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In un futuro, non così lontano...
Ho letto parecchie critiche negative a questo romanzo, alle quali mi sento di dover in qualche modo rispondere perché personalmente l’ho adorato, e lo consiglio come valida lettura a prescindere dai gusti o dal target.
Innanzitutto, è stato etichettato come la versione per ragazzi de “Il racconto dell’ancella” della Atwood; purtroppo non ho ancora letto quest’ultimo, quindi procrastino un’eventuale analisi delle somiglianze, ma già da ora posso affermare che in alcuni casi una “copia” può risultare gradevole come e più dell’originale: rimanendo nel genere distopico, cito come esempio la trilogia di Hunger Games della Collins, molto apprezzata e di grandissimo successo pur essendo in buona parte copia del meno noto “Battle Royale” di Takami (altro romanzo validissimo, prendete nota!).
Un’altra critica frequente è il presunto elogio del maschilismo, nella sua forma peggiore. Non nego che in questo libro ci siano moltissime situazioni -sia mostrate direttamente, sia raccontate indirettamente- a dir poco disturbanti, ma l’intento non era certo quello di elevarle a modello; come altri autori di questo genere prima di lei, la O’Neill voleva invece smuovere le coscienze dei suoi lettori e mostrar loro in cosa si potrebbero evolvere i peggiori aspetti della società contemporanea. Infatti, l’ambientazione futuristica di “Solo per sempre tua” riprende molti elementi della nostra realtà, in particolare legati al culto dell’estetica e ai reality show, e li congiunge ad un ipotetico mondo post-apocalittico, da sempre terreno fertile per le distopie.
La storia inizia parecchi secoli dopo un disastro ambientale che ha quasi sterminato la razza umana; i pochi superstiti hanno dato vita ad una società di stampo fortemente patriarcale, lasciandosi alle spalle ogni diatriba legata all’etnia o alla religione in nome della sopravvivenza. In pochi anni, la volontà di tenere in vita solo i figli maschi porta alla cancellazione del genere femminile e, per salvarsi una seconda volta, gli ingegneri genetici ricreano la vita in laboratorio, creando una nuova stirpe di donne.
Costantemente perfezionate ed educate fino ai diciassette anni in apposite scuole, le cosiddette eva hanno il solo fine di svolgere il ruolo assegnato loro dagli uomini, nelle vesti di compagna, concubina o casta (a metà tra monache ed insegnati). Le donne sono il più possibile spersonalizzate: vengono identificate con un numero ed i loro nomi propri sono sempre scritti con l’iniziale minuscola, inoltre viene loro continuamente ricordato che il solo scopo nella vita è ubbidire agli uomini e, se necessario, subire in silenzio ogni punizione da loro commutata.
Seppur molto interessante e ben ideato, il mondo concepito dalla O’Neill non spicca per l’originalità, riprendendo diversi elementi sia da “Noi” di Zamjatin, sia de “Il mondo nuovo” di Huxley. Il primo è evocato dalla figura del Padre che governa sul mondo a propria discrezione come faceva il Benefattore, ma anche dai numeri che identificano le eva, dalla popolazione ridotta a poche migliaia di individui e dalla presenza di cibi sintetici; il secondo viene in mente soprattutto nel processo di programmazione delle donne, prima con la composizione del DNA nei laboratori e poi con il condizionamento indotto durante il sonno, e la larga diffusione -quasi imposizione- di medicine dai nomi pittoreschi che ricordano la soma distribuita dallo Stato a tutti i cittadini per lavorare senza fatica ed annullare ogni sentimento negativo.
Il mondo in cui è ambientata la storia è solo l’ombra di quello che noi conosciamo con tre Zone, ossia ciò che resta di Europa, Nord America ed Asia, dove vivono soltanto qualche migliaio di persone e dove imperano delle regole molto rigide, tutte ben illustrate nel volume. Gli unici punti poco chiari a mio avviso riguardano l’istruzione: non ha senso che sia generica a prescindere dal terzo in cui un’eva finirà e venga affidata proprio alle caste, ovvero le donne “scartate” al momento della cerimonia per scegliere compagne e concubine.
La storia segue l’ultimo anno nella scuola per un gruppo di eva, tra le quali spicca -ma non troppo- la protagonista, freida. Il romanzo si incentra principalmente sulle difficoltà della ragazza a farsi ben volere dalle compagne una volta persa l’amicizia della popolare isabel.
freida tenta di tutto per riallacciare i rapporti con l’amica, ma al tempo stesso è combattutta tra l’affetto che le lega e l’innato desiderio di ogni eva di essere perfetta sotto ogni aspetto così che uno degli Eredi -i ragazzi per cui sono state create- la scelta.
Ritengo sia stata un’ottima scelta optare per una protagonista quasi anonima, e delegare il ruolo dell’eroina della storia ad isabel: è sempre bello leggere di qualcuno vicinmo alla nostra fragilità umana.
Per quanto riguarda il finale, era dai tempi non tanto lontani del “Bunker Diary” di Kevin Brooks che non ne leggevo uno tanto sconvolgente. Tranquilli, non ho intenzione di elargire spoiler gratuiti, semplicemente le sensazioni provate una volta terminate queste due letture sono state quasi identiche: come se non ci fosse modo di riparare ad un errore fatale, ed ad un iniziale senso di disperazione ne subentri lentamente un secondo, di comporta accettazione.