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Monna Lisa cyberpunk
In una Terra oramai ridotta a una pattumiera, vive una società basata sull’avidità e sulla la corruzione, dove è netta la separazione tra chi ha e chi non ha. Su questo sfondo sconsolante, si snodano quattro storie, due con personaggi appartenenti alla prima categoria e due alla seconda: da una parte, la figlia di un boss mafioso giapponese in trasferta a Londra (il segmento meno interessante) e Angie, una diva del simstim, equivalente futuristico della televisione in cui, però, si può ‘entrare’; dall’altra un gruppo di squinternati che vivono in un territorio inquinatissimo chiamato Dog Solitude (tanto per essere chiari) e una ragazzina – la Monna del titolo, in originale con una ‘n’ sola - che, da un bassifondo fatto di tossicodipendenza e prostituzione, riesce a farsi strada nel mondo, sebbene involontariamente, a spese altrui . Gibson tesse con abilità le quattro trame che - tenute insieme dall’onnipresente ciberspazio e dalla misteriosa figura di Sally/Molly, assassina dalle capacità ai limiti dei superpoteri – finiscono inevitabilmente per convergere verso una conclusione in cui i morti non mancano, ma che scioglie solo in parte i nodi dell’intreccio. La trama, infatti, procede per svolte e allusioni come e più di un romanzo noir, però alcune di esse restano nebulose, specie per quanto riguarda Angie e il groviglio di rete e voodoo che si porta dietro: il personaggio è uno di quelli presenti anche nel libro precedente (‘Giù nel ciberspazio’) e forse conoscendone lo svolgimento tutto sarebbe più chiaro, ma nulla da nessuna parte avvisa che siamo in presenza del terzo libro di una trilogia, detta dello Sprawl, iniziata con ‘Neuromante’. Insomma, io e William Gibson continuiamo a non prenderci e non può essere solo colpa di qualche traduzione non riuscita, come accaduto per il primo capitolo della trilogia suddetta. Questo a prescindere dal fatto che il romanzo sia scritto bene, con uno stile di derivazione noir e funzionando soprattutto nella combinazione dei filoni narrativi, e che le figure, almeno quelle principali, siano meglio definite rispetto agli altri libri che ho letto, anche se poi una sola, lo sbullonato ma creativo Slick Henry, genera un minimo di empatia: va bene che la vicenda si svolge in un mondo freddo e senza sentimenti, ma questo non dovrebbe implicare un coinvolgimento emotivo assai labile da parte di chi prende in mano il volume. Finisce così che, almeno per il sottoscritto, il cyberpunk resti un genere con alla base un’idea potente – anche se fa un po’ impressione leggere di reti informatiche senza internet – che ha però dato origine a storie ben al di sotto delle aspettative.