Dettagli Recensione
La disfatta della creazione
Questo romanzo di Philip K. Dick è ambientato in un futuro distopico in cui gli uomini convivono con gli androidi in comunità sparse per la galassia. La Terra è diventata quasi inabitabile per via di tempeste di sabbia che hanno portato alla desertificazione di parte del globo, nonché danni cerebrali a una vasta porzione di uomini rimasti sulla Terra. Nelle colonie gli androidi, ormai sempre più sofisticati, vengono impiegati come forza lavoro ma, alcuni di essi, decidono di scappare e fare ritorno sulla Terra dove agenti speciali, come il nostro protagonista Rick Deckard, hanno il compito di “ritirarli”, ovvero eliminarli.
Il problema è che questi androidi, specialmente i nuovi modelli Nexus 6, sono talmente simili agli esseri umani che diventa difficile individuarli. Lo strumento utilizzato per verificare se un individuo è un androide o meno è quello di sottoporlo ad un test sull’empatia. Pare infatti che gli androidi non siano in grado di provare partecipazione emotiva nei confronti di altri esseri viventi, tanto meno verso altri androidi. Questo è il futuro verso cui tende l’umanità? Una progressiva perdita dei valori umani di empatia e solidarietà non solo verso il prossimo, ma verso qualsiasi essere vivente? Perché forse il punto è che non sembrano essere i nuovi modelli Nexus 6 sempre più simili all’uomo, ma al contrario sembra essere l’uomo in procinto di somigliare sempre più ad un androide, una macchina senz’anima.
D’altronde il concetto di empatia è presente nel racconto anche sotto forma di pseudo-religione: il mercenearismo, che fa leva su questo legame empatico e sulla condivisione universale dell’esperienza da parte degli uomini, come se facessero parte di un’unica entità. Ma se casualmente viene fuori che questo Mercer, il Dio/Profeta dell’empatia non è altro che un ubriacone e a fare questa scoperta (ironia della sorte) non è altro che un androide, allora cosa resta all’uomo? La consapevolezza che non esistono ideali nè verità assolute e ciò porta ad un quesito ancora più angosciante: cos’è che ci rende umani? Quando l’evoluzione tecnologica avrà raggiunto un livello tale da permettere agli androidi di somigliare in tutto e per tutto agli esseri umani, empatia compresa, come sostanzieremo e giustificheremo il nostro antropocentrismo?
Nel romanzo di Dick sembra che l’uomo sia diretto verso la sua stessa distruzione. Di certo in una società come la nostra, in cui il progresso tecnologico sembra ormai inarrestabile, viene spontaneo chiedersi se e quali debbano essere i limiti da porre al progresso scientifico per evitare che nel nome di tale progresso l’uomo compia qualcosa si irreparabile. Curioso è anche il fatto che nell’ universo descritto da Dick il vero bene di lusso non sia possedere oggetti tecnologici o androidi ma animali veri, esseri viventi (da qui l’ironico titolo).
Questo romanzo, permeato da un cupo pessimismo, per quanto si legga velocemente per via della scorrevolezza data anche dalla brevità dei capitoli, richiede in realtà una lettura attenta, tante e complesse sono le tematiche messe in gioco. “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?” è un capolavoro della fantascienza ma non solo, potrebbe essere considerato un vero e proprio trattato di sociologia. Il film che ne è stato tratto, Blade Runner, uscito nel 1982 (a quasi vent’anni dalla pubblicazione del romanzo) e diretto da Ridley Scott è anch’esso un capolavoro nel suo genere ma, essendo liberamente ispirato al libro, è da considerarsi un’opera a parte. Il regista è riuscito a coglierne l’atmosfera cupa con le ambientazioni notturne e la fotografia fredda e futuristica ed è riuscito a dare una mirabile caratterizzazione agli androidi protagonisti, ma l’opera di Dick contiene degli elementi che a mio parere lo pongono tra quei libri che tutti dovrebbero leggere almeno una volta nella vita.
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Commenti
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Il libro è senz'altro una bella performance ma il film è a mio parere superiore (senza comunque dimenticare che senza libro non ci sarebbe stato film). Philip Dick è lo scrittore di fantascienza visionario per eccellenza, ma non ha uno stile letterario robusto, e questo a volte si ripercuote anche sul "filo" delle sue storie. Ridley Scott ha dato "geometria" alla storia, e ha valorizzato il doppio parallelo androide-uomo uomo-Dio che nel libro è più suggerito che trattato. Blade Runner (il film) è diventato un cult planetario letteralmente dal nulla (la sua prima versione è rimasta praticamente semisconosciuta), un'opera di significato enorme.
Sul rapporto tra libro e film ci sarebbe tantissimo da dire, ma, proprio perchè rischierei di parlare troppo a lungo per questo spazio, aggiungo solo un'ultima cosa: che - come tu giustamente sottolinei - tolte le défaillance di stile, Dick è un autore che andrebbe assolutamente letto.
Quanto a Roy, va detto che Rutger Hauer (che lo impersona) è stato fondamentale per la costruzione del ruolo: se si pensa che "Ho visto cose..." non era un discorso scritto in quel modo, ma è frutto della sua capacità di improvvisare...
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Marta