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Magellan. Terminal war
 
Magellan. Terminal war 2018-01-17 15:41:39 catcarlo
Voto medio 
 
3.3
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
3.0
catcarlo Opinione inserita da catcarlo    17 Gennaio, 2018
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la fine, all'improvviso

La prima parte della saga spaziale ‘Terminal war’, intitolata ‘Juggernaut’, lascia parecchio a desiderare e l’avvicinamento aL secondo volume è avvenuto con una certa prudenza. Il responso è stato più positivo del previsto: non sta tra queste pagine l’Altieri migliore, ma il racconto si snoda senza le confusioni del predecessore fino a un finale aperto che la morte dello scrittore congela per sempre a meno che la terza puntata, ‘Maelstrom’ sià già stata scritta - o quantomeno abbozzata come la ‘Poodle spring story’ del nostro. Sono proprio i capitoli più connessi alla fantascienza a farsi apprezzare. Su una Terra ormai morente e che ha abbandonato da tempo i viaggi spaziali, viene rimessa in sesto la Magellan, un’astronave che consente i salti nello spazio-tempo: un equipaggio di sette persone viene così inviato nella costellazione del Serpente alla ricerca di una probabile vita extraterrestre. Il meccanismo di salto non è semplice e viene disturbato da una forte interferenza, ma in qualche modo si arriva a destinazione. Qui si scopre che una civiltà antica ed evoluta è stata sterminata da una feroce orda – dotata di maschere che rendono tutti i membri uguali, un po’ come ‘Guerre stellari’ (ma di citazioni ce ne sono come di consueto a pacchi, molte delle quali esplicite) - che sembra collegata in un unico organismo senziente: entrata nella Magellan, per sconfiggerla sarà necessario un alto tributo di sangue: uno solo non ci rimette la pelle per scoprire con orrore chi si nasconde dietro la maschera. Che un simile superuomo – uno che sopravvive a lunghe immersioni nel liquido di raffreddamento dell’elaboratore di bordo, per dire – si chiami Karl Adrian Dekker non sorprende chi sia abituato all’immaginario dell’autore milanese: serve ad aumentare il rimpianto per non poter sapere come Altieri avesse immaginato l’avventura conclusiva unendo la sconvolgente rivelazione con l’ingombrante passato (letterario) che un tale nome evoca. Definiti i personaggi e le ambientazioni – siano esse le mille ombre della Magellan o le misteriose architetture aliene – inizia la guerra del titolo e cominciano pure le debolezze: non tanto perché i compagni di Dekker vanno nessuno escluso incontro a una bella morte (incluso quell’antipatico del borioso comandante), quanto perché un terzo di romanzo fatto di nemici che esplodono e vengono falciati in massa finisce per essere un po’ pesante: d’accordo che l’estetica della violenza è stata un’assidua caratteristica altieriana, ma la sensazione di ripetitività fa capolino più di una volta. Così, paradossalmente, la tensione cala proprio laddove dovrebbe raggiungere il culmine, solo in parte riscattata dal colpo di reni del finale: malgrado l’insieme sia in buona misura coinvolgente (e a volte travolgente), la soddisfazione complessiva ne risulta pur sempre diminuita.

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