonista"; Isidore secondo me è reso decisamente meglio, all’inizio appare sottotono ma poi nel corso della storia vira al meglio; i personaggi secondari sono abbastanza caratterizzati, nulla di particolare; Iran, Phil Resch e Rachael hanno una propria personalità ben definita.
Come in molti romanzi di Dick la componente ideologica ha un ruolo rilevante, ci sono vari spunti di riflessione che vengono sviluppati fino alla fine del romanzo. È proprio questo aspetto che mi fa confermare che Dick non scriva prettamente di fantascienza, ma alla fine raccontare storie con un senso. Il primo tema è la ricerca del divino, nella distopia che fa da sfondo a questo romanzo, la divinità principale è Wilbur Mercer, che invita la gente a collegarsi a una sorta di sentimento collettivo attraverso le cosiddette scatole empatiche. Da una parte Mercer e in contrapposizione Buster Friendly, personaggio nominato e mai mostrato dal vivo (come il Grande Fratello in "1984" di Orwell), comico conduttore di una trasmissione che tenta in tutti i modi di demolire la pseudo-religione di Mercer. Non parlo del pensiero finale che Dick trova attraverso Rick, ma questo viene "spiegato" al lettore alla fine del libro, lasciando intendere come và a a finire.
Fin dalle prime pagine intuiamo il fastidio che Rick e Iran provano per il fatto di non possedere un animale reale e di doversi accontentare di una pecora elettrica, ma questa prospettiva viene ribaltata con l’arrivo del rospo. Non aggiungo altro per non fare spoiler ma qui troviamo il nucleo centrale del romanzo. C’è soltanto la vita così com’è e smette di avere senso parlare di giusto e di sbagliato in base a criteri precostituiti, c’è soltanto l'individuo.
E fin qua più o meno funziona tutto. Cosa invece non va? Ho trovato elementi non chiari o trattati in modo troppo sbrigativo. Ad esempio il finale della vicenda di Isidore, narrato come se fosse un evento marginale e fatto raccontare dal punto di vista di un altro personaggio. Sono anche presenti, come dicevo più sopra, un po’ di dialoghi surreali e qualche evento avviene in modo così repentino che non si riesce a capire che cosa sia successo.
Alla luce delle mie considerazioni non posso andare sopra le quattro stelle per questo romanzo, che rimane comuqnue una buona prova e che merita di essere letta.