Dettagli Recensione
Il mondo dei vincitori
Un classico di un genere di nicchia: il romanzo ucronico, o fantastorico. Philip K. Dick immagina come sarebbe il mondo se l'Asse avesse vinto la seconda guerra mondiale, con gli USA divisi in sfere d'influenza tedesca (costa atlantica) e giapponese (costa pacifica) e una zona centrale più autonoma ma politicamente ininfluente denominata "Stati delle Montagne Rocciose", la Russia ridotta ad un'area ancor più marginale e subalterna, devastata dalle deportazioni naziste e sfruttata per la manodopera a basso costo, un'Asia (Cina, India, Indocina) e un'Oceania dominate dal Sol Levante.
Premetto che l'autore non si sofferma troppo sugli elementi di geopolitica di questo Risiko mondiale, bensì privilegia la riflessione interiore e il dialogo dei personaggi, attraverso i quali vengono offerti in maniera molto suggestiva innumerevoli spunti di riflessione sui temi cari all'autore: il potere, la falsità della storia, l'alienazione dell'uomo nella società, i valori contrapposti e inconciliabili delle diverse culture, il mito del progresso scientifico.
Inizialmente può risultare spiazzante la tecnica narrativa che segue in maniera piuttosto meticolosa le vicende (tutte ambientate in una nazione americana crepuscolare) separate di molti personaggi, che senza presentazioni sono descritti nel loro presente contingente. Attraverso le loro azioni e le loro considerazioni viene svelato gradualmente lo scenario in cui sono immersi e che li domina. Infatti che si tratti del timoroso mercante d'arte americana, dell'onesto funzionario giapponese, della sensuale insegnante di judo, o dell'influente agente nazista, tutti devono fare continuamente i conti con gli eventi enormi della Storia. E' il destino dei cittadini dei paesi vinti: quello di adattarsi loro malgrado ad altri valori che non capiscono (la cultura giapponese negli USA) o che vengono imposti con la violenza (il nazismo).
A tal riguardo comunque Philip K. Dick non è del tutto imparziale: sicuramente affascinato dalla raffinatezza delle culture orientali, tanto da affidare continuamente all'oracolo millenario cinese "I Ching" l'interpretazione delle sorti dei personaggi anche americani, coglie però nel regime nipponico, rispetto agli USA umiliati, una superiorità beffarda e in fin dei conti compiaciuta e lo mette nero su bianco in un illuminante passaggio:
"E' così che governavano i giapponesi, non con la crudeltà ma con la sottigliezza, con l'ingegno, con l'astuzia di secoli. Cristo! In confronto a loro siamo dei barbari. [...] Siamo stupidi ed ingenui, di fronte a questo modo di ragionare così lucido e spietato."
Del regime nazista l'autore non condivide ovviamente la violenza, ma nemmeno la filosofia superomistica:
"La loro visione è cosmica. Non un uomo qua, un bambino là, ma un'astrazione: la razza, la terra. [...] Vogliono essere gli agenti, non le vittime, della storia. Si identificano con la potenza di Dio e credono di essere simili a dèi. Questa è la loro pazzia di fondo. [...] Quello che non comprendono è l'impotenza dell'uomo. Io sono debole, piccolo, senza la minima importanza per l'universo. [...] Non è meglio così? Gli dèi distruggono coloro di cui si accorgono. Se sei piccolo potrai scampare alla gelosia di chi è grande."
Lo spirito americano stritolato da queste due ideologie dominanti ed ostili tenta di emergere debolmente nella schiettezza e nell'eroismo di alcuni personaggi nativi statunitensi in cerca di una riscossa personale. Ma è solo uno spiraglio di luce in un contesto alienante.
Così come un altro segnale di utopica speranza è costituito da un altro libro ucronico dentro il libro (oltre al già citato "I Ching"), dal titolo stavolta inventato, "La cavalletta non si alzerà più" (riferimento dotto all'Ecclesiaste) in cui sono invece gli Alleati a sconfiggere l'Asse e a spartirsi il mondo tra USA e Inghilterra. Ma è tutto un inganno, comunque vada la Storia, in quanto quelle due nazioni, spiega l'autore tramite una spia nazista:
"Sono due plutocrazie, nelle mani dei ricchi. Se avessero vinto, avrebbero pensato solo a far soldi e quello sarebbe stato l'unico problema delle classi dominanti."
E ancora lo scontro tra Alleati e Asse viene descritto come:
"Il vecchio contro il nuovo. Il denaro - ecco perché i nazisti tirarono in ballo ingannevolmente la questione ebraica - contro lo spirito comune delle masse, quello che i nazisti chiamano Gemeinschaft... identità collettiva. Come i sovietici. La comunità."
Tematica attualissima oggi pensando alla contrapposizione crescente tra élite dominante e nuovi populismi/sovranismi.
In definitiva un romanzo complesso, ucronico ma assolutamente credibile, ben congegnato anche nell'avvincente trama, con molteplici chiavi di lettura e piani semantici, tra cui su tutti prevale quello psicologico.
Indicazioni utili
La trama si sviluppa in modo graduale. E' come se i personaggi in un gioco da tavola partissero da diverse caselle anche distanti e poi via via si incontrassero, per poi separarsi di nuovo, in alcuni casi per sempre... (non voglio spoilerare). Non c'è una vera fine, ma l'intero libro (poco più di 300 pagine) sembra soltanto l'inizio di una lunga saga. Dick non ne scriverà un sequel, ma ci penserà Amazon Studios 53 anni dopo a ricavarne una serie TV ("L'uomo nell'alto castello"), che mi accingerò a guardare (qualcuno l'ha vista?).