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Prima non mi capitava...
Il Racconto dell’Ancella – Margaret Atwood, 1985
Distopia (?) di più di trent’anni fa che fa scorrere il freddo nelle ossa, perché non solo è orribile, ma è vicina, quotidiana, prossima.
Nella non meglio specificata Galaad, che – forse – evoca il purissimo figlio di Lancillotto, che era talmente insopportabile da essere assunto immediatamente in cielo (e infatti chi lo sopportava, in terra?), è successo “qualcosa” per cui una società abbastanza simile alla nostra è diventata, tout court una teocrazia di stampo cattolico (in realtà la “nostra” società somiglia già abbastanza ad una teocrazia di stampo cattolico, ma la Atwood è canadese).
Come ogni brava dittatura religiosa che si rispetti, uno degli obiettivi che si pone è il controllo del corpo femminile, naturalmente mascherato da cura (di che?), protezione (da chi?), ritorno alla sacralità della natura e simili facezie.
Le donne sono preziose, perché, ovviamente, servono bambini e quindi una donna in età fertile è un prezioso contenitore per futuri sudditi (non suona per niente familiare a nessuno, vero?).
La nostra protagonista senza nome “vero” non era proprio una donna perfetta, prima.
Aveva studiato, lavorava e se non ricordo male aveva pure divorziato.
Aveva un compagno, Luke, e una figlia. Carte di credito. Una madre emancipata ed amiche ancor più impresentabili di lei. Senza figli e dalla condotta libera. Vestite in modo bizzarro. Fumatrici. Tatuate.
Quando la situazione si è fatta difficile (per dire. Quando hanno bloccato tutti i conti delle F, permettendo solo alle M di possedere denaro), con Luke e la bambina, tenta la fuga. Che fallisce.
La famiglia viene separata e di Luke e della bambina non si saprà più nulla.
Il destino della protagonista, però, potrebbe essere peggiore, perché è ancora fertile, quindi le viene assegnato il ruolo di “ancella”. Deve vestire di rosso con un lungo abito senza forma e portare una cuffia bianca che le nasconda il volto (per essere protetta. Da chi?).
A parte una “rieducazione morale” non riceve vessazioni particolari (Rieducazione: “Siete una generazione di transizione, diceva Zia Lydia. Per voi è più difficile. Sappiamo che da voi si attendono dei sacrifici. È duro subire l'oltraggio degli uomini. Per quelle che verranno dopo, sarà più facile, perché accetteranno il loro dovere con cuore volonteroso. Non diceva: perché non avranno ricordi. Diceva: perché non vorranno cose che non possono avere.").
Deve svolgere piccoli incarichi (fare la spesa, passeggiare, mantenersi in ordine e pulita) e ça va sans dire, aprire le gambe per fare in modo che gli uomini meritevoli abbiano figli.
Se poi riuscisse a concepire e, addirittura, a generare un bambino sano, la sua valutazione sociale sarebbe alle stelle.
Non è però il brutale stupro che può sembrare, perché non è “brutale” in senso stretto. È peggio. Gli uomini “meritevoli” ovviamente sono sposati, ma disgraziatamente hanno mogli non fertili (gli uomini non possono non essere fertili, ovviamente), ma la Bibbia, bontà sua, ha una soluzione anche per questo, con l’edificante storia di Rachele:
“Ora Rachele vide che non poteva partorire figli a Giacobbe (…) Allora ella disse: «Ecco la mia serva Bilha. Entra da lei e lei partorirà sulle mie ginocchia; così anch'io potrò avere figli per suo mezzo».”
Qui non è solo il parto ad avvenire sulle ginocchia della moglie, ma anche il concepimento, giusto per togliere ogni lubricità al tutto.
L’ancella fa il bagno, si sdraia sul letto, appoggia la testa in grembo alla moglie, solleva leggermente (non troppo) il vestito e il marito compie il suo dovere coniugale.
D’altronde “non lo fo per piacer mio, ma per dare figli a dio!” (Teocrazie cattoliche, si diceva).
Qui si rispettano le donne! E si proteggono.
Ovviamente nel libro succede altro, perché – stranamente – ci sono donne che amano avere un corpo, uomini a cui piace essere baciati, giocare a scarabeo (!) e simili bizzarrie.
Rimane addosso, però, a fine lettura, una sensazione strana.
Da una parte lo straniamento della protagonista che va a fare la spesa e passa accanto al muro dove si impiccano (incappucciati) i dissidenti e lei li scruta temendo/cercando qualcosa di Luke, di cui non sa più nulla. Sa che probabilmente, essendo un uomo, non è stato “fortunato” come lei o la loro bambina, non di meno spera: “Lo sa che mi trovo qui, viva, e che penso a lui? Devo credere che sia così. Quando le possibilità sono così ridotte devi credere ad ogni sorta di cose. Adesso credo nella trasmissione del pensiero, nelle vibrazioni nell'etere, in queste sciocchezze. Prima non mi capitava.”
“Vorrei tanto che Luke fosse qui. Vorrei essere abbracciata e chiamata per nome. Vorrei essere valutata in un modo diverso, vorrei essere superiore a ogni valutazione. Ripeto il mio nome di un tempo, mi ricordo di ciò che una volta potevo fare, di come gli altri mi vedevano.”
E tutto sembra lontano.
Poi però certi discorsi (“Noi non abbiamo fatto altro che ripristinare la legge della Natura”) certe dinamiche (donne che controllano e vigilano la moralità di altre donne per un supposto bene “superiore” - di chi?), la protezione, l’incontrare e santificare il proprio destino (!) biologico (!), la gloria della maternità, la perdita di diritti che sembravano acquisiti, la protezione che diventa controllo e reclusione, la distinzione fra chi può stare seduto, chi in piedi, chi in ginocchio, chi regge l’ombrello, chi si bagna o resta sotto il sole…
Questo è vicino, quotidiano, prossimo.
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Sono interessato all'autrice, ma non ho letto nessun suo libro perché spesso si tratta di raccolte di racconti, e io non sono lettore di racconti.
Avevo già notato questo titolo, ma l'avevo trovato 'respingente'. Ora capisco meglio di ciò che si tratta.
Intendevo questo.
Per quanto concerne la Atwood questo era il suo primo lavoro, per me.
Tu la conosci bene?
Cosa mi suggerisci per continuare?
Se pesco qualche bel romanzo te lo segnalo.
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