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Se A=B e B=C allora C=Xn...
Futuro, presente, passato, viaggi nel tempo e nella multidimensionalità dell' esistenza di uomini in parte vivi e in parte morti che sono però in grado di agire attivamente su ogni momento, istante, di ogni singola dimensione, creando scorciatoie temporali, realtà parallele e alternative; creando paradossi e assurdi dinamici (e statici) di mondi che si evolvono al contrario e di uomini, come noi, che regrediscono di pari passo vibrando negli infiniti spazi tra una molecola e l'altra, tra un istante e l'altro, alla ricerca di un perché, alla ricerca della risposta a quella domanda che ne cela infinite altre: cos'è accaduto, cosa sta accadendo, cosa accadrà e soprattutto, appunto, ancora..., perché?!
Questo è Ubik, forse il più famoso romanzo di Dick e sicuramente il più profondo, un romanzo dove non mancano tutti quegli elementi fantascientifici e squisitamente nostalgici (fin dall'inizio si è catapultati in un mondo futuristico anni novanta che ha tuttavia l'adorabilmente ingenuo sentore della fantascienza anni 70) che l'hanno reso caro a tutti gli amanti del genere ma che eppure, partendo da questi, si evolve fino a trascenderli diventando un testo intimo di uno scrittore che indaga sui misteri della vita e sui misteri della sua, e nostra, esistenza.
Siamo noi che evolviamo o è il mondo attorno e noi di pari passo ci adeguiamo? Siamo noi che camminiamo o è la terra sotto i nostri piedi a scorrere, in altre parole è la terra che ci attira o noi che attiriamo lei?
Entrambe dice la legge di gravitazione universale, e come è valida quella è valida anche quella sulla nostra esistenza: noi mutiamo al mutare di ciò che ci circonda e viceversa ma, a prescindere da chi muta chi, chi attrae chi, chi agisce su chi, l'unico modo per rendercene conto è attraverso il tempo, studiando e ricordandoci quello che eravamo, studiando e ricordando quello che il mondo era e osservando quello che è adesso, e quello che siamo noi ora. Ma se esistesse qualcuno in grado di modificarlo? Di modificare il ricordo e soprattutto il tempo, che nel presente può modificare il passato e viceversa nel passato il presente, come sarebbe ora la nostra vita? Come saremmo noi ora e soprattutto ci accorgeremmo delle differenze?
In Ubik esiste questo qualcuno, esiste questa forza che agisce in verso opposto a quella normale, e il mondo che ne viene fuori, i singoli che ne risaltano, sono un nonsenso dimensionale, dei nonsensi esistenziali, il cui unico modo per riuscire ancora a capire chi sono, e dove, è rifarsi alle loro poche certezze, ai loro ontologici ricordi: "quella cosa è avvenuta perché io me la ricordo", e, seppur strano, ancora una volta al tempo, al loro tempo congelato nell'istante del presente, dell'ora, adesso, lì, poiché in quel vorticoso vibrare dei secondi, dei centimetri, delle ere e degli spazi sconfinati, loro in quel momento, in quel preciso momento, innegabilmente sono!
È dunque quello di Dick un romanzo ammirabile che getta uno sguardo crepuscolare sulle allora più recenti e particolari teorie del cosiddetto continuum dimensionale, ma è anche un romanzo intimo che parla al lettore, che lo fa riflettere sui misteri della sua (nostra) esistenza e sulle poche, talvolta rassicuranti, talvolta non..., certezze della vita; un romanzo insomma che per stile, contenuti e fascino forse rappresenta il punto più elevato della produzione letteraria Dickiana, un romanzo che tutti, gli amanti del genere e non, dovrebbero leggere, per capire e capirsi di più, e per trovare nell'incessante evolversi della vita i propri valori e le proprie, seppur poche, solide certezze.
Qui finisce la recensione, ciò che segue è un non troppo breve excursus sul significato del libro: dal momento che per trenta e più anni chiunque abbia letto Ubik ha dato la sua spiegazione, ha creato la sua teoria, per cercare di inquadrare in un sistema comprensibile e logico un testo altrimenti di difficile adattabilità ad un contesto temporale e geografico sensato, senza ovviamente pensare minimamente di potermi collocare sullo stesso piano dei "filosofi norvegesi e russi" che tentavano di spiegarlo all'autore stesso, mi sono sentito anch'io in dovere di aggiungere la mia voce al coro di tutti coloro che nel corso degli anni hanno dato la loro teoria su come vada letto e compreso. Che nessuno di coloro che è giunto a leggere fin qui dunque si senta altrettanto in dovere di continuare a scervellarsi su questi temi, ma d'altro canto sappiate che se qualcuno per qualche minuto ancora ha voglia di ragionare con il sottoscritto, è senza dubbio bene accetto.
Dunque ricominciamo.
Ebbene sì, terminata la lettura il sottoscritto, come chiunque, si è posto la fatidica domanda che ha attanagliato la sua mente lungo tutte le duecento e più pagine del romanzo: ma alla fine che diavolo è questo Ubik?
Per capirlo, dal momento che Ubik è sì un elemento del romanzo ma ne è anche il titolo e dunque il romanzo stesso, per comprendere cosa sia e come sia da interpretarne la sua innegabile esistenza, occorre concentrarsi su quello che appunto oltre ad Ubik è l'elemento principale della storia: il tempo.
Il tempo, nel romanzo non è fisso, non è quello della lancetta dei secondi che si muove sul quadrante dell'orologio ma è un tempo "universale", è il tempo che i protagonisti e noi (ricordate che nella recensione si diceva che questo è un romanzo intimo che parla a noi stessi?) è il tempo che noi abbiamo vissuto, il tempo che dobbiamo vivere e quello che stiamo ancora vivendo, quello in cui nel momento, in questo preciso istante, noi siamo; e poi ancora quello dell'istante precedente in cui siamo stati e quello dell'istante successivo, in cui ovviamente saremo. Tutto infatti (si sa) continua a scorrere, "panta rei" dicevano gli antichi e gli antichi... si sbagliavano!
Non è il tutto che scorre secondo Dick (o meglio secondo la mia personale interpretazione del suo pensiero) ma solo il tempo, è lui e solo lui che continua a scorrere e le persone, le cose, i luoghi, presi al di fuori di questa quarta dimensione, presi nel singolo istante, sono immobili. È solo infatti se osservati rispetto a quanto e dove erano prima, o saranno dopo, che se ne può apprezzare il loro mutamento, il loro movimento. E la fisica ci spiega che questo loro movimento è apprezzabile grazie alle velocità ovvero grazie al rapporto tra lo spazio che percorrono e, appunto, il tempo che impiegano a percorrerlo. Riadottando dunque la "teoria dei singoli istanti", poiché lo spazio che percorrono e dato dalla somma dei momenti in cui durante il loro tragitto questi individui hanno vissuto, o meglio sono stati, e lo spazio, come si è visto, è indissolubilmente legato al tempo, riadottando la teoria il tempo stesso può essere definito dalle mutazioni che loro, gli individui, i protagonisti, hanno subito rispetto ai loro stessi passati o futuri.
Lo so è materia da mal di testa assicurato, sarebbe infatti più facile disegnarlo che raccontarlo ma giusto per tentare di capirci: l'oggetto X (quanti di voi leggendo ora la famigerata letterina hanno cominciato a tremare? Ammettetelo! Tranquilli non ci metto molto, del resto il tempo è anche denaro... Ma appunto meglio non divagare!), quindi giusto per capirci: X allo scorrere del tempo si muove nella posizione uno e diventa X1, poi si muove nella posizione due e diventa X2, poi nella tre, la quattro, cinque e così via mutando di volta in volta conformazione (o stato se preferite); ora la somma di tutte le posizioni in cui si è trovato nel singolo momento è data da X1+X2+Xn e questa somma ci rende il quadro del suo movimento, e, a seconda della velocità di questo movimento e del numero di fasi di X, ci restituisce il concetto di tempo: più sono le X a velocità costante maggiore è il tempo, più invece è la velocità a numero di X costante, minore è il tempo. Ma tutto è sempre in funzione del tempo.
Certo il mutamento da X1 a X2 lo si apprezza spesso solo se si è un osservatore esterno, se ipoteticamente cioè si è fuori dal sistema spazio-temporale in oggetto o se almeno si ha un riferimento fisso, ma, poiché ciò nella realtà non può accadere, perché (ebbene sì!) anche noi ci muoviamo (anche noi nel nostro piccolo siamo tante Xn), per apprezzare la transizione di un oggetto alla sua forma più prossima, dobbiamo tenere conto anche delle nostre transizioni, del nostro movimento. Insomma, per tornare alla domanda posta in Ubik, siamo noi che ci muoviamo rispetto all'oggetto o l'oggetto rispetto a noi? E chi muta, noi o il resto?
Entrambi, o meglio, senza un punto di riferimento fisso non lo sappiamo e non lo sapremo mai, specie se poi oltre a noi e all'oggetto a muoversi e a mutare è tutto quanto, tutto il mondo che ci circonda e tutta la realtà. È naturale dunque ci dice Dick che per capire qualcosa di noi, del tempo e del mondo, ci occorra quel punto, quella singola dogmatica certezza che ci permette di astrarci dal nostro stesso contesto e diventare i sopracitati osservatori esterni. E che cos'è quella, questa, certezza? Be Galileo e Copernico, come alcuni altri, forse sbagliando, la cercavano fuori dal nostro pianeta, e la chiamavano Sole o Terra (a seconda delle teorie...), alcuni mistici invece, forse sbagliando anche loro (chi può dirlo, chi può esserne certo?), la cercavano fuori dalla fisica, nella metafisica, e la chiamavano Dio o Allah o Buddha; altri mistici ancora invece la cercavano nelle cose che si riproponevano quotidianamente ed erano le più visibili e materialmente le più importanti e la chiamavano... be in tanti modi: amore, famiglia, denaro, lavoro, successo, Juve, Milan, Inter e chi ne ha più ne metta! E per finire c'era Dick, Philip K. Dick che, ovviamente anche lui sbagliando (quando non si hanno certezze tutti hanno ragione e tutti torto) la cercava nella materia stessa da cui originava il dubbio, la cercava nel tempo stesso, nel suo scorrere e nel nostro mutare al suo scorrere... E la chiamava Ubik.
Dunque cos'è Ubik? Ubik è tutto: è il sole, è Dio, e l'amore, il denaro e, sì persino la Juve (o il Milan o... be ci siamo capiti!), è insomma quell'unica entità che c'è e sempre ci sarà nel tempo a prescindere dal suo scorrere, quell'unica entità che trascende la connotazione multidimensionale dello spazio-tempo e in qualunque epoca, periodo, anno, giorno, ora, istante, troveremo sempre. E nella fattispecie che cos'è questa entità, come è fatta, che forma ha, come riconoscerla? Be Ubik è... la pubblicità: talvolta è una bomboletta, talvolta, un balsamo, talvolta un digestivo o una crema di bellezza ma di fatto è un brand, è uno spot televisivo e un messaggio. E se ci si pensa bene non è una cosa così stupida investire di tale importanza una reclam poiché chi è che si pone la domanda, chi è che vuole capire lo scorrere del tempo? Chi è che riesce apprezzare lo scorrere del tempo, chi è che infine vive nel tempo? Noi, l'uomo, e dunque cosa meglio della pubblicità, l'emblema massimo della creazione e del nostro intelletto (poiché più comune e popolare di qualunque altra cosa da noi inventata e dunque più adatta ad abbracciare la totalità degli esseri umani) per trovare il nostro centro, il punto fisso o il perno attorno a cui ruota il mondo?!
Dunque cos'è Ubik, Ubik è una bomboletta, un balsamo, ma è anche un punto di riferimento, l'ultimo paladino che si oppone a questa mutevole realtà, un messaggio dell'uomo all'uomo ed una rivendicazione della sua centralità nell'esistenza: scordatevi di Dio, del sole, e delle lontane stelle, noi siamo coloro che possiamo vederle, noi siamo coloro che possiamo capirle, noi siamo coloro che possiamo concepirle, e così il tempo stesso, così il movimento e il luogo. A cosa servono i calendari, - faceva dire Leopardi al coniglietto (o qualunque altra bestiaccia fosse) - una volta sterminata l'umanità? Sono gli uomini che l'han creato a noi non serve, i giorni sono tutti uguali, i giorni, noi animali sopravvissuti, non sappiamo neanche cosa sono! - (Forse non era Leopardi ma va be...) Dunque che cos'è la nostra esistenza, come interagisce col tempo?
Per capirlo dobbiamo, e possiamo, affidarci solo a noi stessi, a quell'unica cosa che lei stessa ci permette di esistere, e che grazie alla sua invariabilità da la prova che siamo anche esistiti e in futuro ancora esisteremo: il nostro creare, il nostro continuò e incessante creare, il porci domane e trovare le risposte, il creare teorie e sistemi che funzionino e infine trovare sistemi che ci spieghino, che ci permettano di capire, di conoscere e tramandare la conoscenza, o in altre parole Ubik, la pubblicità, il messaggio dell'uomo per l'uomo: fin tanto che l'uomo esisterà si porrà domande e fintanto che si porrà domande troverà risposte, diverse, varie e mutevoli, a seconda dei luoghi, dei tempi, ma pur sempre risposte, pur sempre messaggi, atti creatori umani, pur sempre Ubik, una bomboletta spray.
Questo dunque è Ubik, uno dei romanzi più belli e più complessi di Dick, un romanzo che si dipana su diversi piani temporali, che porta alla luce dubbi e domande sulla nostra natura e sulla natura del creato (non uso questa parola a caso), un libro che mette in gioco ogni nostra convinzione e si pone domande la cui risposta è pressoché incomprensibile salvo rifarsi all'unica immutabile e invariabile costante: siamo noi, noi che creiamo le domande e siamo noi che tramite osservazioni, ipotesi, teorie e dimostrazioni, troviamo le risposte. E siamo ancora noi che possiamo apprezzare queste risposte oppure al loro "cospetto" infastidirci, ma sempre e soltanto noi, anzi Noi, nel Nostro mondo, nella Nostra realtà, grazie alla Nostra, a Nostro modo, divinità: Ubik, il Dio da noi creato, magnanimo e immutabile e soprattutto, per una volta, utile, quotidianamente utile, poiché da noi e per noi creato. Ma di un Dio, anche se profano, laico, per nulla sacro, occorre diffonde il verbo (specie poi se l'essenza stessa di questo dio è il verbo) altrimenti che Dio è? E quale mezzo migliore dunque di un romanzo, di un testo? Ed ecco che questo Dio, riproponendo una delle peculiarità tipiche delle divinità, si scinde e diventa come suggerisce il suo stesso nome ubiquo, onnipresente, ovvero presente in ogni tempo, sotto ogni forma e aspetto... persino quello di Romanzo.
Ma non ti sembra di far confusione - direte voi - ad accomunare un elemento del romanzo col romanzo stesso, e ancora il romanzo con la forza creatrice del tempo, dei luoghi e in fine di noi stessi?
Forse ma le Divinità (sia quella del romanzo che le "classiche") hanno questa dote: danno certezze la dove regna la confusione, basta credergli... E in fondo hanno un senso proprio perché ne esiste un testo in cui se ne parla: come si potrebbe dire per esempio che la Bibbia è una cosa diversa da Dio? (Non me ne vogliano i credenti, mi concentro sul cristianesimo esclusivamente per il fatto che per estrazione culturale è la religione che conosco meglio) Come si potrebbe dire una cosa simile?Per i credenti, non siamo forse noi opera di Dio? E la bibbia non l'abbiamo scritta forse noi riportando i dettami del Creatore, dunque se A=B e B=C...
Ed ecco infine allora cos'è Ubik è tutto, siamo noi, il mondo, Dio e non per ultimo una bibbia, anzi La Bibbia, la bibbia profana dell'uomo per l'uomo.
Indicazioni utili
Commenti
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Se non hai mai letto nulla di Dick ti consiglio anche: noi marziani, illusione di potere (forse il mio preferito assieme a Ubik) e Confessioni di un artista di merda (non fantascientifico, tendente al comico - parodistico ma con messaggi e riflessioni interessanti e profonde), sconsiglio invece i più famosi La Svastica sul Sole e Ma gli androidi sognano pecore elettriche (quello di Blade Runner) due esempi di confusione stilistica malgrado la grande genialità delle idee di base di entrambi i libri.
Attendo allora di leggere le tue opinioni sull'autore. A presto, ciao.
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Ferruccio