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Quando la letteratura diventa salvezza.
Al giorno d'oggi sciacquarsi la bocca con le cosiddette "frasi fatte" è ormai diventato un bisogno imprescindibile, una necessità senza sconti sulla pena: se vuoi (di)mostrarti poco più di quello che realmente sei, mercanteggiare con la cultura e l’erudizione sono l’unica via percorribile e si è costretti a sfoderare una sensibilità e una profondità che mai ci sono appartenute.
Eppure, affermare che “1984” è il testo che ha cambiato la mia vita non è un’esagerazione, né un vano sforzo di pura apparenza: si tratta una cruda constatazione di fatto.
Scritto nel secondo dopoguerra dal britannico George Orwell, “1984” appartiene al genere letterario dei romanzi distopici e, come tale, resta ancora oggi uno degli strumenti comunicativi più efficaci per quanto riguarda la difesa di valori come la libertà, l’indipendenza intellettuale e l’autocritica.
Da un punto di vista formale, la narrazione risulta chiara e fluida, lo stile adottato è semplice e la scrittura gratifica il piacere del lettore; tuttavia ogni aspetto linguistico è funzionale alla costruzione della trama e alla volontà, da parte dello scrittore, di fornire un’accurata descrizione delle realtà sociale e politica narrate: grazie a neologismi e nozioni geopolitiche fittizie Orwell mette in scena un mondo e una società allucinanti, in cui la guerra perenne e i totalitarismi la fanno da padroni.
E’ sul piano contenutistico, infatti, che “1984” sprigiona il suo massimo splendore: la sinossi in sé e la vicenda del personaggio non sono altro che pretesti forniti al lettore perché possa, invece, raffigurarsi quella realtà distopica che Orwell ha ideato con così grande cognizione; narrazione, descrizione e dialogo sono tutti quanti imperniati sulla presa di coscienza, un’opera per così dire di “catarsi”, che chi legge deve maturare rispetto alle tematiche e alle questioni sollevate dal narratore: l’insostenibilità dell’oppressione sociale, l’inesistenza di qualsiasi opposizione politica, la frustrazione della repressione sessuale e la tragedia dell’annullamento individuale.
Per questo “1984” non è un “libro da leggere”, né un “manifesto programmatico su cui riflettere”, non è nemmeno un “viaggio da intraprendere” o un “mondo entro cui entrare”; qualsiasi espressione o definizione se ne voglia dare è una limitazione, una riduzione drastica del suo potere letterario. “1984” è un sinolo, una congiunzione di materia e forma, un quid filosofico che concretamente e chirurgicamente incide il cervello e vi introduce le proprie mani, al fine di ripristinare nervi e vasi della propria mente e ragione.
Rappresenta una rara occasione di consapevolezza. Di salvezza e di forza interiore.
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Mi hai incuriosito all'ennesima potenza!
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