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La violenza sulle donne in una Milano futuribile.
Suscita molte perplessità questo nuovo libro, edito nel 2019 da Zona42 (“Editori di fantascienza e altre meraviglie”), di Nicoletta Vallorani, autrice di romanzi fantasy, anche per bambini, e insegnante di letteratura inglese all’Università degli Studi di Milano. Stupisce la storia in sé, certamente fuori dal comune, ambientata in una Milano del futuro, irriconoscibile e stravolta da una nuova organizzazione sociale e politica. Manca, nella storia, un filo logico che permetta di orientarsi: il racconto delle varie vicende che si susseguono disordinatamente si intuisce con una certa fatica e con molta immaginazione. Si viene a sapere così che questa nuova Milano ha un nucleo centrale, ben protetto e circondato da un muro invalicabile, abitato da classi ricche e potenti; si parla anche di un non meglio definito Profeta, autorità suprema, e di una fantomatica casta di Sacerdoti, nonché di Martiri, probabilmente immolatisi per cause che non è dato sapere. Attorno alla città privilegiata, una popolazione più modesta, un’altra cinta muraria e, all’esterno, desolazione e paura: derelitti e profittatori, in cerca di cibo e di espedienti per procurarselo, tra sacche di miseria e capannoni abbandonati. L’atmosfera è plumbea, fa freddo, le strade sono fangose e impraticabili, una cappa di piombo copre e nasconde ogni cosa, anche se (così ha inizio il romanzo) non riesce a celare del tutto un mucchio di cadaveri di donne, abbandonati tra le macerie di una desolata periferia. “Donne?” si chiede l’autrice” o piuttosto cavie, cloni, cose?”. Ed ecco, a poco a poco, delinearsi i protagonisti, due singolari sopravvissuti raziocinanti, animati dall’incrollabile speranza di cambiare il mondo: una specie di anziano investigatore, Nigredo, con tanta esperienza alle spalle, ed una spericolata tassista, Olivia, anime gemelle e disperate, pronte a battersi per la ricerca della verità, o meglio di quel filo che possa far luce su verità celate e terribili. Veramente terribili appaiono da un comunicato riportato in un fantomatico “Archivio anarchico” nascosto in un altrettanto misterioso Serbatoio Ghisolfa, in cui si descrivono due tipologie di corpi violabili, le “cavie, o corpi fantoccio” da probabile clonazione (siamo nel futuro!) e le “cavie regine”, utilizzate come matrici. Un quadro allucinante tra le macerie di una Milano irriconoscibile ( ingressi della Metropolitana distrutti e colmi di macerie, palazzi diroccati, il centro ridotto ad ammassi di rovine), in cui resiste solo il carcere di San Vittore (“ un profilo azzoppato, sghembo e autorevole, nella piccola piazza in cui è rimasto in piedi”), rifugio di disperati in cerca di un tetto. Nigredo e Olivia si trovano, indagano, frequentano amicizie ambigue e sfuggenti, cercano di sopravvivere in una realtà cupa e piena di imprevisti, guidati da istinti primordiali e da consunte mappe di una Milano che fu, trovate in una vecchia libreria. Alla fine arriverà la grande vendetta dei due protagonisti contro un potere che ha istituzionalizzato la criminalità e la violenza: salterà per aria tutto, con esplosivi e inneschi di bombe conservati gelosamente nel tempo.
Il filo del racconto è comunque difficile da seguire e ricordare, occorre un notevole impegno nella lettura ed una grande immaginazione.
In effetti questa Milano del futuro, piena di paure, violenza, disperazione ed efferatezze di ogni genere, rappresenta un quadro di eventi possibili non escludibili a priori, una sorta di monito per le generazioni a venire, oltre che un invito a riflettere sull’utilizzo distorto e immorale delle più avveniristiche scoperte scientifiche, manipolazioni genetiche comprese. Il tema dominante, quello della violenza gratuita e tollerata sulle donne (ridotte a “cose”) emerge in tutta la sua drammaticità, con particolari volutamente agghiaccianti: l’autrice si fa portavoce della dolorosa consapevolezza di un problema che sembra, oggi come in un lontano futuro, non avere soluzioni. Grande è a questo riguardo il merito della Vallorani nel narrare, inducendo a riflettere sugli eterni temi della vita e della morte. Lo stile è del tutto personale, nervoso, scattante, frasi brevi, allusioni, sospeso tra realtà e immagini fluttuanti come sogni vissuti ed inespressi.
Concludo con un pensiero di Olivia, meritevole di riflessione: “Non si vive per sempre, anche se certe volte è pesante persino esistere per un solo minuto”. Oscilla tra la speranza in un mondo migliore, forse irraggiungibile, e la disperazione per il momento vissuto: questo è, mi pare, il succo di tutte le vicende narrate.