Dettagli Recensione
interessante fino a un certo punto
Wade ha diciotto anni, è orfano, ospite della perfida zia in una delle baraccopoli che costellano il mondo dispotico in cui vive, mondo in cui quelli come lui, i poveri, valgono meno di niente. L’unica fuga al suo squallore è OASIS, l’universo digitale a cui chiunque può collegarsi gratuitamente, e dove lui, come gli altri “gunter” è alla ricerca della soluzione al Primo Enigma. Halliday, il geniale inventore della realtà virtuale, alla sua morte aveva lasciato una sola disposizione per la sua eredità multimiliardaria: chiunque avesse scoperto, e risolto, i tre enigmi nascosti nell’universo di OASIS, ne sarebbe diventato il proprietario. In dieci anni nessuno è mai riuscito a decifrare nemmeno il primo, criptico indovinello, ma un giorno Wade, quasi per caso, ne capisce il senso, trova il luogo che indica, e guadagna la prima chiave. E la caccia ricomincia in tutta OASIS, più cattiva e pericolosa che mai, perché non ci sono solo i gunters alla ricerca dell’eredità, ma anche la perfida multinazionale IOI, che vuole privatizzare la realtà virtuale ed escludere chiunque non sia ricco abbastanza.
Player One, primo romanzo di Ernest Cline, è un tuffo a testa bassa nell’immaginario fantascientifico e videoludico degli anni ’80. Continui rimandi a film iconici, la musica, i robottoni giapponesi e videogiochi dell’epoca, avvolgono il lettore in un senso di nostalgia alla “i bei vecchi tempi andati”. Leopardon, Lady Hawk, Pat Benatar, Dungeons & Dragons, Pac Man, War Games, tutto questo e molto di più trova almeno un piccolo spazio nella caccia al tesoro che Cline costruisce. E se quell’epoca e quel mondo li avete anche solo intravisti, l’effetto malinconico è quasi assicurato.
Non è un capolavoro, e ancora una volta mi trovo sorpreso di come un libro, tutto sommato mediocre, sia riuscito a raggiungere un consenso così alto. La trama è molto intuibile, pochi, citofonati, colpi di scena, e un finale deludente. Personaggi poco approfonditi, cattivi che sono cattivi, giusto perché sono cattivi, e, in genere, una gestione molto lineare, che offre poche o nessuna sorpresa. Troppe spiegazioni fini a se stesse, che nulla aggiungono alla trama, e che, anzi, spesso la rallentano. Nonostante chi davvero apprezzerebbe riferimenti e citazioni abbia ormai 30 o 40 anni, il libro sembra scritto per un pubblico adolescenziale, con argomenti più profondi lasciati in disparte. Si legge bene, e velocemente, e la passione che Cline ha per l’argomento si sente, ma, a mio parere, non è abbastanza per distinguere Player One da qualsiasi altro young adult in circolazione.