Dettagli Recensione
Una promessa mancata
Devo confessare che, a dispetto delle note entusiastiche in quarta di copertina e delle recensioni sui vari siti, questo lavoro di Rachel Heng mi lascia molto insoddisfatto.
L’idea di partenza è più che buona e anche la società immaginata appare plausibile, ma occorre prendere in considerazione un aspetto che secondo me non può mancare (tranne in alcuni necessari momenti di pausa dei protagonisti): non c’è tensione.
Per essere più preciso, la tensione c’è ed è notevole, al punto di far venir voglia di proseguire la lettura per vedere cosa succede…fino a un terzo del romanzo circa.
Poi la tensione si stempera, fino ad arrivare faticosamente alla fine.
Ci sono molti punti che secondo me avrebbero dovuto essere presi in considerazione con maggiore cura o – al contrario – sviluppati in modo ben più conciso.
Ne prendo in considerazione alcuni:
- la scena del furto nel negozio di abbigliamento: è ininfluente nell’economia del romanzo. Se non c’era era lo stesso. È pur vero che Anja indosserà quel vestito, ma se ne avesse indossato un altro nulla sarebbe cambiato. L’azione si limita a far vedere che la donna mette il vestito nel suo zainetto e se ne va, come se in una società ipertecnologica come quella descritta nessuno sapesse cosa sono i dispositivi antitaccheggio.
Peccato che la scena - priva di tensione – sia preceduta da inutili pagine di descrizione dei vestiti e dei vuoti dialoghi con la commessa.
- Lea viene descritta come una donna che ha presentato in precedenza istinti tendenti alla violenza (da bambina uccide un coniglietto). Spunto interessante e che avrebbe potuto dare il via a sviluppi inaspettati.
Purtroppo, Lea è una né-carne-né-pesce: odia il padre, poi lo vuole rivedere, poi lo odia di nuovo, poi fa di tutto perché non si suicidi, ma poi lo lascia fare sotto i suoi occhi. Anche la scena del suicidio di Kaito – che avrebbe dovuto essere per sua natura più coinvolgente – viene liquidata in poche righe.
Lea, infine, è un personaggio mancato. O una psicopatica mancata. O una complessata non mancata.
- gli Empi: questi sono quelli che hanno rifiutato il nuovo stile di vita (che presenta caratteristiche quasi religiose) e sono rimasti fedeli ai bei vecchi tempi.
Beh, li chiameranno anche “Empi”, ma di empietà ce n’è ben poca, tant’è che lo Stato sa benissimo dove si trova Kaito, ma non fa nulla nei suoi confronti. Nemmeno manda degli Osservatori.
- ah, gli Osservatori! Già il nome evoca dei guardiani spietati e pronti a far pagare ogni sgarro! Toglietevi dalla mente delle figure in grado di dare un colpo decisivo alla narrazione: gli agenti AJ e GK, alla fine si dimostrano due insipidi burocrati, stanchi e annoiati del loro lavoro, che non vedono l’ora di andarsene a casa la sera.
- l’acquisto dell’auto: Anja va da sola alla ricerca del mezzo. Si lascia intendere che la cosa potrebbe procurarle dei guai: non dico che debba recarsi in un quartiere malfamato, ma nemmeno tutto rose e fiori. Incontra personaggi che a prima vista potrebbero crearle problemi, ma poi si risolve tutto a vino e taralli…qualcosa della serie volemmose bbene.
– il Suicide Club. Anche qui lo Stato sa tutto ma gli manca la prova finale per schiacciare l’organizzazione: un filmato che mostri come gli appartenenti al club distruggono i cadaveri!
Logica, se ci sei batti un colpo!
E gli viene in mente di accettare l’idea di Lea di infiltrarsi nel Club per fare il filmato? Ma perché hanno aspettato decenni? E tutto perché Lea si è messa in testa di impedire il suicidio del padre, che comunque avrà la sua benedizione quando le rivelerà di avere meno di un anno di vita nonostante l’impianto di parti di ricambio.
Lea è bipolare nelle sue decisioni.
Ad ogni modo, la soluzione adottata mi pare ridicola: ma ti pare che se lo Stato sa tutto ci mettano tanto a installare una telecamera?
Che poi, diciamolo chiaro, il Suicide Club pare più un ritrovo di gente che si fa le costicine alla brace ben cotte, bevendo un bicchiere di quello buono (scena descritta nel romanzo in una sorta di pranzo del consolo), più che una rete di cospirazione per andare contro il volere dello Stato.
- infine – ma solo per non tirarla in lungo- parliamo del finale: almeno Thelma e Louise hanno fatto un finale col botto, qui le due donne si limitano a partire. Finale in meno di due pagine e mezza, partenza vera e propria in quattro righe.
Insomma, nonostante un’idea niente male e un inizio più che ottimo, “Suicide Club” non ha lasciato il segno e non ha mantenuto alcuna delle sue promesse. Da metà romanzo in poi volevo solo arrivare alla fine…
Altra nota di demerito è che da una scrittrice mi sarei aspettato l’analisi di qualche aspetto della condizione femminile, mentre (come al solito) si limita a far fare la figura dei fessi e dei faciloni ai maschietti.
Idea: buona, proprio buona. Ma sprecata in corso d’opera.
Trama: con dei buchi logici, ma bene o male tiene. Più male che bene.
Contenuto: poteva essere sviluppata meglio l’idea su come disporre del proprio fine vita. In particolare, le grandi capacità introspettive che spesso un’autrice mostra in un romanzo, avrebbero potuto essere meglio sfruttate.
Personaggi: piatti, monodimensionali, passivi. Nessuna evoluzione: perfino Lea, che di anni ne ha un centinaio, si comporta come una bambina che ne ha tre. I protagonisti si dimenticano senza problemi.
Mancano le pagine che ti tengono incollato allo scritto.
Acquisto consigliato: no, ci sono modi migliori di spendere i propri soldi.