Siddharta
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Nessuno era così solo come lui
“Immobile restò Siddharta, e per un attimo, la durata d'un respiro, un gelo gli strinse il cuore, ed egli lo sentì gelare nel petto come una povera bestiola, un uccello o un leprotto, quando s'accorse quanto fosse solo”.
“Siddharta” è un piccolo libro ma con all'interno tanta sostanza. Hesse utilizza uno stile scorrevole, piacevole e con un messaggio profondo. Sfido chiunque a non essersi sentito almeno una volta nei panni del protagonista.
Siddharta è figlio di un Brahmino e ben presto si rende conto che ormai il padre e gli altri maestri non hanno più niente da insegnargli “gli avevano già versato interamente i loro vasi pieni nel suo recipiente in attesa, ma questo recipiente non s'era riempito”.
Così il giovane parte insieme al fedele amico Govinda per un'avventura. Hesse rappresenta in maniera magistrale l'evoluzione che almeno una volta nella vita colpisce ognuno di noi. L'insoddisfazione, il rendersi conto di non essere nel posto giusto, seguire una strada e poi prenderne una completamente diversa e senza dimenticare gli errori che spesso servono a raggiungere la meta.
Ho particolarmente apprezzato il fatto che l'autore mi abbia presentato un uomo che inizialmente sembra al di sopra degli altri ma che in realtà è fragile, debole e cerca di aiutare gli altri a non fare i soliti errori quando è stato proprio il primo a compierli. Spesso dobbiamo toccare il fondo per poter ritrovare noi stessi.
“Tu sei sapiente Siddharta; ebbene, impara anche questo: l'amore si può mendicare, comprare, regalare, si può trovarlo per caso sulla strada, ma non si può estorcere”.
Lo consiglio!
Buona lettura!!!
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Come un fiume
Il Novecento: un secolo intriso di sangue, ingiustizia e dolore… eppure che grande secolo per la letteratura! Alla schiera dei grandi autori che hanno popolato quegli anni si aggiunge con prepotenza Hermann Hesse, che avevo già avuto modo di apprezzare con "Il lupo della steppa" e che ora m'ha travolto col suo "Siddhartha": opera celeberrima ma a quanto pare anche piuttosto divisiva. Cercherò di essere più obiettivo possibile, ma non posso fare a meno di sorridere leggendo alcuni paragoni con libri di auto-aiuto o romanzi mainstream moderni. In molti hanno storto il naso perché non ne hanno condiviso le riflessioni e i pensieri, ma per come la vedo io uno dei concetti chiave dell'approccio alla letteratura e alla filosofia è quello di non prendere per oro colato tutto quel che apprendiamo leggendo, scremando quel che rientra nella sfera della nostra condivisione da quel che ne è avulso. Se fossimo costretti a concordare col pensiero d'ogni scrittore e filosofo che ci ritroviamo a leggere, i disturbi mentali non tarderebbero a bussare alla nostra porta; è dunque legittimo non condividerne tutte le osservazioni, ma questo non dovrebbe impedirci di analizzarli né tantomeno di apprezzarne il valore umanistico.
In "Siddhartha" vi sono riflessioni che ho sentito talmente vicini da esserne toccato - l’importanza forse illusoria della saggezza e la possibile virtù dell'ignoranza; il paradosso della ricerca; l'inutile sforzo che un genitore fa per evitare ai figli le sue stesse sofferenze giovanili - ma anche altri pensieri che sentivo lontani o che non condivido affatto: in fondo il racconto è pregno di filosofia e spiritualità prettamente orientali e che a noi possono apparire strane, se non assurde. Questo, tuttavia, a mio parere non inficia minimamente il valore e la bellezza del racconto che, a questo punto posso dirlo, per me è un capolavoro.
Eh sì, e i motivi sono diversi, oltre a quello appena citato.
Partiamo dallo stile: Hermann Hesse dimostra d'essere un autore camaleontico: lo stile di “Siddhartha” è molto diverso da quello adoperato ne “Il lupo della steppa”, rivestito d’una sacralità che si sposa perfettamente col contesto e i contenuti, eppure la sua mano si percepisce distintamente. Già solo questo aspetto dimostra un'incredibile maestria, a cui si aggiunge una scorrevolezza insperata, almeno in un opera con tali propositi e contenuti: la narrazione scorre infatti come il fiume tanto caro a Siddhartha e, proprio come quest'ultimo, ci parla e vuole invitarci costantemente a una riflessione per mezzo dei vagabondaggi, della crescita e della lunga ricerca che il nostro protagonista fa per trovare sé stesso e il segreto per congiungersi alla vita stessa. Non comprendo chi lo ha trovato pesante o ripetitivo: pur rispettandone l'opinione quest'ultimo punto mi lascia estremamente dubbioso.
Seppure i personaggi non posseggano una grande potenza e i loro caratteri non restino impressi nella memoria, i loro pensieri e riflessioni colmano efficacemente quest’unica, piccola lacuna.
In conclusione leggetelo: senza alcuna aspettativa o pregiudizio; senza l'erronea convinzione di doverne condividere ogni virgola ma analizzandone il contenuto.
Secondo me non ve ne pentirete.
“Quando qualcuno cerca, allora accade facilmente che il suo occhio perda la capacità di vedere ogni altra cosa, fuori di quella che cerca, e che egli non riesca a trovar nulla, non possa assorbir nulla in sé, perché pensa sempre unicamente a ciò che cerca, perché ha uno scopo, perché è posseduto dal suo scopo. Cercare significa: avere uno scopo. Ma trovare significa: essere libero, restare aperto, non avere scopo. Tu, venerabile, sei forse di fatto uno che cerca, poiché, perseguendo il tuo scopo, non vedi tante cose che ti stanno davanti agli occhi.”
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DAL SE ALL'ATMAN E' UN ATTIMO
Siddhartha , figlio del Brahmano, sembra avere tutto ciò che si possa desiderare dalla vita,ricchezza, bellezza e potere, ma tutto questo non gli basta, è alla ricerca di qualcosa di più, un qualcosa che non può essere appagato delle cose materiali e neanche dalla religione tradizionale, quel vuoto che vuole colmare è meglio rappresentato da un’illuminazione.
Pertanto il suo viaggio parte con una ricerca continua di nuove esperienze e rifiuti delle stesse, farà una serie di incontri con individui che professano di avere qualcosa da insegnare e i cui insegnamenti Siddhartha trova inadeguati, incompleti.
In primis rifiuta gli insegnamenti intellettuali e ritualistici di suo padre e degli altri brahmani, il rispetto delle tradizioni dei brahmani porta al valore intellettuale ma non alla felicità; decide di partire in viaggio con un gruppo di samana ma dopo tre anni di rigori verso il proprio corpo capisce che l'ascetismo dei samana crea solo una perseveranza stoica ma nient'altro; poi parte alla ricerca di Gotama, il Buddha ma si rende conto che essere un suo discepolo, seguire i suoi insegnamenti non è ciò che sta cercando, non è ciò che gli illuminerà l’esistenza “Molto contiene la dottrina del Buddha illuminato: a molti insegna come vivere rettamente, a evitare il male. Ma una cosa non contiene questa dottrina così limpida, così degna di stima: non contiene il segreto di ciò che il Sublime stesso ha vissuto, egli solo tra le centinaia di migliaia", la ricerca continua nel Samsara dove si fa travolgere dall'arte amatoria di Kamala che però non sfocerà mai in un amore supremo e spirituale, vivrà nel mondo, nel commercio, avrà denaro, si perderà nel gioco d’azzardo, avrà possedimenti ma capirà che tutto questo possedere porta a un’insoddisfacente brama di possedere ancora di più; rifiuterà persino il ruolo di padre protettivo per suo figlio.
Pertanto verrebbe da chiedersi se la ricerca di Siddhartha sia guidata più dal desiderio di colmare un vuoto o da una prospettiva, la visione di dove sta andando.
Il primo messaggio che passa è che ogni individuo “è responsabile” ed “ha la responsabilità” di trovare la propria strada, di effettuare il proprio percorso di vita personale e spirituale, di trovare il proprio equilibrio con se stessi e con il resto del mondo anche a costo di rifiutare le nostre origini, di lasciar andare il passato con tutte le fatiche e le conquiste fatte, chiudere un capitolo e ripartire da zero, andando oltre i rimpianti o i ripensamenti, non importa l’età, l’importante è farlo, farlo comunque. Poi un secondo messaggio che arriva è che un equilibrio e una sensazione di pace non necessariamente si trovano quando si è raggiunto ciò che si cercava bensì quando l’animo è predisposto a un equilibrio e a una pace interiore “C'è solo una conoscenza, o amico mio, che è ovunque, è l'Atman, che è in me, in te e in ogni essere. Ed è per questo che inizio a credere che non ci sia più grande nemico della vera conoscenza che voler sapere ad ogni costo, per imparare ".
E’ un libro semplice, che si apre, scorre e si chiude con lo stesso flusso regolare anche nella sua stessa lettura; un personaggio, Siddhartha, che passo dopo passo accoglie prima e rifiuta poi tutti gli insegnamenti e gli imput che gli arrivano nel suo percorso, un protagonista che a capo chino intende non insegnare nulla ma che lo fa comunque fino alla vecchiaia con il compare Govinda, un personaggio che mette in discussione tutto.
E’ un libro che non mi ha entusiasmato particolarmente e onestamente non ho amato neanche molto il protagonista che a tratti appare bastian contrario per partito preso, ma neanche mi sento di sconsigliarlo, magari letto nel momento giusto e con un background giusto riesce a lasciare un solco più profondo, il punto è che secondo me il lettore deve necessariamente avere un terreno fertile per accogliere in parte i messaggi che passano in questo testo che viene definito un grande classico della letteratura.
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Viaggio alla scoperta di se stessi
Questo libro rientra nella categoria di quei testi che è doveroso leggere. L'ho letto qualche anno fa e l'ho apprezzato tantissimo.
Avevo sentito meraviglie di questo piccolo testo di Hesse. A differenza di molti però leggere Siddharta non mi ha cambiato la vita e neanche mi ha offerto un nuovo punto di vista dal quale guardare le cose.
L'effetto sortito da questo testo, come per tutti i libri del resto, dipende molto dalla fase della vita in cui lo si legge e ancor più dall'età in cui si affronta questa lettura.
Leggerlo da adolescente, secondo il mio punto di vista, può davvero essere "illuminante".
Nel mio caso leggendo Siddharta ho avuto l'impressione di avere un riassunto di tutte le mie riflessioni. E' come se Hesse avesse preso tutti i miei pensieri e li avesse sviscerati, analizzati e archiviati.
Della scrittura di Hesse poi ci si innamora.
Da leggere assolutamente.
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Il ciclo della vita
Con quest'opera, Hesse sembra affermarsi come grande e vero conoscitore della natura umana. Che cos'è la vita? La vita non è una catena composta da vari anelli, ma è un ciclo, un ciclo che comprende gli stati di: stasi,illuminazione e rinascita, per poi cadere di nuovo in stasi. Questa è la vita di Siddhartha, un continuo morire e rinascere. Il perché di questo movimento ciclico è da ricercarsi nella natura umana stessa. Il mondo sembra reggersi sulle opposizioni: non possiamo sapere cos'è la gioia se non sappiamo cos'è la tristezza, non possiamo conoscere il buio se non conosciamo la luce. Dunque, gli opposti si attribuiscono valore reciprocamente; è questo ciò che avviene nell'animo di Siddhartha, egli è alla ricerca di quell' ''IO'' che esiste in ogni animo umano, un ''IO'' che si sottrae al tempo e allo spazio, l'essenza umana. Tuttavia,come è possibile evincere dalle vicende del protagonista, si può essere spinti a tale ricerca solo dopo aver smarrito sé stessi nella materialità e aver perduto io il proprio '' io '' nel mondo degli , è questa la fase detta ''stasi''. Il protagonista capirà anche che non vi è dottrina capace di illuminare il suo animo, perché l'illuminazione non si può spiegare né insegnare, è un qualcosa di puramente soggettivo. Viene dunque enunciato quello che è il fallimento certo della ricerca della verità, qual'ora quest'ultima fosse condotta secondo una dottrina, la risposta, dunque, non è nei libri. Siddhartha è un uomo illuminato, ma è anche un uomo come tutti noi. Siamo nati e cresciuti in una società che ha immesso nel nostro animo un concetto di ''dolore'' e ''ferita'' palesemente errato. In ''Siddhartha'' il il dolore è analizzato attraverso un duplice approccio: è possibile spargere sale sulle nostre ferite , ciò avviene qual'ora si evitasse di vivere un dolore, nascondendolo. Ma è possibile far sì che nelle nostre ferite risplenda la luce, la luce della rinascita. Ciò ci conduce ad un concetto molto semplice: la vita può essere cosparsa di dolore ma è il nostro atteggiamento nei confronti di quest'ultimo a essere determinante.
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Viaggio alla ricerca di sé
“Siddharta” è un’altra pietra miliare della letteratura del Novecento. Il romanzo in questione narra dell’avventura spirituale del giovane Siddharta, figlio insoddisfatto di un bramino, che decide di intraprendere una nuova via di conoscenza assieme a Giovinda, suo amico di vita. I ragazzi si metteranno così in cammino per raggiungere gli Samana, asceti che fanno della meditazione e delle privazioni il loro stile di vita. Ma questo non sarà sufficiente ed i due ragazzi riprenderanno, dopo alcuni anni, il loro viaggio nel mondo, alla ricerca della saggezza e dell’illuminazione.
Dello stile c’è poco da dire: Hermann Hesse non tradisce. Sicuramente, vuoi per i contenuti eviscerati, vuoi per la sua predisposizione linguistica, il romanzo in questione sa risultare a tratti di difficile, ma merita davvero uno sforzo di concentrazione. In comunione con gli argomenti esposti, le espressioni sono elevate.
Il contenuto è indubbiamente concentrato: in nemmeno duecento pagine, l’autore tratta un viaggio materiale e spirituale, l’elevazione da uomo ad illuminato e lo fa in maniera completa e superlativa. Ho sentito però molte critiche a riguardo: la ripetitività delle frasi, delle azioni, dei pensieri. Sì, indubbiamente è vero e ciò non favorisce la fluidità della narrazione che, al contrario, spesso trascende nella pesantezza; ma bisogna affrontarne la lettura tenendo sempre presente il concetto preponderante: la ciclicità della vita, dell’Anima, della Natura. Ed allora anche la periodicità della scrittura assume un senso.
C’è un altro appunto, che mi sento di dover aggiungere per forza: non mi ritengo né un’amante né una conoscitrice di religioni orientali (anzi, di alcuna religione – N.d.A.), ma quest’opera mi ha affascinata, tenendomi incollata alle pagine immersa nell’atmosfera mistica dell’India.
Lo consiglio? Assolutamente sì. Potrebbe non essere la migliore opera di Hesse (e su questo non discuto), ma credo sia una tappa obbligata per gli amanti dei classici.
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Cos'è la conoscenza ultima?
Stiamo parlando di Hesse, un Nobel per la letteratura, un personaggio dalla vita travagliata, segnata profondamente da ben due conflitti mondiali; genio indiscusso della narrativa, quindi tutte le opinioni/recensioni che possiamo scrivere noi "comuni mortali" sono assolutamente superflue.
In "Siddharta", più che in altre opere di Hesse, si notano le sue profonde radici culturali di filosofia orientale, che tuttavia mai diventano dogmatiche o pretenziose nei confronti del lettore. E' una storia dalla forte strutturazione fiabesca, leggera, rilassante, ma estremamente sottile stilisticamente, evocativa ed allegorica. Essa narra della vita del giovane Siddharta, che col suo amico Govinda, decide di tagliare definitivamente le sue radici con il suo paese natale, per incamminarsi in un viaggio all'insegna dell'esperienza e della conoscenza. Dopo una breve parentesi ascetica dagli anziani saggi Samana, presso i quali apprende le nobili arti del digiunare, pensare e pazientare, Siddharta si avventura da solo nella futile vita degli "uomini-bambini", ovvero nella quotidianità dell'uomo comune, condannata ad un'eterna lotta tra gioia e dolore, povertà e ricchezza, amore ed odio, ansia e soddisfazione, ma che alla fine non rende niente all'uomo, se non fugaci note emotive, intercalate dalla monotonia e dalle dipendenze. Dopo molti anni decide quindi di abbandonare tutto e tutti, nonostante sia ormai segnato fisicamente e psicologicamente dall'età, per continuare il suo viaggio, ancora speranzoso di raggiungere la "conoscenza ultima".
In definitiva, il "Siddharta" di Hesse è un testo davvero unico, che induce profonde riflessioni sul senso della vita, sul tempo e sulla più profonda essenza della natura, di tutte le cose che ad essa appartengono, siano esse animate o inanimate. Lo consiglio a tutti, ad ogni categoria di lettore; è un libro dal quale puoi estrapolare tanti più significati quanti più vuoi riceverne.
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La ruota delle manifestazioni
Questo libro, questo noto libro, io in effetti non l'ho letto. I puristi storceranno il naso -ed io con loro- ma mi sembra doveroso precisare come io abbia appreso la storia di Siddharta: l'ho ascoltata.
Durante le ultime tre notti, poco prima che la veglia divenisse sonno, ho ascoltato i 12 capitoli del romanzo nella versione audiolibro raccontata da Enzo Decaro.
Ero già ampiamente a conoscenza di come il racconto di Hesse (pubblicato nel 1922) fosse divenuto col tempo uno fra i libri più inflazionati della letteratura del novecento, e probabilmente proprio per tale motivazione ho deciso di fruirlo in modo alternativo. L'esperienza si è rivelata piacevole.
Pur non essendo un esperto conoscitore delle dottrine orientali non ho faticato a scorgere il fascino magnetico esercitato ancora una volta da esse sull’ennesimo intellettuale occidentale (e su di me). Tuttavia, e in ciò sono critico, le due tradizioni filosofico-religiose (quella occidentale e quella orientale) si fondano su “modelli culturali” divergenti, i quali non possono essere integrati.
(Da una parte la concezione lineare ed escatologica tipica dell’occidente, dall’altra la concezione ciclica orientale). L’adattamento tra le due (avviato filosoficamente ed editorialmente da Schopenhauer un secolo prima) si rivela nel tentativo di Hesse -concettualmente- una mediazione tanto godibile quanto caotica.
Ciò che Hesse ha offerto col proprio calderone di influssi filosofici, oltre al “bildungsroman spirituale” per eccellenza, è una narrazione che sembra essere stata immersa nel sacro Gange, e che una volta emersa gocciola misticismo.
Mistico fin nel profondo il racconto lo è invece nell’essenza stilistica: lo stile di “Siddharta” è infatti fluido come l’acqua che scorre, e la sapienza espressiva di Hesse non è mai banale ma connota una ricercata semplicità.
Le parole sensuali (che parlano ai sensi) di un narratore esterno, onnisciente, ma soprattutto assai delicato, ci avvicinano all’interiorità del giovane Siddharta, figlio di brahmino.
Poche sono le descrizioni oggettive nel romanzo, ma con un lavoro deduttivo il lettore potrà definire agevolmente le coordinate spazio-temporali: India, VI-V secolo a.C.
Ma in fondo che importa del dove e del quando? In questa narrazione il tempo ha poca importanza; Hesse attraverso le proprie scelte lessicali e sintattiche vuole addirittura demolirlo il tempo, o almeno tentare di alleggerirlo.
Il viaggio interiore di Siddharta si svolge dapprima “contro” e poi “attraverso” il mondo: ciò che all'inizio è perseguito attraverso l'ascesi e la dottrina dei padri (meditare per distruggere l'”io” ed arrivare alla “vera verità” che si cela dietro le illusioni materiali) ben presto diviene insufficiente, e l'elogio dell'esperienza (la quale implica l'errore) si concretizza.
Nella rinuncia ad ogni dottrina che giunga dall'esterno (perfino quella insegnata dal Buddha, dal “perfetto” in persona) Siddharta riscatta il proprio io, e così, nel preferire “le cose” alle “semplici parole” si perde nel mondo degli "uomini-bambini" (Hesse qui mi pare potente ed autentico).
Nell'incipit del "Convivio" Dante ebbe scritto che per natura “tutti li uomini desiderano di sapere” e Siddarta, da uomo, dovrà fare i conti con il proprio scopo: il desiderio di conoscenza e di autoaffermazione. E' buffo constatare come il rifiuto di dottrine sia sempre parallelo al bisogno costante di “particolari maestri” (se stessi, il sesso, un fiume) e come l'accumulo di conoscenza -quando perseguito- è ciò che maggiormente allontana dalle risposte e dalla saggezza. In virtù di ciò la maturazione del personaggio mostrerà al lettore come il punto di arrivo non possa essere una “mèta evolutiva” bensì una "scoperta casuale e immanente"; nella ruota delle proprie manifestazioni (perché tutto è ciclico, e tutto ritorna) Siddharta prenderà atto di come il tempo sia un'illusione ed una convenzione necessaria agli uomini, e come le sue mutevoli ed eterogenee tappe esistenziali non erano altro che la semplice manifestazione assoluta dell'infinito nel finito.
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Un Picaro nell'India del VI secolo a.C.
È la ricerca dell’assoluto ciò che induce Siddharta ad abbandonare la casa paterna. Un percorso di conoscenza attraverso il dolore, che lo porterà inizialmente a spogliarsi degli inutili orpelli della vita, per raggiungere quella purezza di spirito che è il fine ultimo del suo viaggio.
Svuotarsi dei desideri, privarsi del cibo, delle bevande, di ogni gioia e di ogni sofferenza, è la condizione unica per risvegliare il grande mistero che giace in fondo all’ essere. È così che Siddharta giunge alla mortificazione del suo corpo, per esaltare il suo spirito, seguito dal fedele Govinda. Egli è il grande Samana, il grande pellegrino, che tuttavia non riesce ad abbracciare nessuna dottrina, neanche la dottrina del Buddha, perché essa gli impedirebbe di scendere a fondo nel suo io e di conoscere la vera natura del suo essere, di giungere all’illuminazione.
Rimasto solo, Siddharta prosegue il suo viaggio che lo allontana dal proposito di esaltare il suo spirito, mortificando il suo corpo e giunge dunque a conoscere i piaceri dell’amore tra le braccia dell’etera Kamala. Sperimenta la vita nella ricchezza nel lusso e nella lussuria per lungo tempo, fino al giorno in cui il suo spirito risorge e gli impone di lasciare quei luoghi dove ha vissuto nell’ozio e nella prepotenza troppo a lungo.
Solo l’incontro con Vasudeva sollecita la consapevolezza di Siddharta, che capisce quale grande errore sia voler scindere nell’uomo la sfera spirituale da quella materiale. Solo il giusto equilibrio tra corpo e spirito può rendere l’uomo parte armoniosa dell’universo. Ed è il fiume, a questo punto della narrazione, che assume un ruolo fondamentale. Il fiume, con il suo scorrere, rappresenta simbolicamente la vita e tuttavia è proprio il suo scorrere a sovrapporre il presente al passato, proiettandosi verso il futuro. Piani temporali che suggeriscono l’idea dell’eternità. Hesse ha certamente assimilato le teorie filosofiche di Eraclito, con il suo principio del panta rei, insieme allo stesso paradosso di Zenone che dimostrava il principio del non movimento, per non parlare delle moderne teorie bergsoniane del tempo come un unicum tra passato presente e futuro.
Non è solo, tuttavia, la componente filosofica a fare di questo romanzo un grande saggio sui valori della vita. Non è meno importante la tendenza moralistica e didascalica che riguarda più da vicino il rapporto padre-figlio. Con dolore e amarezza Siddharta dovrà rassegnarsi a lasciar partire il figlio nato dalla sua unione con Kamala. Solo in quel momento realizzerà quanto doveva aver sofferto prima di lui suo padre, nel momento in cui egli aveva deciso di lasciare la casa paterna. Suo figlio, come lui stesso, anni prima, compirà errori, soffrirà nelle sue peregrinazioni nel mondo. Non ci sarà protezione, né riparo, né rifugio. È l’esperienza che porta alla conoscenza, è il libero arbitrio la massima facoltà che si concede all’uomo.
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La ricerca
PROBABILE SPOILER
Siddharta non è un romanzo di formazione lineare, ma ciclico. Tutta l'opera si sviluppa sul principio della ruota della reincarnazione. Il protagonista rinasce e muore da ogni sua esperienza, fino ad amarle tutte. Siddharta alla fine della sua vita assapora e vede vicino se la saggezza che non è dottrina o parola, esemplare a tal riguardo il monologo con Govinda, ma consapevolezza del mondo e abbandono alle illusioni. A lui non importa se il velo di Maya esista davvero perchè anche se tutto fosse un'illusione, allora ogni cosa sarebbe simile a lui. Il sorriso sul suo volto, lo stesso dei santi che ha incontrato, è il termine della sua ricerca. La sua ansia di trovare la vera saggezza svanisce nella tranquillità di un fiume che parla più di chiunque gli abbia mai parlato. E la sua pace, il suo Nirvana, si finalizza nell'amore incondizionato per un mondo che non saprà mai com'è nell'essenza, per cose che sono allo stesso tempo statiche e infinitamente mutevoli, per una realtà che non è mai unilaterale ma ha sempre due direzioni opposte e confluenti, in un Io che è sia fisico sia spirituale. Siddharta scopre il Tao come unione di Yin e Yang.
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Capolavoro
Siddharta di Herman Hesse è un libro unico. Definita un’opera storicamente rilevante nella letteratura mondiale del novecento, ripercorre la vita di Siddharta, un ragazzo indiano che cerca. Cosa cerca? Cerca se stesso, cerca la sua strada. Partendo dalla vita nel suo villaggio natale, la storia ripercorrerà tutte le tappe e le esperienze che Siddharta farà: misticismo, privazioni, buddhismo, amore, soldi, divertimento, senso di colpa, consapevolezza e infine illuminazione. Dopo numerose peripezie il giovane capisce quindi che la vera consapevolezza non si trova con dottrine e maestri, ma dentro di noi.
Siddharta, protagonista del romanzo, è in un certo senso ognuno di noi. Tutti noi compiamo un viaggio e tutti noi incappiamo, prima o poi, nei vari problemi esistenziali: chi siamo, cosa facciamo e dove andiamo?
Lo stile del libro è elegante e raffinato e ben si adatta all’orientamento spiritualistico del libro.
Questo libro parla quindi dell’inquietudine adolescenziale, del senso della vita, della ricerca di se stessi e della vera pienezza interiore. Ogni persona alla ricerca della pace interiore, deve necessariamente compiere un percorso spirituale e fisico, fare esperienze e meditare. Non esistono scorciatoie che permettano di raggiungere la meta. Proprio per questo Siddharta utilizzerà tutta la sua vita per ottenere questa illuminazione: compirà ogni tipo di esperienze, mediterà su ciò che ha fatto e sempre riuscirà a trovare la giusta strada da solo. Herman Hesse con questo libro vuole mostrare come ognuno di noi possa trovare una pace interiore che non sia solo fittizia: ciò può avvenire solamente tramite conoscenza, dubbio ed esperienze. Ogni esperienza della nostra vita è un mattoncino che si aggiungerà alla nostra casa interiore: bella o brutta, ogni esperienza contribuirà a formarci, a renderci veramente “noi”.
Personalmente mi sento di consigliare questo libro a chiunque cerchi risposte dalla vita. Ognuno lo interpreterà secondo le proprie esperienze e la propria impostazione mentale. A mio parere, persino una stessa persona che lo leggesse in periodi diversi della propria vita potrebbe comprendere particolari nuovi e interpretare il testo in modo diverso.
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Vivere è la via
Hesse attua un' analisi interessante sul mondo dell' "oggi", sul mondo della soggettività di ogni uomo.
La figura di Gotama è fondamentale per poter comprendere il messaggio cardine di questo libro:
si raggiunge l' illuminazione (non necessariamente da intendersi con significato buddista, ma con benessere spirituale, quotidiano) nel momento in cui la si sperimenta; l' illuminazione si vive, non si applica. Non è regola da seguire, ricetta donataci da qualcun altro, ma è esperienza di realtà.
Le parole pronunciate ad altri non sono sensazione, bensì descrizione della sensazione e quindi non riportano l' ascoltatore nello stato medesimo dell' oratore.
Tutto il libro si fonda su questo: sperimentare senza prescrizione la realtà per conoscere noi stessi.
Naturalmente da non trascurare c' è anche il suo stile: originale e allo stesso tempo attraente, che rende il libro inconfondibile ed unico nel suo genere.
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Piccolo e prezioso tesoro
Il romanzo presenta un lessico alto ma originale, strano e affascinante allo
stesso tempo. Come spesso accade con i libri di Hesse, inizialmente può
risultare difficile capire il messaggio che l'autore vuole trasmettere.
Scavando, però, tutto viene a galla: un messaggio di spiritualità,
un'elevazione superiore che ci avvolge, come un caldissimo abbraccio. Il
libro non solo offre un insegnamento morale, ma impartisce anche una lezione
di spessore sul modo di giudicare per essere giudicati, su come cercare il
nostro "io", la vera conoscenza e su quanto possa essere facile cedere alla
tentazione del peccato. Essenziale, anzi esistenziale. Lettura veloce e
piacevole, molto sottile in alcuni passaggi, ma in grado di toccare le corde
dell'anima, farle vibrare e produrre una rara melodia, udibile solo nelle
nostre profondità. Ancora una volta, tanto di cappello al grande scrittore
tedesco.
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Siddharta di Herman Hesse
Sicuramente un libro di formazione: Siddharta è alla ricerca della propria strada.
Nella sua vita entra in contatto con le cose di tutti i giorni, si sporca le mani con il peccato, prova i tormenti che viviamo tutti e solo alla fine, come ciascuno di noi si augura per sè stesso, trova la liberazione. Questo libro ci dice che anche il più puro degli uomini, prima o poi entra in contatto con il peccato e nessuno è solo Santo o solo peccatore. Siddharta è il simbolo di chi è alla ricerca: del metafisico, dell'illuminazione e di sè stesso. E' il bisogno di ciascuno di noi di trovare un senso, cercando non solo all'esterno, ma anche all'interno di sè, per entrare in contatto con la propria unità e cercare di diventare un entità completa e assoluta.
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Siddharta deve stare all'uomo come il peluche sta
Questo libro nella mia vita ha una storia, e già di per se dunque risulta importante.
Aperto e tirato fuori la libreria all'età di 17 anni, subito richiuso e rimesso nella libreria.
Dopo circa 5 anni ingloriosi per lui trascorsi con due vicini ingombranti come lo spocchioso e misantropo " lupo della steppa" e il raffinato "Narciso e Boccadoro"- l'ho ripreso ed entrambi abbiamo cominciato a toglierci la polvere di dosso.
Un libro che illumina, ti guida come una bussola e allo stesso tempo getta l'ancora nel mare della vita quando è in tempesta, punto fermo che ogni tanto ci vuole, per analizzare, riflettere e ripartire …
quando c'è il sereno.
Inutile star qui a raccontare trama e contenuto di questo libro, credetemi, passano in secondo piano, perché l’emozione che lascia, leggendolo, illumina talmente tanto da oscurare il resto.
Mentre sfogliavo quelle pagine pensavo che sarebbe l’apice dell’istruzione, cultura e disciplina che un genitore può dare ad un figlio perché questo libro è la bandiera di una parola ormai non più comprensibile per molte, forse troppe persone – il rispetto.
E così ora il libro è lì, in libreria, sempre con quei due compagni e chissà se ora a distanza di anni lui cosa ne pensa di me, dei pensieri che avevo mentre leggevo e di quelli che ho ora, ma una cosa è certa, lui … il libro,
è sempre lo stesso.
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questa pietra....è ed è sempre stata tutto.
Lettura da ‘almeno una volta’ nella vita.
Letto in due diversi momenti della mia vita. Esaltato la prima volta, il vademecum della ricerca di se stessi.
Della ricerca dello spirito, della pace con l’universo ecc ecc…
Ora in questi giorni, mi sono un po’ indispettita, pur adorando sempre l’autore e il testo.
Mi sono detta, con questo euro del cavolo che ci fa diventare tutti poveri e pidocchiosi, dovendo stare attenti ad ogni spesa anche minima, lavorando il più possibile, chi potrebbe dedicarsi alla ricerca di se stesso, senza morire di fame?
E’ la dimostrazione che il libro che vai leggendo , viene vissuto da ognuno anche in base al suo stesso momento interiore. Lo stesso individuo lo interpreta diversamente, in momenti diversi della sua stessa vita.
Bando a queste considerazioni, Hesse compie un viaggio spirituale e carnale, alla ricerca di ciò che l’individuo vuole dalla propria vita, il significato che dà alla propria vita. Come l’individuo si colloca nell’universo.
Cerca, cerca , testando varie emozioni e diversi modi di vivere, ma quando incontra colui che è parte di
sè, sangue del suo sangue, è disposto a soprassedere, a passare oltre le sue convinzioni, a mollare tutto.
Siddharta, è intelligente, bello, curioso, ha già ciò che altri si accontenterebbero di possedere, ma proprio le sue doti , le sue capacità lo spingono a cercare di più, sempre di più.
Forse tanti di noi nel loro mondo, cercano continuamente di più, sapere, imparare, conoscere, ascoltare,
fare , poi si fermano e tirano le somme, della propria vita, scoprendo che forse le cose che avevano sotto gli occhi sono quelle che contano.
Non ho capito niente?? Forse io ho letto un altro libro??
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Siddharta
Mi ha lasciata un po basita.
Un altro libro ha scatenato questa specie di turbamento/vuoto/confusione/sorpresa ed è stato "Il Piccolo Principe" quindi non lo reputo negativo come libro, anzi.
Di solito i libri di questo genere sono quelli che durano nel tempo e nella mia libreria, gli altri tendo a lanciarli via prima o poi.
Ma questo... Non saprei.
Scusate l''ignoranza ma io ero convinta che Buddha fosse Siddharta illuminato invece ero lontano anni luce, detto questo il resto del libro l'ho letto velocemente.
Mi è scivolato fra le mani come il fiume che contempla Siddharta.
L'amore, il karma, il ripetersi delle azioni e dei sentimenti..
E poi c'è il viaggio.
L'unico viaggio realmente importante, che è quello all'interno di se stessi.
Mi sono accorta che io sono Siddharta.
Alla costante ricerca di risposte alle mie domande, una costante e faticosa ricerca di qualcosa che mi allontani dal vuoto e che mi avvicini a me stessa e la sensazione di paura che allo stesso tempo ci allontana dal nostro fulcro.
Quanto incompleti e infelici siamo quando ci proiettiamo all'esterno, quando crediamo che tutto ciò che ci manca è ad un passo da noi ma in realtà è proprio li, dove siamo noi..
Possiamo essere ricchi, belli, intelligenti, super fedeli o nulla di tutto ciò ma finche non raggiungiamo quella zona felice e protetta dentro di noi chiunque viaggera alla ricerca di qualcosa senza sapere cosa.
La morte vista sotto forma di trasformazione, il tempo come un'illusione e l'amore l'unica cosa che lega tutto e che fa risplendere tutto.
E' incredibile sapere che gli stessi disagi e le stesse sensazioni le provavano un tempo come le proviamo noi oggi.
Ma la domanda che ha scatenato questo libro in me è: dovrò essere in punto di morte per trovare la serenità o posso trovarla anche oggi?
Forse non è una recensione questa, sono riflessioni buttate di getto nella speranza che arrivino a qualcuno che sta vivendo la stessa cosa.
Questo è ciò che ho provato, questo è ciò che mi ha fatto emergere.
Unico appunto: non credo sia l'opera migliore di Hesse.
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- sì
- no
alla ricerca di sé
Non è un romanzo ne tanto meno un saggio; è la storia di una rivelazione.
È uno di quei libri che si decide di leggere perchè “bisogna farlo”. Cerco di spiegarmi meglio. La trama di Siddharta come romanzo non è avvincente, non ci sono colpi di scena, uccisioni o suspance di qualche tipo. In maniera molto poetica, mi piace pensare che quando si è pronti il libro viene a sé e solo in quel momento si sente il bisogno di leggerlo.
Hesse racconta della vita dell' uomo Siddharta, del suo percorso alla ricerca della verità che comincia per lui da promettente monaco che ripete ripete ripete a memoria le preghiere che altri monaci illustri prima di lui gli hanno insegnato. Siddharta in un primo momento è convinto che questa sia la Verità, che non ci sia niente altro da capire, anche se.. anche se sente sempre qualcosa, una sensazione di disagio, di insofferenza che in qualche modo lo spinge a cercare.
Incontriamo allora il Buddha, l' Illuminato.
A questo punto del libro sono rimasta affascinata dalla capacità di Hesse nel descrivere le diverse strade che Siddharta e Govinda, suo compagno di viaggio, prendono, senza per questo leggere tra le righe una sorta di indulgenza da parte dell' autore nei confronti del giovane che “si ferma” a metà percorso.
In realtà il messaggio di Hesse tra queste pagine è: “Let it be”. Si è la canzone dei Beatles, ma la frase è significativa perchè esprime ciò che voglio dire.
In Siddharta, Hesse ci chiede di lasciare che ognuno trovi la sua verità, poco importa che questa provenga da una dottrina già esistente o se invece appaia senza preavviso tra le onde di un fiume, dopo una vita passata a sperimentare.
In un certo senso mi ha fatta pensare alla continua insofferenza di Orazio, autore delle Odi. Il collegamento può sembrare azzardato in effetti, ma l' ansia di ricerca, l' instancabilità con la quale Siddharta cerca una tranquillità dell' animo che trova solo con la piena maturità mi hanno ricordato Orazio, che seppur con modalità differenti passa una vita intera a rincorrere sé stesso.
Unico appunto è la ricercatezza della sintassi; in un romanzo nel quale la speculazione filosofica è il fulcro della trama, avrei apprezzato un linguaggio più essenziale.
Bisogna però rendersi conto che il libro è stato scritto in un tedesco nel 1922, e la traduzione (immortale) di Massimo Mila è del 1945, dunque una certa difficoltà di comprensione bisogna metterla in conto.
È un libro che fa riflettere. Una volta chiuso, si rimane immobili per qualche minuto sul letto, sulla sedia o anche alla fermata dell' autobus, con gli occhi persi del vuoto a chiedersi quale sia il senso della vita.
Siddharta è nella top ten dei dieci libri che bisogna leggere nell' arco della vita.
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La ripetuta imperfezione dell' on/off
Siddharta, malgrado la notorietà e la moda, non è da considerarsi allo stesso livello delle altre opere di quel grande autore che risponde al nome di Hermann Hesse e la ragione essenzialmente è solo una: la ripetitività. La ripetitività del messaggio che ci vuole trasmettere lo scrittore che rendere tremendamente monotona tutta l’opera.
Il protagonista del libro, è un ragazzo in cerca della sua strada o meglio della strada principale, la via verso l'illuminazione, il nirvana, quello stato cioè di elezione spirituale che è il fine ultimo di gran parte delle filosofie e delle religioni note ai più e che si dovrebbe raggiungere più per intuizione che per conoscenza ma che di fatto si dice inarrivabile senza osservare (e dunque averne conoscenza!) tutte le leggi, i precetti e le regole dettate (talvolta persino imposte) dalle sopracitate filosofie, religioni, culti o scuole di pensiero che dir si voglia. Uno stato insomma in cui si dovrebbe raggiungere la totale (o massima possibile) consapevolezza ed elevarsi al pari di divinità tra gli uomini per insegnar, agli uomini, i restanti non ancora illuminati, il vero, il giusto e mostrar così loro la via.
Certo vien da considerare che, una volta mostrata, normalmente andrebbe compresa e seguita, e se si mostra, se c’è uno che te la indica, non è che sia così necessaria l’intuizione, ma non divaghiamo.
Il libro di per se dunque non è altro che la biografia di Siddharta, la sua vita, le tecniche che impara, che utilizza, i singoli percorsi che intraprende e le sue continue peregrinazioni verso quell'obbiettivo supremo che, nella fattispecie, è lo stato di Buddha. Le strade sono tante, alcune passano per la totale astensione/astinenza, altre per la totale conoscenza, alcune per la mortificazione del corpo come specchio dell'io, altre per l'appagamento completo dei propri bisogni, della propria volontà. Siddharta le prova tutte, e tutte si rivelano corrette e tutte si rivelano inutili. Alla fine le abbandona con negli occhi sempre il miraggio dell'obbiettivo senza mai riuscire a raggiungerlo finché, ormai vecchio e travolto dalla vita reale, comprende la via, anzi no… la intuisce!, capisce i suoi errori e scopre che non c'è nulla da scoprire, nulla a cui tendere, poiché è già tutto lì dove si trova, dove è sempre stato, e scopre che ha passato anni a rinunciare al reale per trovare… il reale e questa realtà, "antropomorfizzata" nel fiume presso cui si stabilisce, non è nient’altro che quella di una vita normale, semplice, comune... appunto reale.
Dunque una vita di ricerca sprecata? No, ci dice Hesse, poiché comunque, come insegna il fiume (che a quanto pare la sa lunga) a Siddharta, anche se la sua è stata una vita di ricerca, più mortificata che appagata, è pur sempre stata una vita, un viaggio, un percorso e come tale non è sprecata ma… be, vissuta. Del resto che altro si può fare con una vita se non viverla?!
La ricerca della realtà nella realtà, lungo una vita vissuta... questo è il messaggio del libro, se vogliamo la sua sintesi ed è un messaggio che potrebbe apparire fin troppo ovvio, lapalissiano, ma a ben cercare, a ben vedere (sempre se vogliamo) potrebbe nascondere una profondità non così scontata, la stessa profondità che talvolta può soggiacere al detto “tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.” Poiché è vero che la vita la si vive e cercare la realtà nella realtà sembra un inutile perdita di tempo, ma non è tanto la ricerca, l’azione del vivere, quanto quella del rendersene conto, del singolo soggetto pensante che in una frazione di secondo ha quella “benedetta” illuminazione, quell’epifania che aveva inutilmente cercato per anni e che gli fa dire “io sto vivendo e sono reale perché vivo.” Cosa ne derivi da questo… be è tutto da vedere, alcuni potrebbero diventare come si diceva dei santi, delle divinità in terra e trasmettere questo messaggio agli altri uomini, altri invece potrebbero semplicemente guardarsi allo specchio e maledire la serata precedente durante la quale avevano sicuramente bevuto troppo, altri infine presi dalla caoticità della sopracitata realtà potrebbero semplicemente scordarsene al primo trillo del telefono o al primo “regalino” del volatile di turno sulla macchina appena lavata; questione di personalità, di gusti, di predisposizione, ma il messaggio del libro comunque resta e nella suo ambito particolare rimane importante. Dunque perché definirlo ripetitivo, perché ridondante, e al punto da rendere monotono l’intera opera, tanto più che si tratta di un libretto che pubblicato in un formato normale conterebbe si e no un centinaio di pagine?
Poiché ogni tecnica adottata dal protagonista e ogni fase della sua vita è estremamente somigliante alla precedente, alla successiva e ad ogni altra, e se gli episodi a contorno di queste variano e sono marginalmente differenti, il messaggio, il significato, lo sforzo, e il risultato finale sono sempre gli stessi. Da qui la noia.
Certo qualcuno potrebbe ribattere che il messaggio che reca questo volumetto è talmente importante, talmente realistico e pregno di quella tanto agognata realtà da trascendere le futili critiche che si possono muovere al testo…
Va bene, ma se proprio si vuole mettere i puntini sulle i a ben vedere è sbagliato anche (se non “persino”) l’approccio di Hesse all’evoluzione del personaggio: è vero, è realistico, chiunque intraprenda un cammino simile a quello di Siddharta si ritroverà più volte a sbattere il naso contro dei vicoli ciechi che lasciano solo il rimpianto del tempo sprecato e mortificano il pellegrino con soltanto l'aroma dell'obbiettivo supremo, sono i cocci aguzzi di bottiglia del miraggio di Montale, ma è anche vero che ad ogni tentativo fallito corrisponde un accrescimento personale, e raramente vi è una chiusura totale al periodo, alla fase e alla tecnica precedenti. Al contrario queste alle volte sono una spinta, un coadiuvante, uno stimolo ulteriore a concentrare le forze verso il raggiungimento del proprio scopo. Ogni fase nella realtà, nella vita vera di ogni giorno, (poiché il messaggio di Siddharta vuole essere universale e dunque applicabile ad ogni contesto e dunque raffrontabile persino con l’attuale) è concatenata e i passaggi da una fase all'altra sono importanti quanto le fasi stesse. In Siddharta no, complice anche la disposizione dei capitoli e la loro netta divisione, sembra di assistere ad un lungo elenco di tentativi andati a vuoto e non ad una vita vissuta. Tanti episodi, diversi per dinamiche ma simili per struttura: Siddharta non si trova bene - abbandona la vita precedente – prova una nuova via – sembra funzionare – non funziona – delusione – abbandono e così via fino al termine del libro. E l’evoluzione dell’uomo, l’evoluzione del singolo essere lungo tutta la sua vita in virtù delle esperienze positive e negative si perde, scompare, s’annulla.
Se fosse esistito veramente questo Siddharta non sarebbe stato un uomo che aspira all’immortalità, alla totalità ecc., sarebbe stato un computer, un meccanismo che ad ogni ingrippo si resetta automaticamente e mal che vada si spegne e si riavvia, on/off e di nuovo che ricomincia da capo a cercare la via, ad illudersi, a commettere degli errori, ad impallarsi; ma un essere umano non è così, un uomo ha ricordi, un uomo ha esperienza, possibile che lui non tragga nulla da quelli, possibile che lui non tragga nulla da quella?
Ma non è tanto questo, potrebbe riabbattere ancora qualcuno, è il fine, è l’uomo che è strenuamente volto al perseguimento del suo scopo e il libro ne è la diretta conseguenza.
Vero ed è altrettanto vero che quando ci si pone un obbiettivo si tende a trascurare il contorno, il “tutto il resto”, ma se si è compreso il messaggio del libro si dovrebbe capire che è proprio quel contorno il più delle volte ciò che conta di più, è quel che accade nella vita di ognuno ai margini della sua focalizzata visione il più delle volte ad essere importante perché pur essendo ai margini si interseca costantemente con la vita ed in quanto inaspettato talvolta dona piaceri, talvolta delusioni ma sempre esperienze, sempre evoluzione.
Dov’è l’evoluzione in Siddharta, dov’è il contorno alla sua vita? C’è ma è appannato è in secondo piano, è inconsistente. Hesse è qui che compie il suo errore: non si rende conto che scrivendo così, crea sì un personaggio, crea si un anima alla ricerca di qualcosa, ma è un personaggio inutile, una anima vuota, poiché priva di connotati, priva di involucro esterno, priva di ogni singolo aspetto che lo rende, vivo, umano, normale.
E questa considerazione vale per Siddharta uomo quanto per Siddharta libro, poiché quando si legge il libro più famoso di uno dei più grandi scrittori della storia non ci si aspetta che solo il significato del libro, il suo messaggio e la vicenda siano all’altezza della fama, ma ci si aspetta che lo sia anche la confezione e lo stile, altrimenti ogni più impercettibile sbavatura viene rilevata come una stonatura e tanto più il tema centrale è elevato ed aulico tanto più l’imperfezione, vuoi di forma, vuoi di contenuti vuoi, ancora una volta di contorno, risulta stridente.
A onor del vero parlando puramente di forma non si può non ammettere che lo stile con cui è scritto questo libro inizialmente non sia accattivante, esso infatti è molto diverso rispetto a quello degli altri libri dell’autore, è di fatto uno stile che rimanda a quello dei testi antichi, sacri, ed è uno stile quanto mai appropriato considerata la vicenda in essere. C’è da notare anche che oggi giorno sono pochi gli scrittori che possono vantare uno stile personale e chi riesce, come qui Hermann Hesse, addirittura a trasformarlo a seconda del genere, pur mantenendo intatta la propria essenza non può che essere considerato un maestro. E sempre a onor del vero, non è vero (scusate il gioco di parole) quello che si sente dire in giro da taluni lettori che i contenuti sono difficili, i discorsi incomprensibili, la logica astrusa ecc. ecc. Forse lo erano per l’epoca, per il rigido enviroment cultural – popolare in cui inizialmente s’era inserito questo testo, ma di fatto i temi trattati per quanto aulici sono spiegati con chiarezza e semplicità e sono veramente alla portata di tutti; ne è prova che, al mutare del sopracitato ambiente sociale, il testo venne adottato quasi a manifesto di propaganda di certi neo- nati movimenti volti alla riscoperta (o scoperta) delle filosofie orientali. Tuttavia tanto il “quanto mai appropriato stile” con cui è stato plasmato Siddharta, tanto la semplicità dei contenuti, alla prima ripetizione, alla prima scena replicata, tendono a mimetizzarsi tra i paragrafi e i capitoli mentre il lettore, tra uno sbadiglio e l’altro, conta le pagine mancanti all’ovvio finale in cui certamente (poiché si capisce fin da subito che sarà così) Siddharta scoprirà la via una volta per tutte e non romperà più le scatole con i suoi mal riusciti tentativi.
Mi rendo conto con queste ultime considerazioni di essermi lasciato prendere troppo la mano con le critiche, in fondo si sta parlando sempre di un libro che ha fatto la storia della letteratura ma è veramente avvilente trovare un testo che per chiarezza, cadenza, solennità e talvolta anche contenuti (particolarmente interessante il piano sociologico che accomuna le fatiche del figlio del Bramino ai problemi dell’uomo moderno, la sua costante ricerca e il suo costante sentimento di travagliata inadeguatezza, ai valori imposti dalla società contemporanea.) potrebbe essere annoverato tra i più grandi e per colpa di una patologica mancanza di inventiva, anche se sembrerebbe quasi di voglia, viene classificato da alcuni come noioso, banale, astruso e desueto. E scoprire per di più che per certi aspetti, quegli “alcuni” hanno ragione!
Sarebbe bastata un po’ d’inventiva in più, sarebbe bastata un po’ di logica in più… Ma nella realtà non c’è mai niente di perfetto e la delusione che si prova a trovare l’imperfezione in un testo così famoso è quanto mai fonte di esperienza per ogni lettore. Peccato solo che Siddharta, l’esperienza, non sappia cosa sia…
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Digiuna, attendi, ascolta
Siddharta è l'opera più universalmente nota di Hermann Hesse. E' un romanzo breve, amato soprattutto dai giovani. Parla di una continua fuga di fronte all'io, alla ricerca della strada delle strade, in una continua sete del sapere, piena di interrogativi esistenziali, che cerca di andare oltre a tutte le cose che la vita ci mette davanti per stordirci, al fine di scoprire il senso della vita stessa. Questo libro breve ci insegna a discendere all'interno di noi stessi, ci insegna che pensare è conoscere le cause ultime, ci dà pillole di preziosi consigli: digiunare, aspettare con pazienza, ascoltare. E' un pò uno slogan, analogo al più recente "Mangia, prega, ama". Anche se è il suo libro più famoso, non è qui che questo autore si esprime nel suo stile migliore e quindi, pur essendo di alti contenuti, la lettura non è troppo fluida e risulta un pò faticosa.
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E' possibile trovare la vera pace dei sensi?
Quello che, all'apparenza, può sembrare un "normale" poema indiano, che unisce il tono lirico e la serietà delle meditazioni, è in realtà un romanzo pieno di fascino e di lezioni di vita pratica. Perché Siddharta trascorre praticamente tutta la sua esistenza con l'unico obiettivo di ricercare, trovare e godere dell'Om, quella pace dei sensi che regala il vero l'equilibrio interiore.
Si parte dall'annichilimento fisico del soggiorno coi Samana e dalla separazione dal migliore amico Govinda, passando per il periodo del "piacere totale" con l'amante Kamala, per la difficile convivenza con il figlio omonimo e per il meraviglioso "incontro-dialogo" conclusivo: una vita, quella di Siddharta, che procede "a tappe forzate", quasi a sottolineare la necessità di quel percorso graduale per conoscere il mondo circostante e il nostro Io in tutte le sue sfaccettature.
E' straordinario il modo con cui Hesse evidenzi, allo stesso tempo, l'astuzia del peccato, capace di permeare subdolamente anche nelle anime più irreprensibili, e il ventaglio di alternative a disposizione per rifuggirlo in modo duraturo: un romanzo di formazione in piena regola, predominato da ipotassi, sintassi ricercata e ambientazioni di second'ordine.
Ne consiglio la lettura anche per i riferimenti a Schopenhauer: l'eterno conflitto tra fenomeno e noumeno, la forzata negazione della Volontà, la necessità di oltrepassare il 'Velo di Maya' e l'ipotesi del suicidio sono i principali concetti estrapolati dalla filosofia del pensatore tedesco. Non senza qualche critica costruttiva.
Silenzioso soffio di noistessi che si perde nel Tu
Dai commenti e dai voti ricevuti da questo libro noto solo una cosa lampante: chi lo odia e chi lo ama; ma chi lo odia è come se lo avesse amato in ogni caso... Quanto a me rimpiango solo di non averlo letto molto tempo fa, quindi.. se tu non lo hai ancora letto, cosa aspetti ? Immergiti subito in Siddharta, e perditici ma solo per ritrovarti; ma se fosse stato più lungo mi ci sarei perso a lungo e anche più volentieri, consiglio certamente anche la lettura di molti altri racconti del grande Herman Hesse, se ne trovano diversi in varie raccolte e tutti hanno qualcosa da dirci, anzi meglio dire che hanno letteralmente qualcosa di molto importante da sussurrarci direttamente nel cuore :)
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colui che cerca
Siddharta, un ragazzo che abbandona la famiglia per cercare ,cercare se stesso ,cercare il proprio io. Abbandona tutto ciò che aveva di materiale,rrespinge i desideri gli impulsi gli istinti.Medita riflette segue molte dottrine e maestri ma non si ferma con nessuno . Nessun principio e nessuna dottrina gli appartiene.Dopo anni di meditazione e povertà la sua vita cambia si lascia andare a tutto ciò che aveva sempre negato, lussuria denaro ...Diventa anche lui un uomo-bambino ma resterà sempre in lui quella particolarità che lo distingue e lo ha reso un samana.
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la ricerca di se stessi
Siddharta un ragazzo figlio di un bramino va via di casa per cercare il vero senso della vita per conoscere il proprio io e si imbatte in incontri bizzari passa momenti di poverta' assoluta e momenti di ricchezza, abbandona vecchi amici e ne trova di nuovi,cede alle tentazioni della lussuria dopo aver praticato l'astinenza ,delusioni d'amore non corrisposto soprattutto nei confronti del figlio per trovarsi alla fine a riparlare da anziano saggio con il suo vecchio amico Govinda,
A volte penso che mi piacerebbe ritornare ad essere adolescente con la testa che ho oggi ma probabilmente sono cosi' grazie a tutte le esperienze che ho vissuto finora................
Al liceo ho dovuto leggere questo libro "costretta" dal mio professore di filosofia e non mi era piaciuto ho provato adesso 20 anni dopo a riprenderlo perche' mi son sempre chiesta come mai fosse un romanzo cosi' famoso e col senno di poi sicuramente ho apprezzato di piu' i temi affrontati ma decisamente non fa per me questo genere di letteratura troppo filosofica non sono all'altezza preferisco racconti piu attuali.
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La vita e il viaggio
Lo lessi tempo fa, quando andava di moda su Facebook tra le pagine di citazioni.
Indubbiamente bello, nulla da dire, lo trovai sotto certi aspetti piuttosto pesante.
Siddharta è un ragazzo, è uno di noi, che non sa cosa fare nella vita e della vita, e decide di viaggiare, esplorare, scoprire le molteplici culture dell'India antica. Incontrerà personaggi unici, ragazze bellissime, filosofi dalla saggezza sconfinata, ricchi mercanti, barcaioli mezzi pazzi... tutti con un solo scopo: far capire a Siddharta il vero senso della vita.
Hesse si ricollega a Shopenhauer e Nietzsche nel riprendere le grandi teorie del Nirvana e dell'Om, descrivendo mondi e luoghi assolutamente estranei e selvaggi al pubblico a cui il libro era destinato.
La pecca del romanzo sta nel come viene espresso il messaggio: troppo debole, troppo lontano dallo stile "germanico", forte, audace, diretto, mirato. Il grande, grandissimo messaggio del "carpe diem" indiano viene diffuso fievolmente, come sussurrato, che può essere anche non compreso ad una prima lettura.
Consigliato a chi "cerca" nella vita e a chi crede di aver già trovato tutto quello che c'era da cercare.
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Il viaggio non è il mezzo, ma lo scopo....
Qualcuno disse "non esiste viaggio più affascinante di quello alla scoperta di se stessi", eppure pensare a "Siddharta" come ad un "percorso interiore" dentro la propria storia, come all'esasperazione del soggettivismo individuale dove latita la presenza del "divino", sembra estremamente riduttivo.
Infatti quello del protagonista non è un semplice errare nello spazio, è un cammino spirituale, scandito da una prosa dell'interiorità, contornato dall'incanto e dall'evanescenza di luoghi irreali,impalbabili fatti di fiumi, boschi, giardini, di risaie, di giacigli di spine, di preziosi tappeti,di sacre abluzioni, di formule magiche, di penitenti, santi, di predicatori, di monaci,di ricchi mercanti,di cortigiane, di contadini e di mendicanti.
Il viaggio è un esperienza iniziatica che un giovane Siddharta affronta in totale solitudine, una lenta ed inesorabile evoluzione spirituale che come dicevo, non si traduce in un inno all'individualismo perchè il protagonista non nega mai a se stesso la possibilità di incontrare l'Assoluto (quello che noi occidentali chiamiamo "Dio"), di entrare in contatto con una realtà che va oltre quella terrena e dalla quale dipende l'esistenza stessa.
Einstein affermava : "qual'è il senso della nostra esistenza? Il saper rispondere a siffatta domanda significa avere sentimenti religiosi" e in effetti vi è un aspirazione comune in ogni percorso spirituale: conoscere e trovare Dio per capire il senso della vita.
Lo stesso Sant'Agostino,nelle "Confessioni", vive lo stesso dramma del protagonista indiano, ovvero cerca il suo Dio nell'intimità della propria coscienza, in bilico tra l' inafferabile perfezione morale e le attrazioni mondane-terrene, però per il Vescovo di Ippona, l'uomo non è mai la misura ultima della Verità, perchè è Dio a narrargli il senso dell'esistenza ("Tu ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto finchè non riposa in te").
Parlando di quest'opera dunque non si può tralasciare l'aspetto "religioso-filosofico" che pure esiste.
Per questo motivo, la scrittura di H. Hesse è simbolica, ricca di suggestioni "mitiche" e per il lettore occidentale, è veramente difficile comprendere fino in fondo il significato che l'immagine veicola.
Questo continuo interscambio fra narrazione (è il viaggio che rende questo breve romanzo un opera essenzialmente narrativa) e simbolismo religioso partorisce una complicata esegesi allegorica e figurale che difficilmente può essere interpretata correttamente se non si conosce la cultura indo-buddista.
Un esempio su tutti: di fronte all'immagine del fiume-oracolo, che istruisce il barcaiolo Vasudeva prima e Siddharta poi, non si può negare lo sforzo intellettivo che costringe il lettore occidentale a decifrare un messaggio latente che in realtà risuona solo come una bizzarra elucubrazione orientaleggiante.
Personalmente, quando ho letto questo passaggio, ripensavo al pastore errante di Leopardi che si ritrovò "a ragionar" con la luna su se stesso ("ed io che sono?") e sul proprio destino ma con una differenza: se il pastore esprime tutta la sua inquietudine fatta di domande senza risposte, al barcaiolo le correnti del fiume parlano.
Solo attraverso un attenta riflessione, ho capito che le acque di quel fiume sono caricate di un profondo sovrasenso simbolico: lo scorrere delle correnti rappresenta la vita, la musica del divenire, per questo Siddharta non può lasciarsi annegare tra quelle acque. Il fiume è simbolo di vita, diventa un ponte che unisce la vecchia e la nuova esistenza di Siddharta, che inaspettatamente gli riconsegna il passato (Kamala) e che gli regala il futuro (suo figlio).
Assorbendo il suono del fiume il protagonista, ormai in là con gli anni, impara ad amare il mondo e ad appartenergli senza confrontarlo con un "mondo perfetto" che in realtà è immaginario, inafferrabile.
Non solo il venerato fiume, ma "ogni brezza, ogni nuovola, ogni uccello, ogni insetto è altrettanto divino e può essere altrettanto saggio e istruttivo", questo è ciò che Siddharta apprende dopo il lungo peregrinare.
Se vogliamo pensare a quest'opera come ad un apologo, il vero insegnamento morale che H.Hesse ha (almeno a me) trasmesso è che bisogna attingere la saggezza non nei libri ma nella vita, attraverso l'esperienza perchè è possibile leggere il " libro del mondo" solo decifrando e studiandone le lettere e non adottando acriticamente " un significato congetturato in precedenza".
Nella vita di ogni uomo, Dio (l'Assoluto) parla; la sua voce risuona nella coscienza e non si fa udire finchè non le si da spazio: Siddharta stesso impara ad ascoltare quella voce quando preferisce una vita randagia alle comodità della casa paterna, quando, come il più umile dei discepoli, apprende dagli asceti l'esercizio del digiuno o la sospensione del respiro, quando si lascia inghiottire dalla città e conosce, attraverso la cortigiana Kamala, il piacere della carne, quando attraverso il gioco d'azzardo si scopre avaro, quando ha il coraggio di spogliarsi dei suoi abiti da signore e delle scarpe da "uomo raffinato" per indossare un vecchio grembiule, per diventare il garzone del barcaiolo ed imparare ad ascoltare il fiume sacro, quando attraverso suo figlio rivede se stesso e la crudeltà con cui un tempo aveva abbandonato suo padre, quando con lo spirito soddisfatto, l'anima tranquilla e con il cuore placato incontra Govinda e a lui "insegna" la beatitudine.
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Un libro da leggere con grande attenzione
Siddharta è uno di quei libri che deve essere contestualizzato (sia in termini temporali che culturali) per poter essere giudicato. Nonostante sia stato un testo icona della cultura della "beat generation", che a partire dagli anni '60, rivoluzionarono in modo sostanziale il rapporto con l'esistenza umana, Hesse lo scrisse molto prima, esattamente nel 1922, quando ha già 45 anni. Fu poi pubblicato, e diffuso, nel dopoguerra. Il rapporto con l'India (e la cultura orientale e in particolare quella buddhista e induista) deriva dal padre (che era stato missionario in India), da alcuni suoi viaggi nell'area (l'attuale Sri-Lanka e in Malaysia)e soprattutto da un'insaziabile bisogno di ricercare "una strada per la felicità". Credo che fu soprattutto questo moto interiore a farlo avvicinare all'Oriente - molto prima che lo facesse un'intera generazione negli anni '60 - alla ricerca di una pace interiore. Pace, che detto tra noi, non ottenne mai tra le sue depressioni e le sue malattie.
In questo contesto deve essere visto un libro come Siddartha che punta alla ricerca, mai doma, della conoscenza del Se' come elemento significativo che giustifica, oltre ogni esperienza, l'esistenza umana. Fu questa instancabile voglia di "ricercare" che fece diventare Siddharta un'icona di una generazione che seppe esplorare i confini più ampi (e discutibili, se volete) dell'esistenza umana.
Un libro da leggere con grande attenzione.
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Siddharta
È stato considerato dallo stesso Hesse un “poema indiano” il romanzo presenta un registro molto originale che unisce lirica ed epica, ma anche narrazione e meditazione, elevazione e sensualità, e che lo rende tutt'ora affascinante.
Il libro narra la vita di Siddharta, giovane indiano, che cerca la sua strada nei più svariati modi. Fin da subito il narratore si dimostra esterno ed onnisciente poiché, benché faccia intuire che la storia di Siddharta sia tra le più particolari, non esprime un suo punto di vista. Si può dire che la focalizzazione sia quella del giovane.
Infatti è attraverso i suoi occhi che noi vediamo un’India del VI secolo a.C. dominata da molte religioni, da molti modi di vivere, da realtà e ipocrisie.
Siddharta inizia il suo viaggio fiancheggiato dall’inseparabile amico d’infanzia, Govinda, il quale lo ha sempre visto come un saggio. I due decidono di andare a vivere con i "Samana", pensatori che vivono di poco o nulla, che imparano a immedesimarsi con tutto ciò che incontrano. Così fa infatti Siddharta. Dopo aver vissuto con loro, lui e Govinda decidono di andare a vedere il Buddha Gotama, alla quale setta Govinda decide di aggregarsi. Siddharta rimane quindi solo e arriva in una città, dove conosce la bella Kamala.
La straordinaria maestria di Hesse è ben visibile nei capitoli riguardanti Kamala, in quanto non la nomina mai con un appellativo dalla connotazione negativa, ma lascia intuire il lavoro, moralmente poco "elevato", della donna. Siddharta decide di imparare l’amore da lei e tramite quello apprende i vari modi di lavorare, di guadagnare, di spendere e di divertirsi.
Il personaggio dell’autore che dapprima sembrava “immacolato” si dimostra soggetto alle debolezze umane, lui che considerava male quei comportamenti e che se ne considerava superiore.
Dopo anni e anni passati con Kamala, Siddharta si dispera, capisce il suo errore e scappa. Qui si ha il climax del libro, Kamala abbandonata dall’uomo che ama e da cui sa di non essere amata porta in grembo un figlio destinato a chiamarsi come il padre. Anche senza dichiararlo apertamente, l'autore lascia intendere che Siddharta incontrerà il figlio.
Questo succederà solo dopo un lungo periodo di transizione dell’ormai uomo Siddharta che, dilaniato dai rimorsi per il suo stile di vita degli ultimi anni, ipotizza per sé il suicidio come forma estrema di purificazione. Ma il caso, forse il destino, lo aiuta: incontra Govinda. L’amico da subito non lo riconosce, anzi si ferma pensando di aiutare uno sconosciuto. L’incontro tra i due è toccante, ma quando si separano si ha di nuovo la sensazione che si rivedranno.
Siddharta ha ritrovato un motivo di vita e cerca una nuova strada, che trova sulle sponde dello stesso fiume nel quale pensava di porre fine alla sua vita. Un vecchio barcaiolo di nome Vasudeva ci abita e condivide con Siddharta l’idea che il fiume sia vivo, che parli, che insegni. Siddharta decide di rimanere con Vesudeva da cui imparerà molto, anche durante i lunghi silenzi.
Un’altra scena toccante si ha con il passaggio di Kamala che è in viaggio per trovare Gotama, il Buddha ormai morente; con lei c’è il piccolo Siddharta. Un serpente morde la madre, il piccolo piange e richiama l’attenzione del padre che, riconosciuta la donna, cerca di aiutarla, ma tutto è inutile. Ora Siddharta ha un figlio da crescere. Come in tutti i romanzi c’è l’antagonista dell’eroe, ma è un paradosso: di Siddharta è lo stesso figlio. Il giovane ragazzo è ribelle, non lavora, si annoia, non vuole imparare: totalmente il contrario del padre. Dopo anni di sofferenza, il figlio scappa e Siddharta è costretto a lasciarlo andare: sono troppo diversi per poter convivere. Questo episodio, inoltre, induce Siddharta a pensare a quando anche lui aveva abbandonato suo padre e al dolore che gli aveva sicuramente procurato. Un giorno anche il vecchio barcaiolo lascia Siddharta, recandosi nella foresta, alla ricerca anche lui di altre conoscenze.
E qui si chiude il libro, nel rincontro di Siddharta e Govinda, ormai vecchi, vissuti, sapienti. L’amico ancora una volta non riconosce Siddharta, invecchiato, cambiato. Si raccontano le vite, ma soprattutto Govinda chiede all’amico quale sia, dopo tutti questi anni, la sua filosofia e Siddharta attua un monologo a dir poco affascinante.
Ora c’è da chiedersi se quel che Hesse fa dire al suo personaggio non sia altro che quello che lui ha dedotto da anni di studi sui libri del nonno, ma su una cosa non si può che essere d’accordo: Siddharta è un Buddha.
Ciò che trasmette questo libro non è solo un insegnamento morale, ma una lezione di vita su come giudicare per essere giudicati, su come cercare la conoscenza e su come anche il più puro degli uomini si possa ritrovare nel peccato.
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Love and Peace or Else
Hermann Hesse ha rischiato parecchio. Ha messo in gioco la sua reputazione, la sua fama, le sue abilità di scrittore scrivendo questo libro. Per me ha rischiato molto, ma ha perso. Succede!
Considerato uno dei più grandi capolavori della letteratura novecentesca e della cultura tedesca, posso ben affermare che di cultura “germanica” ce n'è tanta, e di sicuro non è questo fallito tentativo di voler portare su carta un misticismo che probabilmente c'è stato, ma che il sig. Hesse non ha saputo concretizzare. Ed è questo il rischio che si corre: quello di voler discutere e riportare pensieri astratti, finendo però col creare una raccolta di squallide parole, squallidi aforismi e squallide accozzaglie letterarie.
Ovviamente, considerando l'esperienza del giovane Hesse, della sua permanenza in monastero, del tentato suicidio, dei suoi numerosissimi viaggi all'estero, soprattutto in India (confrontandosi così con la cultura orientale), non possono che dargli il beneficio del dubbio che, probabilmente, un percorso formativo con marchio “buddista” c'è stato realmente. Ma forse era meglio se si fosse fermato là. O discuti di determinati valori e/o pensieri curandone gli aspetti contenutistici e stilistici, oppure non ne fai nulla poiché non è rasentado la filosofia che riesci a scrivere un capolavoro che abbia determinate pretese.
“Siddharta” viene appunto denominato Bildungsroman, ovvero “romanzo di formazione”, il quale prevede una crescita spirituale ed intellettuale del lettore pari ad un vero e proprio viaggio nei meandri delle terre lontane, quelle terre tanto diverse dalla cultura occidentale, quelle dal pallino in fronte e le gambe incrociate su un tappeto volante. Ma per quanto mi riguarda, è stato un libro tanto breve quanto interessante. Ciò è dovuto alla mia forma mentis, un po' troppo selettiva e maledettamente critica, e in più alla mia scarsissima conoscenza della filosofia/religione orientale.
Molto probabilmente, Hermann Hesse ha riscontrato successo, a tempo debito, proprio perchè ha messo sul palcoscenico temi ed argomenti dimenticati o tralasciati dalla cultura tedesca e non, e per questo ha condotto una via letteraria di certo non battuta da molti.
Mi ha fatto sorridere, inoltre, il fatto che, come volevasi dimostrare, “Siddharta” è stato preso come “Romanzo Guida” della cultura hippie, della serie: peace & love, bro! Gli hippie non si smentiscono mai :)) (ovviamente non vuole essere un'offesa!!)
Ps. Quello della piacevolezza è un 2 e mezzo..
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Rimandato a settembre
Un'India dolce e orientale del VI secolo a.C. accoglie i pensieri del protagonista e dello stesso lettore del libro. Un viaggio che a meta arrivata arricchirà un pochino il lettore: un libro sulla meditazione ricco di sensualità, armonia e perle di saggezza.
Consigliato a chiunque voglia avvicinarsi ad uno pseudo-libro di aiuto: nessuno meglio di Hermann Hesse saprà indicargli la via.
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Siddharta
E' l'unico libro che ho letto due volte e l'ho fatto in due momenti diversi delle mia vita: durante il liceo e a 30 anni. Mi ha suscitato emozioni e reazioni diverse, lasciandomi a bocca aperta la prima volta tale era stata l'esaltazione per un messaggio che avevo trovato davvero toccante, di quelli che ti colpisce e ti fa dire "anch'io vorrei riuscire ad essere libero da qualsiasi pregiudizio e dalla gabbia in cui questa società mi tiene, vorrei conoscere il mondo, vorrei provare e sperimentare sulla mia pelle ogni emozione possibile alla ricerca della Mia strada". Una reazione tipica per un adoloscente.
La seconda volta l'impatto è stato meno forte, ma mi ha comunque suscitato una riflessione. Più che su di me ho provato a leggerlo in riferimento agli "altri", non potendo fare a meno di pensare a tutti quei Soloni più o meno improvvisati che predicano bene e razzolano male, che da più parti ci propinano verità di ogni sorta senza in realtà averle veramente vissute e scoperte, senza avere la minima consapevolezza non solo di quello che dicono, ma anche delle reazioni che possono suscitare (sopratutto nei giovani).
Bisogna essere curiosi, vivere di persona le proprie esperienze, avere dubbi, avere sete di conoscenza, non temere i fallimenti, non permettere che qualcuno (chiunque esso sia) vi dica come vivere la vostra vita.
Ne consiglio vivamente la lettura, lo ritengo uno di quei libri che dovrebbe far parte del bagaglio culturale di tutti.
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un libro con un'anima
Dire che un libro “abbia un’anima” può sembrare molto new age oppure quasi patetico, dipende dai punti di vista. Eppure Siddharta è uno di quei (rari) libri in cui, quando lo chiudi e lo riponi sullo scaffale, ti senti colpito nel profondo. L’assillante ricerca del giovane Siddharta, il suo cammino spirituale attraverso la meditazione, l’ascetismo, l’amore, il sesso, il denaro, il lavoro, il rifiuto della società e la pace dell’anima, è in realtà un cammino che viene fatto dal lettore. Hesse inserisce nella vicenda numerose disquisizioni e riflessioni filosofiche, anche profonde, come il senso dei propri giorni, il rifiuto della società, la voglia di cambiare. Lo fa in modo da colpire chi legge, affinchè le assimili e le faccia sue. Siddharta, un ragazzo che non si ferma presso nessun maestro, che vuole provare sulla sua pelle ogni dottrina, un affamato di saggezza e conoscenza, è in realtà la persona che tutti noi vorremmo essere. Un uomo alla ricerca di un senso più completo dell’esistenza, che si pone delle domande alle cui però vuole trovare a tutti i costi delle risposte, che non ha paura di sbagliare o di provare nuovi percorsi. Siddharta è ciò che desideriamo essere, aperti, vivi, colmi d’esperienze e di saggezza, soddisfatti di aver vissuto una vita densa di significato. Io l’ho letto mentre percorrevo il cammino di Santiago e devo dire che ho ritrovato nelle pagine molte riflessioni e spunti che erano stati presi in considerazione nelle lunghe discussioni con altri pellegrini e che si vivono durante quell’esperienza.
Questo piccolo romanzo cambia chi legge e lo ripeterò sempre, anche a costo di passare per uno stupido innamorato dei libri.
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provvisorio
Puo' sembrare sopravvalutato oggi, ma nel 1922 quando fu scritto, certamente fu un lampo nel cielo. Col dominio inglese delle indie, nell'800 viene istituita ad Oxford la prima cattedra di filosofia orientale. Tra le varie cose, si insegna la filosofia buddista. La Blavansky e la Teosofia faranno molto per la diffusione di questi concetti nella cultura ottocentesca e di inizio 900. Molti autori romantici, e postromantici ne sono influenzati. In un mondo dove l'unica forma di spiritualita' offerta era quella proposta dalla Chiesa, chiaramente molti trovarono in questo libro una palestra spirituale inedita e attraente. La fede secondo il buddismo non e' dogma, ma spirito di ricerca. E la vita del protagonista del libro e' una continua ricerca. Peccato che rifiuti di avere un maestro, di seguire un insegnamento (lascia l'amico che segue il Gautama). Qui e' piu' new age che buddista, il buddismo e' relazione maestro-discepolo. Libro da portare con se' quando andate ad un concerto di Joe Cocker col maggiolone colorato: potrete leggiucchiarlo qua e la' tra uno spinello e una lattina di birra. Per fortuna ci sono testi di livello spirituale ben piu' alti, ma quei volumi non entrano nel bagagliaio del maggiolone, e' troppo stretto...
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Profondo
Ambientato in India nel VI secolo a.C. narra di Siddharta che nel corso della sua vita va' alla ricerca di se stesso attraverso ogni tipo di esperienza sia mistica che terrena, dalle quali trae degli insegnamenti sia dagli eventi positivi che da quelli negativi. E la verità che egli cerca non è un sapere che riguarda solo la mente, puramente intellettuale e astratto, ma riguarda la vita nella sua completezza. Questo romanzo mi ha trasmesso la possibilità di vivere una vita libera da ogni dogma cercando di svelare quel mistero che ogni singola persona è nell’armonia dell’universo perché solo dal superamento della propria individualità e dalla comprensione della perfetta unità del Tutto nasce la serenità. Siddharta e' sicuramente un libro fondamentale per chi e' alla ricerca del proprio se'.
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Siddharta
Molte persona legano questo libro alla fase addolescenziale ma non sono daccordo. Semplicemente credo che leggerlo da ragazzino e leggerlo a 30 anni siano due modi diversi di viverlo. Nel primo caso lo si legge con la curiosità di chi deve ancora scoprire la vita, più avanti lo si legge riguardandosi alle spalle con un pizzico di maturità e di esperienza in più. Se mai sarà, lo vorrò rileggere una terza volta quando avrò un figlio.
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suddharta
Sono d'accordo con chi lo definisce "UN TESTO SOPRAVVALUTATO",ma a me e' stato regalato quando avevo 17 anni e l'avevo trovato un buon libro,ricco di significati spirituali e di insegnamenti sulla vita, il coraggio di pensare con la nostra testa e di seguire da soli la nostra strda senza paure,provare a vivere gli errori per trovare noi stessi...e poter cosi decicere.Quando Siddharta si rotrovera' ad avere un figlio vivra' lui stesso la sofferenze che da giovane aveva inflitto al padre.Probabilmente la mia opininie e' poco spirituale,non ho approfondito il "viaggio spirituale" e nemmeno l'amicizia di Siddharta con Govinda che e' molto significativa,Kamala che gli insegna l'amore e da alla luce il loro figlio...ho riassunto cio' che ne ricordo ora,a distanza di tanti anni,e questo e' cio' che ne deduco adesso:bisogna vivere a fondo la vita per comprenderla.La considero comunque una bella favola spirituale,di certo non un capolavoro,ma sicuramente che un libro agli adolescenti consiglierei di leggere e agli adulti anche,non e' affatto una perdita di tempo.
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Un testo sopravvalutato
Lessi questo romanzo molti anni fa ed ero quasi l'unica a trovarlo complessivamente mediocre e molto sopravvalutato. L'ho riletto in questi ultimi tempi : il mio giudizio è rimasto lo stesso.
Se uno ama i testi filosofici , sa chi e cosa leggere nel settore specifico. In queste pagine ho trovato una filosofia di ispirazione orientaleggiante, che non mi ha persuaso come tutte le cose copiate o , di fatto,spiritualmente lontane dagli originali. Hesse ha ben altri testi di altissima levatura.Chiedo scusa a chi ha amato ed ama questo romanzo, che, lo so bene, ha moltissimi estimatori, ma ad una attenta rilettura ho ritrovato tutte le pecche individuate un tempo, come ad esempio la storia-parabola stessa di Siddharta. Bello ,invece, mi sembrò il film.
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Alla scoperta del proprio "io"
Hermann Hesse è un autore che con ogni sua opera lascia un segno indelebile, perché racconta del viaggio dell’uomo alla ricerca del senso della vita. Già con Il Lupo della steppa aveva trattato il tema del dolore di vivere, fornendo una soluzione logica, per quanto semplice: per superarlo, mai prendere troppo sul serio se stessi e i propri sentimenti, e ciò grazie a una salvifica autoironia.
Con Siddharta, il cui successo venne solo dopo il conferimento del Nobel, il tema dell’esistenza è più generale e finisce con il diventare in questo “romanzo indiano” una lezione di vita e proprio per questo al suo apparire entusiasmò la generazione dell’epoca. A distanza di tempo, comunque, il testo presenta ancora quell’interesse e nelle conclusioni resta di immutata validità.
Ambientato in India nel VI secolo a.C. narra di Siddharta, un ragazzo che cerca la sua strada, ambisce sapere quale è il suo ruolo e per far questo intraprende un viaggio che lo porterà alla sua verità attraverso una serie di esperienze, tipiche peraltro della realtà umana. In effetti si tratta di un lungo cammino all’interno di se stesso, in cui prova un po’ tutto quello che può essere colto nel percorso di una vita. Dall’esperienza mistica al piacere carnale, ma anche cerebrale dell’amore, il giovane invecchia, adottando sensi e scopi che poi magari rivelano un’insoddisfazione o comunque un mancato totale appagamento.
Ogni incontro, ogni esperienza sono un banco di prova, un confronto con il proprio “io” da cui trarre degli insegnamenti, e, se nell’apparenza sono solo gli eventi positivi atti a questa funzione, si comprenderà come anche quelli negativi entrino a far parte di quel grande patrimonio individuale che è l’esperienza.
Hesse nel raccontare questa metafora in fondo ci vuole dire che è necessario conoscere il mondo che ci circonda e, specialmente, quello interiore tramite un percorso materiale e spirituale che porta alla scoperta di noi stessi. Nel nostro intimo non c’è nulla di tutto buono o di tutto cattivo, esiste, è latente il peccato, frutto di un errore da cui trarre insegnamento, ma in fondo, purché si abbia voglia di vivere veramente, ci sono tante possibilità per ogni uomo di trovare una pace interiore che non sia solo di aspetto, ma che radichi in profondità. Tutto questo può e deve avvenire solo per mezzo della conoscenza, del dubbio, che deve essere una costante, e dell’esperienza, tutti elementi che arricchiscono dando la certezza di avere vissuto.
Il libro è quindi indubbiamente di assoluto interesse e in questa ricerca filosofica ha il suo effettivo pregio. L’unica nota negativa, se così può essere chiamata, è la costante pesantezza della narrazione, tipica del resto di molti autori di lingua tedesca del XIX e del XX secolo.
Comunque, proprio perché si tratta di un discorso filosofico, è inevitabile soffermarsi spesso sulle righe e quindi la complicazione nell’esposizione risulta meno fastidiosa.
Siddharta resta, a distanza di anni dalla sua pubblicazione, un libro di assoluto valore, una tappa fondamentale nella storia della letteratura ed è proprio questa inalterata qualità che lo fa rientrare fra i capolavori di ogni tempo.
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Estremamente noioso..
Con tutto il rispetto per coloro che lo hanno ritenuto un capolavoro, è un libro che non mi ha suscitato sensazioni positive.
La storia complicata di questo Siddartha personaggio perlomeno ambiguo e insoddisfatto che passa velocemente da esperienze mistiche a momenti di lussuria, ad altri momenti in cui vuol assaporare ogni tipo di esperienza, quasi che la vita lui non sa decidere di viverla o come viverla, quindi ne assapora tutte le
angolature anche quelle più acerbe...
In tutto questo guazzabuglio di eventi, si ritrova poi ad essere abbandonato dal figlio, così come ha fatto lui all'inizio con il padre....
Vicenda quindi incolore, noiosa e a mio parere non costruttiva o che possa fornire un utile insegnamento...
Una perdita di tempo in questa lettura scialba, che forse è meglio risparmiare...
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Nuova lettura e nuova delusione
Ho riletto questo "livre de chévet " di varie generazioni, amatissimo, che "doveva" essere considerato un capolavoro.
In passato, irritata per l'incenso che avvolgeva in abbondanza "Siddharta", restai alquanto delusa.
Riletto da poco confesso sinceramente che , ferma restando l'eccellenza dello stile ,il contenuto mi ha lasciato indifferente.
Probabilmente è un mio limite, ma vedo in "Siddharta" il più illustre antecedente- Hesse è comunque uno scrittore maiuscolo- dei testi sacri della nebulosa e confusa new age.
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