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Mondi folli, mondi reali
Ho l'onore di presentarvi un romanzo di fantascienza stravagante e geniale, complesso e ironico, che svela e deride senza pietà i lati peggiori della società americana degli anni cinquanta.
Si parte da un interrogativo vecchio di secoli, non solo nella storia della filosofia: il mondo che ci circonda esiste o è soltanto un’illusione, creata per chissà quale motivo? Potrebbe essere lo scherzo di una divinità maligna per divertirsi alle nostre spalle, oppure, come in Matrix, un’illusione collettiva creata da macchine intelligenti. Primo Levi una volta aveva scritto (non ricordo dove, chiedo scusa) che non c’è modo di trovare una risposta sicura a questo interrogativo, ma non vale la pena di prenderlo sul serio. Sono d'accordo, ma può anche essere un'ottima chiave di lettura, utile per indagare da un’angolazione insolita il nostro mondo (reale?).
In questo suo lavoro, uno dei più divertenti, Philip Dick ha messo in scena una serie di mondi collettivi, più o meno illusori, creati da un piccolo gruppo di esseri umani ridotti in coma dopo un incidente, un assortimento interessante scelto tra esemplari della stessa nazionalità dell’autore.
Creare dal nulla un mondo decente, però, è un compito adatto alle divinità, gli uomini sono costretti a lavorare sul materiale esistente e il lavoro non riesce bene comunque. Per capirlo, basta considerare per esempio il capolavoro creato da un vecchio soldato bigotto dell’epoca maccartista: la terra è un’enorme palla al centro di un misero universo, composto da minuscole stelle, Inferno e Paradiso. Al centro del cielo domina invece l’enorme occhio di Dio, che controlla e vede tutto, punendo all’istante i peccati e premiando con le dovute caramelle tutte le buone azioni. Un mondo assurdo, che per molti uomini vissuti in quell’epoca è stato anche l'unico mondo reale.
La fantascienza non è fuga dalla realtà, anche perché dalla realtà non si può fuggire. Purtroppo.