Dettagli Recensione
Interessante anche se non del tutto riuscito
Per apprezzare appieno questo libro bisognerebbe aver letto almeno Mein Kampf: nell’immaginare Hitler ai giorni nostri, Vermes non si limita infatti agli spunti umoristici offerti dall’anacronismo, ma cerca di inserire un dittatore quanto più possibile aderente a quello reale – incluse le fissazioni in materia di alimentazione e di cura del corpo - nella realtà contemporanea. Il Führer che ne esce ha il più possibile i caratteri della figura storica: facendolo parlare in prima persona, lo scrittore ne ripropone la metodica pazzia, quel suo autonominarsi infallibile uomo della Provvidenza per la gloria della razza germanica, fine per il quale qualsiasi mezzo è lecito. Assistiamo in questa maniera alla replica, seppur limitata (per ora?) al mondo dello spettacolo televisivo, della resistibile ascesa di un fanatico – per lui sarebbe un complimento – capace di sfruttare utili idioti, complici più o meno involontari e, soprattutto, chi è convinto di poterlo usare, utilizzando le risapute tattiche dell’attacco preventivo oppure del ripiegamento per la ripartenza in contropiede. Una simile struttura fa sì che i capitoli più divertenti del libro siano i primi, quando lo spaesato Hitler deve arrangiarsi in una Berlino che non gli appartiene, mentre nel prosieguo della vicenda, in parallelo alla presa delle misure riguardo alla modernità, gli aspetti psicologici e sociologici finiscono per prendere il sopravvento, tanto che le trovate che dovrebbero alleggerire l’atmosfera non sempre raggiungono la compiutezza necessaria, come, ad esempio, nell’episodio del rasoio da barba. La difficile combinazione dell’elemento narrativo con quello metastorico (diciamo così) riduce la godibilità del romanzo anche senza contare i riferimenti alla politica interna tedesca di cinque anni fa (l’anno del ‘risveglio’ è il 2011): oltre che di qualche passaggio fuori fuoco – si veda il capitolo su Monaco - la dettagliata ricostruzione soffre qua e là di una certa macchinosa freddezza. A meno che non si tratti di un effetto voluto, visto che Hitler racconta le sue peripezie dal proprio punto di vista: come annotato nelle lunghe e spesso brillanti note al termine del volume (quasi un quinto del totale), l’uomo tendeva a una rigida ampollosità burocratica negli scritti ufficiali in contrasto con la brutale secchezza – resa con bella efficacia – dei deliranti discorsi-fiume. In ogni caso, solo a una lettura superficiale il personaggio ricreato da Vermes può suscitare simpatia: laddove si ignori quanto esplicitato nelle suddette note, la banalità e le strizzate d’occhio al pensiero comune su molti temi sensibili dell’attualità non riescono a nascondere i troppi orrori che fanno loro compagnia.