Moby Dick
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SFIATANTE CON CODA ORIZZONTALE
Rileggo questo libro a molti anni di distanza. È stato uno dei miei primi libri letti senza imposizioni scolastiche, scelto per il genuino interesse che ho sempre coltivato per il mare, la navigazione e la biologia marina. E ovviamente, perché i libri di avventura sono stati quelli che mi hanno avvicinato alla lettura! Mi era piaciuto così tanto che ricordo di averlo letto e riletto, a dispetto della lunghezza e della complessità. Ricordo che la traduzione di Alessandro Ceni, che ho avuto modo di apprezzare in seguito per altri autori (Conrad, Coleridge, Stevenson, Wilde...)mi era molto piaciuta, ma ho trovato altrettanto pregevole quella di Pavese, pur con qualche imprecisione (soprattutto sulla nomenclatura delle focene del capitolo “Cetologia”) secondo me, anzi secondo la critica che sembra unanime, queste sono le due migliori traduzioni per resa e fedeltà al testo originale di Melville.
Il desiderio di rileggere l’opera e gli spunti offerti dagli amici lettori di questo canale, mi hanno spinta ad intraprenderne la lettura. Sì una nuova lettura, con una nuova consapevolezza alla luce dei nuovi gusti che ho acquisito negli anni.
Moby Dick si riconferma un grande e complesso romanzo e, come tutti i grandi romanzi, si presta a più livelli di lettura: non è adatto a tutti, pena il risultato di una lettura insoddisfacente, per cui avviso subito che il libro oltre ad essere corposo, non contiene pura esotica e/o romantica narrazione di marinai mezzo pirati, su una vascello a caccia di una fantomatica e mostruosa balena bianca (che altro non è che uno sfortunato capodoglio) in viaggio per i sette mari.
La prosa di Melville è meravigliosa, affabulatrice, ricca di similitudini, di citazioni bibliche e mitologiche, a volte molto ardite, condita a sprazzi di un po’ di vanteria soprattutto quando si tratta di evidenziare le proprie esperienze in ambito dei profili di immersione di alcune specie, le abitudini e le caratteristiche anatomiche di balene e capodogli. Melville, si sa, aveva esperienza di caccia alle balene e di navigazione, si imbarcava piuttosto spesso ed è facile vedere in Ismaele ( “Chiamatemi Ismaele” famosissimo incipit), che è la voce narrante di tutto il libro, l’alter ego dello scrittore:
“Perché quasi ogni ragazzo sano e robusto, che abbia dentro di sé uno spirito sano e robusto, prima o poi ammattisce dalla voglia di mettersi in mare? Perché, al tempo del vostro primo viaggio come passeggero, avete sentito in voi un tal brivido mistico, non appena vi hanno detto che la nave e voi stesso eravate fuori vista da terra? Perché gli antichi Persiani tenevano il mare per sacro? Perché i Greci gli fissarono un dio a parte, e fratello di Giove? Certamente tutto ciò non è senza significato. (...)
Io dico che ho l’abitudine di mettermi in mare tutte le volte che comincio a vedermi una nebbia innanzi agli occhi e a sentir troppo i miei polmoni, non intendo inferire ch’io mi metta in mare come passeggero.”
Per quanto riguarda il contenuto è un libro strano, bulimico, monumentale per ricchezza e varietà di registri: narrativo e tecnico-didascalico, ma sempre molto ricco di termini colti e richiami letterari. Ci sono dei capitoli che rallentano la narrazione e se aspettate di vedere subito la lotta con la Balena Bianca a forte tasso di spannung resterete stanchi e delusi. Moby Dick non si legge con questo intento, vi consiglio allora uno di quei tanti libri che definirei cinematografici sugli squali e i megalodonti preistorici (che ho anche letto anni fa ) così da avere la sicurezza di restare più soddisfatti della lettura.
Ma se desiderate conoscere un libro speciale, unico nella sua complessità e ricchezza, consapevoli di cosa andrete a leggere, allora credo che Moby Dick vi lascerà sicuramente una positiva traccia indelebile nel vostro scrigno di letture.
È un romanzo-mondo, un’opera ibrida che unisce tragedia, allegoria, avventura, un libro che unisce due tradizioni epiche, quella laica, ascritta alle metafore del viaggi, dell’avventura, dell’eroismo, a quella trascendentale e spirituale, che vede l’uomo in eterna lotta con la natura.
Ma è un libro che si è ispirato anche a fatti di cronaca, sicuramente al resoconto di Reynolds “Mocha Dick” (1839)in cui si narra della storia di abbattimento di un grosso capodoglio maschio nel Pacifico sopravvissuto a trent’anni di assalto di balenieri e al naufragio della baleniera Essex (1821) nell’opera di Owen Chase. La caccia alle balene è stata una delle attività produttive principali del Nord America per ottenere l’olio per illuminazione prima della scoperta del petrolio, senza dimenticare gli ossi per ombrelli, sottogonne e altri usi.
Essendo un libro complesso, moltissimi scrittori e critici si sono lanciati in molteplici letture: secondo D.H.Lawrence (1924, saggio “Moby Dick” di Herman Melville) nel libro si legge il simbolo del meltin pot americano, essendoci a bordo del Pequod, la famosa nave baleniera del romanzo, uomini di tutte le razze che sottostanno agli ordini del capitano Achab, figura alquanto tirannica su cui si detto di tutto, addirittura che è assimilabile all’eroe elisabettiano (vedere Otto Matthiessen). Certamente, perché in questo libro c’è anche tantissima teatralità, basti già pensare al lungo monologo dell’io narrante Ismaele e anche la descrizione degli spazi all’inizio di alcuni capitoli (esempio “Achab e il maestro d’ascia”), che rendono proprio l’idea di un atto teatrale.
Le tematiche sono tante, dal desiderio di avventura, all’ossessione monomaniaca dell’uomo che combatte contro forze avverse, dal progetto divulgativo con tutte le sue incompletezze scientifiche sulla cetologia, alla ricerca dell’ineffabile ( incarnato dalla bianchezza della balena), all’amicizia fino ad argomenti meno visibili, ma, non per questo, non rilevanti, come l’omosessualità. A questo proposito, pensiamo a Ismaele e Queequeg che probabilmente erano legati da una relazione e ai tanti passi più o meno espliciti dove tra giochi di parole e appellativi affettuosi, viene fuori che il nostro autore non si è fatto mancare proprio niente nel suo libro-mondo! Anzi, sappiamo che egli stesso fu intimamente legato ad un giovane, colto e affermato scrittore: Nathaniel Hawthorne. (Approfitto per segnalare una recente chicca letteraria, un carteggio tra Melville e Hawthorne, pubblicato di recente e curato da Giuseppe Nori).
Leggere Moby Dick è decisamente un andare per mare immensi, ma consiglio di tenere sempre tra le mani la bussola della contestualizzazione e una buona dose di consapevolezza riguardo alla complessità del grande romanzo.
Faccio fatica a togliere a qualche stella, per me il libro è un capolavoro, ma devo essere onesta sulla piacevolezza...
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Si consiglia la traduzione di Ceni o di Pavese (rispettivamente edizione Feltrinelli e Adelphi), si sconsiglia come prima lettura l’edizione Einaudi con traduzione di Ottavio Fatica, dal linguaggio piuttosto anticheggiante.
Per chi è appassionato e vuole approfondire, nel libro di Franco Moretti, “Il romanzo di formazione” troverete altri spunti interessanti per una lettura di Moby Dick, compresi altri grandi capolavori dell’età moderna.
Uno scrittore di balene
L'ignoranza è davvero una brutta bestia ed io questa volta ci sono cascata in pieno. Volevo leggere una bella avventura, avevo voglia di qualcosa che mi ricordasse la foresta di Salgari, oppure i fondali di Ventimila leghe sotto i mari, insomma qualcosa che mi facesse viaggiare con la fantasia e mi conducesse in una bella avventura. Come dicevo la mia ignoranza non ha limiti e quindi ho scelto Moby Dick convinta di imbarcarmi su un nave e partire alla caccia della famosa balena bianca con il capitano Achab.
Il problema è che l'inizio mi aveva dato ancora questa sensazione, Ismaele, narratore e marinaio sul Pequod mi aveva erroneamente convinta:
“Se fossi stato del tutto onesto con me stesso avrei letto molto chiaramente nel mio cuore che non ero per nulla entusiasta di essermi impegnato in quel modo, per un viaggio così lungo, senza aver poggiato nemmeno una volta gli occhi sull'uomo che, non appena la nave fosse uscita in mare aperto, doveva diventare il dittatore assoluto.”
Ma passate le prime cento pagine, davvero divertenti e avventurose, la difficoltà della lettura scelta si è subito palesata. Melville scrive un libro davvero molto particolare, ma più che un'avventura è un reportage su cosa si faceva e su come si viveva su una baleniera. Si scopriranno un sacco di curiosità sui ramponieri, su come si arrivava al prezioso olio di balena, sulla disciplina e su tanti altri piccoli dettagli della vita in mare al tempo.
Ma se vi aspettate un'avventura oppure una caccia senza fine alla balena bianca..questo non è il libro per voi. Arrivare alla fine è stato veramente difficile per la ripetitività delle azioni e per la noia che ogni tanto affiorava durante la lettura.
Lo stile inoltre non è semplice, tantissimi termini tecnici e parole non adatte ad un lettore troppo giovane e i continui paragoni con scene della Bibbia rendono spesso la lettura non scorrevole.
In conclusione Moby Dick è un libro profondo, dove si trova la contrapposizione fra il bene e il male, dove l'ossessione supera la ragione e dove chiunque può trovare tutte le informazioni sulla caccia alla balena del tempo. Non posso dire niente sullo stile e sull'argomento trattato, ma posso dire molto sulla piacevolezza; questo libro non mi è piaciuto, ho faticato a leggerlo e consiglio la lettura solo ai veri appassionati.
Una cosa su cui concordo: “L'anima non si può nascondere”.
Buona lettura!
L’eterna sfida
Moby Dick appartiene senz’altro all’immaginario collettivo di molte generazioni. L’invincibile balena bianca, simbolo del male assoluto eppure avvolta da una fascinazione segreta emanata dalla solitaria maestosita' e dalla forza selvaggia,e' immagine iconica per eccellenza. Tuttavia credo che in pochi, abbiano letto per intero il corposo ed impegnativo romanzo di Melville. Io stesso per due volte da ragazzo ne iniziai la lettura per poi lasciarlo a meta', logorato come ero dalle lunghe digressioni marinaresche e dalle erudite dissertazioni cetologiche.
Nel rileggerlo oggi in eta' “matura” mi rendo finalmente conto dell’ambiziosa concezione del romanzo. Un libro che gia' nasce come “classico” ed il cui spessore va ben oltre l’aspetto favolesco che pur ne ha garantito la perdurante fama.
Rimando a proposito all’ottima prefazione di Cesare Pavese (peraltro straordinario traduttore del testo Melvilliano) in cui si evidenzia il carattere fondativo dell’opera nel quadro della nascente letteratura americana. Pavese osserva inoltre l’esplicita connessione con i testi biblici a partire dai nomi dei personaggi, dalle citazioni, dal carattere morale e profetico della narrazione quasi epica.
A me preme soltanto sottolineare la straordinaria energia che emana dai capitoli di questo classico. Oltre 130 capitoli, alcuni brevissimi, da gustarsi come si gusta un brandy dopo cena. Una energia che definirei “americana” perche' , il Moby Dick e' anche affermazione di una cultura nuova, lontana dai canoni europei, senza complessi di inferiorita', ma determinata ad imporsi ed a dotarsi di una nobilta' propria.
Cosi' questo microcosmo e' popolato da intrepidi cacciatori di capidoglio, personalita' forti che paiono tagliate con l’accetta, ora folli (Achab certo, ma anche il suo grottesco e tremebondo contraltare Pip), ora selvagge (i ramponieri pagani Quiqueg, Tashtego, Deggu), ora eroicamente consapevoli (Starbuck, ma pure i piu' irresponsabili Stub e Flask). Uno stuolo di personaggi protagonisti di avventure esotiche e selvagge battaglie marine eppure obbedienti alle virili e cavalleresche regole di bordo. Questo microcosmo dicevo, che presto si dissolvera' col tramonto del commercio del prezioso olio di balena, ha in se’ i prodromi dello spirito americano che rendera' il "nuovo mondo" la superpotenza dominante del novecento.
Chi e' dunque il vincitore di questa sfida perenne tra l’umanita' e le avverse forze della natura e del male che esse simboleggiano? Perche' e' di umanità intera che occorre parlare visto che l’intero equipaggio del Pequod e' strumento consapevole della folle sete di vendetta del suo capitano.
Davvero il grande Leviatano l’ha avuta vinta nel disperato duello contro il capitano Achab e la sua ciurma? Ognuno tragga le conclusioni che crede. A me piace pensare che la vittoria sia nella sfida stessa, che ci sia più gloria nell’affrontare battaglie gia' perse in partenza, che vi sara' sempre il Giona-Ishmael di turno che, unico testimone sopravvissuto alla disfatta, tramandera' ai posteri la necessità di continuare la lotta.
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Inno alla natura
Ho atteso la comparsa di Moby Dick dalle prime pagine, mi affascinava la descrizione della sua caccia, vista nel film, e mi aspettavo qualcosa di spettacolare....peccato che è apparsa solo nelle ultime pagine del libro e la sua caccia non mi ha colpito particolarmente. Però, a libro chiuso, mi sono resa conto che di veramente spettacolare è tutto il resto, i nove decimi restanti, inclusi persino i capitoli sulla cetologia, lenza, raffinerie dell'olio e quant'altro. Perché sembrano capitoli inutili, buttati lì per aumentare il numero delle pagine o per la pura vanità dello scrittore, e invece no. Per me, che ignoravo quasi tutto sulle balene, sono stati utilissimi per capire meglio come funzionava la caccia e come riuscivano ad avere successo, infatti, ad un certo punto Ismaele dichiara che le balene venivano cacciate non tanto per il merito dei balenieri quanto per merito della natura stessa, della quale l'uomo approfittava, facendosela alleata. Come avevo già scritto in un post, l'autore sembra che guidi sempre il lettore per mano e non appena quest'ultimo non capisce un determinato fenomeno o si pone dei dubbi sulla credibilità di ciò che legge, eccolo lì l'autore che ti legge nel pensiero e ti illumina al riguardo. Quindi consiglio a tutti di non sottovalutare o trattare con minore interesse questi capitoli ed apprezzarli. Per la loro rilevanza dirò di più: sono spesso associati a pensieri filosofici e descrizioni pittoresche, il capitolo La Fontana, sullo sfiatatoio della balena ne è un valido esempio.
Assieme alla balena il mare è l'altro protagonista assoluto! Ho sempre ritenuto Proust lo scrittore che meglio ha portato omaggi a questo elemento gigante, misterioso e fondamentale della Natura, e invece mi sbagliavo; Melville lo supera. Vorrei riportarvi uno stralcio ma non so davvero quale tra i tanti...scelgo a caso:
"Era un giorno limpido, d'un azzurro d'acciaio. Le sfere dell'aria e del mare si distinguevano appena in quel lago ceruleo. Ma l'aria pensosa aveva una trasparenza pura e soave, come un viso di donna, e il mare robusto e virile si gonfiava in ondate lunghe, poderose, flemmatiche, come il torace di Sansone dormente. Qua e là in alto guizzavano le ali nivee di piccoli uccelli immacolati: erano i teneri pensieri dell'aria femminea; ma giù negli abissi dell'azzurro infinito da ogni parte s'avventavano enormi leviatani e pesci-spada e squali: e queste erano le riflessioni violente, tormentose, assassine di quel mare maschio." .... avevo ragione, vero?!
....E quando c'è il mare c'è la meditazione, perché "come tutti sanno, meditazione e acqua sono sposate in eterno"... quindi se siete amanti dei pensieri sulla vita e sulla morte, sugli uomini e sui loro rapporti, allora questo libro fa per voi; questo filo di pensieri orla quasi tutte le pagine, come ho già detto sopra.
Passo ad Achab, il terribile comandante....o meglio definirlo demonio? Anche se è un termine che non mi piace attribuirgli. Nonostante la sua vita sia ridotta ad una pura e morbosa ossessione per Moby Dick, la bellezza e la quiete spinge alla meditazione pure lui, chiamando le cose per nome, rendendosi conto del vuoto della sua vita e della mancanza di senso, degli affetti trascurati e della sua follia assurda, ma ormai è troppo tardi, i dadi sono stati lanciati e bisogna portare a termine la partita, contro tutti e tutto, persino contro la Natura stessa. Un personaggio fortissimo e ben definito, che in fondo, nonostante tutto lo si ama e si prova pena per lui.
Bellissima esperienza, che mi ha lasciato un sapore di sole, di vita, di mare e tanto profumo.
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Il codice del mondo
Di questo grandioso poema posso solo dare qualche fuggevole e parziale impressione: ho troppo pudore e soggezione per dire di più.
Innanzi tutto preciso che l’ho ascoltato nella bellissima versione in audiolibro letta da Piero Baldini, un’interpretazione davvero coinvolgente.
Ho trovato e riconosciuto tutti i temi anticipati dai manuali di letteratura: la lotta dell’uomo per il dominio sulla natura, il senso del limite e la febbrile ambizione di sfidarlo e superarlo, l’ossessione puritana per il Male che perversamente attrae l’uomo e lo spinge a combatterlo, i demoni che abitano e sconvolgono la psiche umana, la catastrofe annunciata in ogni proposito di vendetta, la vitalità e la furia distruttrice dell’odio.
Mi ha impressionato soprattutto il carattere “enciclopedico” dell’opera, quasi che l’Autore (che per otto anni fu marinaio e baleniere) intendesse rappresentare il senso della vita dal punto di vista di un cacciatore di balene: si scandagliano scienze, storia, filosofia, religione, sociologia, economia e antropologia per comporre una sorta di codice del mondo attraverso le balene, i mari, le navi baleniere e i loro equipaggi.
La difficoltà, o il piacere, della lettura riguardano proprio questo aspetto. Lo stile e la scelta narrativa sono poco compatibili con il mondo contemporaneo, che scivola veloce e iperconnesso sulla superficie di ogni cosa. Non è solo questione di età dell’opera o di appartenenza all’Olimpo dei classici. Probabilmente questo romanzo risultava un po’ troppo ambizioso e pretenzioso persino per l’epoca in cui fu scritto.
Eppure, se solo si ha la pazienza di fermarsi, di lasciarsi sprofondare nel fascino dell’immensità degli oceani, che aprono spazi infiniti per pensare, ascoltare, assaporare ogni più piccolo dettaglio che riempie e colora il tempo di una lunghissima navigazione, ecco se si affrontano le ampie, meticolose (e qualche volta pedanti) divagazioni dell’Autore con questo spirito, la trama e la meta non diventano così importanti quanto il viaggio, i personaggi e le mille storie con cui si inganna l’attesa della caccia alla balena bianca. Insomma, non si tratta di “salgarismo”, è un caso molto diverso rispetto alle lezioni di botanica che ci venivano inflitte ogni volta che il Corsaro Nero e i suoi compari inciampavano in una radice di baobab nel cuore della foresta. In Moby Dick le divagazioni non interrompono l’azione, ma sono esse stese sostanza ed essenza dell’opera. E’ questo l’aspetto che ritengo utile sottolineare prima di consigliarne o sconsigliarne la lettura.
Si tratta di attendere semplicemente il momento adatto.
“Come può il carcerato evadere se non forza il muro? Per me la Balena Bianca è quel muro, che mi è stato spinto accanto. Qualche volta penso che al di là non ci sia nulla. Ma mi basta. Mi mette alla prova, mi sovraccarica: io vedo in lei una forza oltraggiosa innervata da una malizia imperscrutabile. Quella cosa imperscrutabile è ciò che odio soprattutto: e sia la Balena Bianca l’agente o sia il mandante, io le rovescerò addosso questo mio odio…”
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L'ossessione non ha che un'unica nivea fine
Finalmente ce l'ho fatta.
Sì, perché completare la lettura di questo Leviatano della letteratura è stato un combattimento degno di quelli tra Achab e i suoi uomini contro la Balena Bianca.
Vi confido che forse è stata la lettura più difficoltosa che abbia mai portato a termine, complici lo stile non semplice di Melville, ricercato e carico di termini marinareschi, e la natura del romanzo in sé. Sì, perché "Moby Dick" è per tre quarti un trattato e un'esaltazione della baleneria, in cui ci si perde tra gli infiniti dettagli sulle balene, e solo per un quarto la storia della follia, dell'ossessione del capitano Achab per il mostro che l'ha privato di una gamba: Moby Dick.
La conoscenza dell'autore, il suo amore per la baleneria sono magistrali, ma alla lunga possono mettere a dura prova anche il lettore più temerario.
I capitoli "d'azione", quelli che si soffermano sulle vicende, contengono alcune perle indimenticabili rese tali dai magnifici personaggi, tra i quali spicca come un sovrano l'affascinante capitano del Pequod.
Dire se questo libro sarebbe stato il capolavoro che è senza le digressioni di Melville è impossibile, sta di fatto che la balena il cui nome gli fa da titolo compare a pagina 611 di 641 e, a fronte di un intrigante inizio e di un meraviglioso, triste ed evocativo finale, vi aspetteranno dei lunghissimi intermezzi che sono un inno dell'autore alle balene e alla loro caccia. Giusto per farvi un'idea di quello che vi aspetta.
Il Pequod è una nave predestinata, così come il suo equipaggio. Essa salpa caricata dalle speranze degli armatori che da essa sperano di ricavare enormi profitti, olio di balena e altre rarità da poter vendere al miglior offerente. Ma essi non tengono conto dell'anima tormentata e distrutta che sceglie la rotta di quello sciagurato legno americano.
Non sono i capodogli il suo obiettivo, o meglio, lo è soltanto uno: il terrore bianco, l'invincibile balena che stata ribattezzata Moby Dick. Colei che gli ha strappato una gamba e lo ha costretto a una protesi d'avorio ma, cosa ancor peggiore, gli ha strappato ogni residuo di sanità mentale. Eppure, nella sua pazzia, permane un residuo di umanità nella sua accezione più primordiale: la volontà d'uccidere a costo di morire si mescola con la voglia di vivere, la perdizione dovuta all'ossessione si mescola al desiderio del ritorno al porto di partenza, a una vita normale, all'abbraccio caloroso di una famiglia troppo presto abbandonata e troppo poco vissuta. Il ruggito della tigre che si confonde col pianto sommesso di un agnellino. Purtroppo è sempre la prima ad avere la meglio.
Così se ne va per i mari il coraggioso Pequod col suo sciagurato capitano, mascherando il suo vero intento che è sempre soltanto uno, stanare quella montagna Bianca che ha la propria dimora negli abissi.
L'uomo si scontra con la natura nella sua realizzazione più possente. Chi ne uscirà vincitore?
Una lettura difficilissima ma che, a mia opinione, va fatta assolutamente perché eredità di un grande letterato e baleniere.
"Intorno a me, marinai. Voi vedete un vecchio ridotto a un ceppo, che appoggiato a un frantume di lancia si puntella su un solo piede. Questo è Achab… la sua parte corporea; ma l'anima di Achab è un millepiedi che si muove su mille zampe. Mi sento teso, mezzo sfilacciato, come i cavi che rimorchiano le fregate disalberate nella burrasca; e forse ne ho l'aspetto. Ma prima che mi spezzi, m'udrete scricchiolare; e finché non udirete questo, sappiate che la gomena d'Achab rimorchia ancora il suo proposito."
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Fatti non foste a viver come bruti
Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza" esordisce Ulisse nell'Inferno dantesco per esortare i suoi compagni a continuare l'audace traversata dello stretto di Gibilterra. Il capitano Achab non è poi così diverso mentre tenta di convincere il proprio equipaggio ad intraprendere la folle caccia contro Moby Dick, con il suo disarmante carisma e l'innegabile autorevolezza conferita anche da quella gamba d'avorio candida e possente, come la Balena che lo ha costretto a sostiruirla al fragile arto in carne ed ossa. Tuttavia, l’impresa di Achab non è solo una sfida contro i limiti umani, contro quella meravigliosa e mastodontica creatura marina che Ismaele descrive con incredibile precisione e ammirazione, ma soprattutto una lotta all’ultimo sangue con le proprie inquietudini, con quella lacerante tetraggine indissolubilmente legata alla sua anima. Il dissidio che tormenta Achab, la contrastante commistione di violento odio e profondo legame che prova per il maestoso cetaceo, sono i sentimenti che dilaniano l’uomo moderno nella sua ricerca della propria identità e dell’ignoto che essa sembra celare. Decidere di imbarcarsi in un lungo viaggio che costringe a fare sacrifici, a trascorrere interminabili periodi di solitudine e di sconforto in un ambiente ostile e paurosamente immenso come il mare, è un gesto che un vigliacco non compierebbe mai. Achab è infatti incredibilmente coraggioso, un capitano di grande audacia e integrità come prova la completa fiducia e ubbidienza che l’equipaggio dimostra nei suoi confronti. Per quanto assurdamente spietata e priva di significato sia la sua campagna, pur essendo quanto di più lontano possa esistere dal bene comune, egli è in grado di influenzare l’animo umano a tal punto da renderlo disposto a sfidare la natura, i venti e ogni genere di funesto presagio per annientare una balena al solo scopo di vendicare se stesso e di riscoprire il proprio valore. Nemmeno Starbuck, nonostante le meditazioni su un eventuale atto decisivo e i tentativi per convincere Achab ad arrendersi, riesce a mutare la terribile sorte a cui il Pequod è destinato.
Il romanzo è ricco di significato in ogni sua parola, dalla descrizione dell’anatomia della balena, ai riferimenti biblici, alle brevi e crude conversazioni tra i marinai: ciascuna affermazione, pausa, domanda cela un messaggio più profondo che solo un abile lettore con una sconfinata cultura riesce a cogliere in tutte le sue sfaccettature. Ecco perché ritengo che l’opera di Melville meriti almeno una seconda lettura, per avere la possibilità di apprezzare pienamente i concetti espressi dalla sua poetica narrazione e dalle autentiche vicende dei personaggi. Quando, voltando l’ultima pagina, ho chiuso il libro con l’immagine di Ismaele sopravvissuto grazie ad una tomba-salvagente, mi sono chiesta quale fosse la morale dell’opera, se in quella molteplicità di contenuti, ce ne fosse uno che spicca sugli altri con maggiore autorevolezza. Forse Achab è stato condannato per aver osato sfidare la volontà divina, per aver continuato una caccia folle e senza speranza nonostante i presagi che si erano manifestati fin da prima della partenza? Magari l’equipaggio e lo stesso Ismaele, che è molto di più di un semplice spettatore, avrebbero dovuto far valere le proprie idee e impedire che si realizzasse un epilogo già scritto? D’altra parte non è forse questa la bellezza dell’essere umano? La sua capacità di non arrendersi mai nonostante le difficoltà, di impegnarsi con ogni fibra del proprio corpo pur di raggiungere un obiettivo che agli altri può sembrare ridicolo ma che è importante per ciò che l’individuo riuscirà a dimostrare a se stesso portandolo a termine?
L’immensa distesa azzurra del mare che si confonde con quella del cielo sortisce effetti misteriosi nell’indole dell’uomo, lo porta a farsi domande difficili e a tentare di dare risposte assurde, ma è quanto di più vicino possa esistere nel mondo concreto dell’astratta dimensione divina. Ecco perché amiamo tanto imbarcarci in avventure incredibili, perché sentiamo l’esigenza di esplorare l’acqua quando la terra ci sembra ormai troppo dura e stretta, magari più ospitale ma meno affascinante. La balena, il leviatano, nella sua meravigliosa anatomia, nell’intelligenza dei suoi atteggiamenti, a metà tra il mondo terreno e quello degli abissi, è quindi la creatura che l’uomo invidia più di tutte, a cui si sente più vicino, e quando vede in lontananza quel sonoro respiro, accorre per raggiungerlo, continuando a stringere tra le mani la sua lampada ad olio che ne illumina cammino.
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"I have written a wicked book"
Non molto tempo fa qualcuno annotò che il romanzo “è una macchina per generare interpretazioni” (Umberto Eco, Postille a “Il nome della rosa”, 1983). Osservazione nient’affatto nuova, se vogliamo, ma che calza alla perfezione per un testo come Moby Dick, che nonostante i lineamenti del romanzo d’avventura e la dimensione conseguentemente realistica (accentuata dalle frequenti digressioni sulla baleneria) si presenta come un’opera dall’alto valore allegorico, tale da appassionare generazioni di letterati e lettori nella ricerca del suo significato più autentico. Moby Dick è entrato nell’immaginario collettivo non solo grazie alle ancestrali fantasie suscitate dalla lotta tra il mostro marino e il temerario capitano Achab, ma anche per la natura intrinsecamente simbolica di questa lotta. Il mito della balena bianca deve molto proprio all’affascinante enigma interpretativo sotteso all’intera trama, la cui soluzione diventa la principale motivazione nella corsa all’ultima pagina.
Trama
La voce narrante di Moby Dick è Ismaele, un giovane maestro di scuola che vive nell’America del Nord della prima metà dell’ottocento e che non avendo nulla di particolarmente caro a terra decide di darsi alla navigazione dell’oceano. Ismaele compie i suoi primi viaggi da marinaio sulle navi mercantili e in breve tempo scopre nella vita di mare la migliore via di fuga contro le avversità dell’esistenza: “è un modo che ho io di cacciare la malinconia e di regolare la circolazione. Ogni volta che m’accorgo di atteggiare le labbra al torvo, ogni volta che nell’anima mi scende un novembre umido e piovigginoso […], allora decido che è tempo di mettermi in mare al più presto”. Desideroso di avventure sempre più coinvolgenti, abbandona il commercio marittimo per cimentarsi nella rischiosa caccia alle balene. Si dirige dunque verso l’isola di Nantucket, il più famoso porto di baleniere degli Stati Uniti. Inconsapevole di ciò che lo attende, salpa sul Pequod, la nave del capitano Achab, il quale ha giurato vendetta contro Moby Dick, un gigantesco capodoglio bianco che nella precedente caccia gli ha mozzato una gamba. Il Pequod e tutto il suo equipaggio sono dunque lanciati all’inseguimento della balena, in una ricerca che, fin dall’inizio, sembra gravata da un’ombra di maledizione e che, per essere ispirata unicamente a un cieco desiderio di vendetta, appare folle e destinata a un esito drammatico.
Achab e la balena
I due capitoli più belli di Moby Dick sono Il cassero e La sinfonia. Entrambi descrivono con grande efficacia l’irrazionale ossessione del capitano Achab, che sceglie deliberatamente di sacrificare quanto resta della sua vita e delle proprie energie all’uccisione della balena, rinunciando a tutto il resto, a partire dalla famiglia e dai legami umani a lui più cari, senza curarsi delle tragiche conseguenze a cui rischia di andare incontro nel tentare un’impresa simile. Il tormento della vendetta consuma interamente Achab, il quale abbandona tutte le sue doti di raziocinio in preda a un delirio di onnipotenza. La balena da lui inseguita con tanta tenacia è descritta da Melville come un animale dalla forza terrificante e dall’intelligenza malvagia. Per questo motivo più di qualcuno ha pensato di interpretarla come l’emblema delle forze oscure della natura, se non come l’incarnazione del male stesso.
“Per me la Balena Bianca è questo muro, che mi è stato spinto accanto. Talvolta penso che di là non ci sia nulla. Ma mi basta. Essa mi occupa, mi sovraccarica: io vedo in lei una forza atroce innerbata da una malizia imperscrutabile. Questa cosa imperscrutabile è ciò che odio soprattutto: e sia la Balena Bianca il dipendente o sia il principale, io sfogherò su di lei questo mio odio. Non parlarmi di empietà, marinaio: il colpirei il sole, se mi facesse offesa”.
È questo probabilmente il passaggio più esplicito del romanzo, ma ancora non ci dice molto su cosa rappresenti il duello tra il monomaniaco Achab e l’inafferrabile Moby Dick. Molti hanno paragonato Achab all’Ulisse di Dante e in effetti le somiglianze sono parecchie: entrambi i personaggi sono dominati da un unico pensiero e terminano ingloriosamente la propria parabola, inghiottiti dal mare: tuttavia, se nella vicenda dell’eroe omerico cantata dal Poeta è la sete di conoscenza a spingere verso la tragedia, nel personaggio di Melville non pare riscontrarsi una simile tensione. Non è la brama di conoscenza a trascinare Achab nell’abisso, ma l’insensata presunzione di poter condurre la propria azione oltre ogni limite umano. Il desiderio di vendetta è la passione che brucia lentamente Achab e che lo priva sciaguratamente della capacità di discernere tra bene e male, tra ragionevolezza e follia. Per questa ragione, nonostante i tantissimi riferimenti più o meno espliciti all’Antico Testamento, Moby Dick mi è sembrata un’epopea più greca che cristiana: a dannare Achab non è tanto un’offesa recata a Dio, ma il suo pertinace rifiuto a riconoscere l’esistenza di un confine che l’uomo non dovrebbe mai superare e di cui invece dovrebbe essere sempre consapevole e riverente.
Stile
Una delle caratteristiche più singolari del capolavoro di Melville è la mescolanza di stili che si alternano tra un capitolo e l’altro, come se l’autore avesse voluto cantarci le meraviglie della balena nel maggior numero di forme letterarie possibili. Si succedono così la narrativa tipica del romanzo d’avventura, il tono lirico del poema, la descrizione asettica del trattato scientifico e l’ispirazione manifestamente teatrale di molti dialoghi. Allo stesso tempo, non è raro che l’autore tragga spunto da una nozione di cetologia o di caccia alle balene per una riflessione a sfondo filosofico o spirituale. Una simile operazione letteraria può apparire nei suoi esiti confusionaria e disorientante, e a tratti obiettivamente lo è. Essa risponde tuttavia a una precisa scelta contenutistica ancor prima che stilistica, perché Melville, attraverso la balena, nutre l’ambiziosa pretesa di raccontarci per disteso il mondo e le leggi universali che lo governano, e non trova modo migliore di farlo se non mescolando scienze, filosofia, epica, avventura, religione e gli stili che di volta in volta meglio si addicono a queste materie. La prosa dello scrittore americano è ricca e sovrabbondante, ma sacrificando spesso la mera narrazione alla pretesa poco fa descritta non c’è da stupirsi che pecchi in linearità e scorrevolezza: le pagine richiedono quindi una costante attenzione al lettore, il quale, non senza fatica, riceve in cambio una notevole quantità di spunti di riflessione. Per questo Moby Dick è uno di quei libri che alla fine restano e lasciano il segno.
Indicazioni utili
Una Bibbia Laica.
Moby Dick – Herman Melville, 1851
Mi approccio a Melville, Moby Dick, all'alba dei quarant'anni. Quando la maggior parte dei miei amici lettori lo ha letto al più tardi in adolescenza.
Lo avevo cominciato un paio di volte, in passato, e mi ero precocemente spiaggiata ancor prima dell'arrivo di Ismaele (sì, proprio ad "Etimologia ed Estratti", pag.3).
Non credo che sia il caso di tediare troppo con trame e quant'altro, in primo luogo perché note a tutti, e poi perché hanno poca importanza, dal momento che Melville non scrive la storia di Ismaele e neppure quella di Achab. E neanche quella di Mody Dick.
Melville scrive quella che al momento non (o)so definire meglio che una "Bibbia Laica", una lotta fra Titani moderna, in cui si muovono due schiere di semidei (uomini e leviatani) sotto lo sguardo pigro e negletto della divinità maggiore, generatrice di entrambi, il Mare ("E mi voltai a guardare con meraviglia la magnanimità del mare che non conosce ricordi").
I semidei vengono descritti nelle loro innumerevoli varietà, miserie e trionfi e soprattutto nel momento della loro infinita ed inesauribile lotta.
Le balene forniscono agli uomini la luce (dal grasso sottocutaneo si ricava un olio usato per fabbricare cera per le candele o combustibile per le lampade) e per ottenere questa luce gli uomini sfidano creature enormi, magnifiche, tremende.
Balene e capodogli vengono descritti e celebrati minuziosamente (incantevoli le parti in cui la lancia di Ismaele e dell'amico Queequeg si trova all'interno di un branco enorme e possono osservare) ed altrettanto minuziosamente vengono descritti e celebrati l'arte, la forza e l'ingegno umano impegnati allo spasimo per vincere la sfida contro le balene (che non è solo "ucciderle" - con ramponi a mano - ma anche trascinarle – a remi o a vela - issarle sulla nave – a braccia – ricavarne l'olio – a mano - trarne oggetti e cose così).
La voce narrante, Ismaele, (unico) uomo che ama le balene ci narra con stupore, candore, ammirazione, terrore e slancio (non scevri da una certa logorrea, di tanto in tanto) la lotta fra i campioni delle schiere semicelesti: Moby Dick e Achab.
Achab e la "sua" controparte leviatana, Moby Dick, portano il tema dell'ossessione in quello che era uno scontro epico. Inseriscono un tema "amoroso".
Achab, capitano della baleniera Pequod, per lunghi giorni di navigazione non si fa vedere dall'equipaggio. Quando finalmente si palesa spiega che il suo scopo non è la caccia, ma è Moby Dick, la balena bianca che gli ha strappato la gamba durante l'ultimo viaggio.
Durante quella caccia, Achab è saltato dalla sua lancia sul dorso della balena è ha cercato di colpirla. Armato solo del suo coltello. E lei gli ha strappato una gamba. Ora Achab ha una gamba ricavata da un osso di balena.
Ossessione, si diceva.
Quant'altre mai.
Il primo Ufficiale, Starbuck, il ragionevole, razionale e devoto "sente" la rovina nell'ossessione di Achab e tenta – numerose volte – di farlo ragionare (penserà anche di fermarlo, uccidendolo, e si tratta di un pio quacchero); meraviglioso il loro ultimo colloquio (capitolo CXXXIII - La Sinfonia).
L'equipaggio, invece, si lascia contagiare dall'ossessione di Achab, che, dimentico di ogni logica, virtù e sentimento, segue la "sua" balena.
"Ciò che è osato, l'ho voluto; e ciò che ho voluto lo farò!"
C'è una profezia funesta, sul nostro capitano, che puntualmente si avvererà. E trascinerà nel suo funesto fato il Pequod e tutto il suo equipaggio, tranne il nostro Ismaele, che si salverà aggrappandosi alla bara dell'amico Queequeg (convertita in salvagente quando il ramponiere aveva deciso di rimandare la sua morte).
Vince la balena, naturalmente.
Vincerà su Achab, sull'umanità e su tutti i pescatori che seguiranno, da Santiago a Sampei.
Sarà l'unica vittoria, probabilmente.
Si potrebbe riflettere su come una manciata di decenni fa fosse in atto una lotta così tenace e feroce ed oggi la balena, diversamente dal lupo, non sia rimasta "nemico" neppure a livello simbolico. Oggi ci si preoccupa per la sua estinzione, si studiano i suoi sistemi di comunicazione, si creano i santuari dei cetacei e Disney ha pensato di animare "I pini di Roma" con delle balene (con pessimi esiti secondo me e Respighi si rivolta nella tomba, ma vabbe').
Ma in realtà è più interessante spendere due parole (indegne, venendo da me) su Melville e la sua scrittura.
Leggendo ho collezionato ben 8 pagine di sottolineature e rimandi sul reader.
Come mi accade molto di rado ho sottolineato interi capitoli.
Avevo provato a fare una scelta e postare le parti che ho amato di più, ma non ci sono riuscita.
Mody Dick esiste nel suo essere un continuum.
Nel passare dall'essere un trattato di filosofia, un romanzo d'avventura, un bignami di psicopatologia ed etnologia, una sconnessa poesia, un manuale sulla balena, e sulla caccia alla balena. Una Bibbia Laica ed un compendio dell'umanità.
Analogamente passiamo dallo stream of consciousness, al dialogo serrato, alla descrizione (pagine e pagine, spesso meravigliose), al teatro. Geniale l'idea delle didascalie "teatrali" all'interno dei capitoli. Melville vede il film tratto dal suo libro.
E noi anche.
Sono immensamente contenta di aver colmato questa lacuna.
Non lo consiglio perché lo avrete già letto tutti, ma si può rileggere qualche capitolo.
Io ho amato molto LXXII, LXXVIII, LXXXVII, C e CXXXIII (La Sinfonia).
È vero che Melville è divino esattamente come Ismaele è verbosetto, ma non mi vengono in mente molti libri in cui ho sottolineato capitoli interi.
Dolenti Note.
Si diceva che Melville aveva visto il film del suo libro.
E di certo l'aveva immaginato meglio di quello finora realizzato.
Quel linfatico di Gregory Peck, non pago di aver massacrato Atticus (Il buio oltre la siepe), si accanisce su Achab in compagnia degli sceneggiatori che hanno pensato bene di stravolgere il finale e la profezia dio solo sa perché (fra l'altro… Ray Bradbury. Come hai potuto?).
Qualche mese fa è uscita una pellicola in USA "In the Heart of the Sea" che si ispira al libro.
C'è Ron Howard alla regia (malebene), c'è Thor Hemsworth (malemale) e c'è pure Ben Wisham (benebene) che fa Melville (la storia – realmente accaduta – sarebbe quella che ispirò a Melville "Moby Dick")… vedremo. Peggio del film del 1956 non potrà fare… almeno lo spero.
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IO SONO LA PAZZIA IMPAZZITA
«Oh, della nave! Hai visto la balena bianca?»
Oh sì, la conosciamo bene. Moby Dick, il Leviatano ottocentesco, ancora più temibile perché indossa il bianco, il colore della purezza e dei fantasmi, è ormai un mito per noi lettori moderni, modernissimi, anzi contemporanei. Canzoni, film, telefilm ci hanno già presentato eventi e personaggi: rivederli all’origine è un’esperienza che può essere emozionante o faticosa.
Per noi lettori del terzo millennio è facile identificarci con lei (o lui): Moby Dick, mostro innocente e ribelle, perseguitato per secoli come fonte di luce e di cibo. Grande Moby Dick, che morde lenze per liberare gli altri pesci (mammiferi, per la precisione). Meraviglia della letteratura ottocentesca, questo personaggio ha la stessa forza dell’autentico capodoglio albino, possente animale capace di spazzare via un’imbarcazione con un solo colpo di coda e di raccontare il meglio e il peggio della natura umana. Anche lo stile narrativo del romanzo è una forza della natura, da centellinare con cautela: la gradazione è forte, non è leggero come certa spumeggiante narrativa di oggi, scritta per lettori frettolosi avidi di frasi facili.
Il lettore ha sempre il sacrosanto diritto di non leggere tutto, ma personalmente ho apprezzato anche i passaggi più lenti del romanzo, quelli che illustrano “il romantico procedimento” della baleneria, dall’avvistamento alla caccia al “travaso dell’olio nelle botti e la calata di queste nella stiva”. Non ho potuto fare a meno di leggerli, perché consentono di apprendere davvero la fatica e la bellezze di un’arte che non esiste più: l’arte della baleneria e della sua dialettica baleniere e balene, cacciatori e prede.
Siamo noi umani che cerchiamo la balena, non è lei che cerca noi, senza dubbio. Ma anche se campioni di un’arte crudele, non meno dell’arte guerriera dei Napoleone di tutti i tempi, sono così belli anche questi marinai, battezzati o ottimi selvaggi, semplici o ufficiali, che sfidano le acque sconfinate degli oceani e la furia dei Leviatani.
Splendido anche Achab, il folle capitano dalla follia così lucida da vedersi allo specchio, da contemplare la via di uscita e rifiutarla.
«Oh capitano! Mio capitano! Cuore nobile, vecchio cuore grande dopo tutto! Perché si deve dare la caccia a quel pesce odioso? Torna via con me! Usciamo da queste acque morte! Torniamo a casa!»
Ha la fortuna di avere una casa, il vecchio capitano, e una giovane moglie e un figlio ancora bambino. Ma il richiamo di Moby Dick è più forte. Achab è davvero “la pazzia impazzita.”
E il resto dell’equipaggio? Lo segue. Qualcuno spera di ricevere in cambio il prezioso doblone d’oro vergine, per comprarci centinaia di sigari o l’equivalente. Gli altri, affascinati dalla sua follia o di malavoglia, lo seguono comunque, fino alla catastrofe, prevista ancor prima di levare l’ancora.
E quante riflessioni, quanti richiami, quante citazioni tra un incontro e l’altro, di balene o di navi. Precursore delle astronavi di Star Trek, il Pequod vanta una ciurma variopinta di personaggi dalla forte personalità, ben descritti nell’aspetto, tragici e buffi, alieni e umani, comunque indimenticabili. La navigazione interculturale ispira una sana curiosità nei confronti dei diversi più o meno esotici e suscita grandiose digressioni, anche filosofiche, sulla vita: la nostra e quella delle balene e degli altri animali.
Achab ci insegna che siamo condannati a cercare il Male, a dargli un nome, a inseguirlo negli angusti oceani del nostro mondo. In fondo, sappiamo che è una fatica tanto ingrata quanto inutile, ma andiamo avanti, armati di rabbia e di ramponi, arrancando nelle nostre imbarcazioni sgangherate, a meritarci il colpo di coda finale. In fondo, ammettiamolo: ci piacerebbe essere Moby. L’odio è l’altra faccia dell’amore, si sa. Può farci volare in alto nel cielo. Oppure, trascinarci negli abissi marini.
Non è un romanzo da manuale, questo. Troppo pesante, troppo divagante. Alcune parti sono poco romanzesche, sembrano un documentario sulle balene. Una pesante diversità. Un capolavoro. Inestimabile.
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Bianca follia
Salpando dal porto di Nantucket in una fredda giornata di dicembre i marinai del Pequod erano convinti di intraprendere un normale viaggio a caccia di nobili ed inermi leviatani, allo scopo di riempire la stiva della nave di barili colmi di pregiato e remunerativo olio di balena. Nessuno poteva sospettare minimamente quale fosse il reale intento del loro capitano, il folle e vendicativo Achab, deciso a trasformare un affare commerciale in un regolamento di conti con i suoi fantasmi e le sue ossessioni. Nessuno, tranne il primo ufficiale Starbuck, si rese conto del pericolo cui si andava incontro quando Achab, comparendo per la prima volta al cospetto della ciurma saldamente piantato sulla sua gamba d'avorio e con gli occhi iniettati di sangue, palesò con insana enfasi il suo vero obiettivo: trovare, combattere e uccidere il leggendario Moby Dick, un niveo e combattivo capodoglio, astuto e feroce, che in tanti cercavano di ammazzare rimettendoci chi qualche arto come Achab, chi addirittura la vita. Presi dal carisma del capitano e dallo spirito d'avventura che suscitava l'impresa, gli uomini risposero positivamente alla richiesta di fedeltà del loro pazzo condottiero giurando, in un'orgia di alcool, follia e adrenalina, di abbracciare fino in fondo la sua causa e di combattere Moby Dick fino alla morte. Ma da quel momento in poi un'infinita serie di presagi nefasti accompagnerà il viaggio della baleniera e quella intrapresa si rivelerà ben presto una strada senza uscita. Ricca di simbolismo, l'opera di Melville è fortemente emblematica di una concezione pessimistica della condizione umana. La lotta contro la balena bianca è una dura e implacabile metafora delle continue battaglie che da sempre l'essere umano conduce contro la natura, contro i propri limiti, contro se stesso e le proprie ossessioni, battaglie dalle quali non può che uscire ridimensionato e sconfitto. Simbolica anche la scelta del candido colore della balena, il bianco, una tinta comunemente associata alla santità, all’innocenza, alla gioia, alla luce, che qui invece assume un significato spettrale, diventa simbolo di orrore, di morte, di gelo, infonde nell’animo un panico maggiore del rosso, lo spaventoso colore del sangue. Bianco è il mare che incute timore nei marinai, bianche le ali degli uccelli marini portatori di cattivi auspici, bianche le cicatrici di Achab. Un colore che compare nel libro in maniera ricorrente, e sempre con accezione negativa. I diversi aspetti dell'animo umano poi vengono ben rappresentati dai vari personaggi che compongono l'equipaggio: alla follia, alla megalomania, alla brama di dominio personificate dal capitano fanno da contraltare la saggezza, la prudenza, la razionalità di Starbuck; al meccanico coraggio del secondo ufficiale Stubb si contrappone la viltà del tamburellista Pip; il narratore Ismaele incarna la voglia di conoscere il mondo e di comprendere l’animo umano, il misterioso Fedallah la metafisica capacità di prevedere il futuro. Inoltre l’eterogenea composizione della ciurma, formata da uomini di ogni razza e religione, appare come un invito alla perfetta coesistenza e integrazione tra culture differenti. Contenuti quindi di tutto rispetto e stile indubbiamente degno di lode che in alcuni passaggi, soprattutto nel finale, raggiunge alti picchi di virtù letteraria, ai limiti del lirismo. Peccato che la piacevolezza della lettura venga messa a dura prova da lunghi e tediosi monologhi riguardanti le tecniche di pesca, la lavorazione dell’olio di balena o la conformazione fisica dei leviatani. Dissertazioni pesanti e di scarso interesse per il lettore, che occupano una buona metà del romanzo e non sembrano avere altra funzione che mettere in evidenza la ricca competenza dell’autore in quest’ambito. Un’inutile sfoggio di cultura che appesantisce notevolmente un’opera dal valore comunque innegabile che sottolinea quanto sia pericoloso lasciarsi trascinare dall’insana tracotanza di certi personaggi carismatici (vedi leader politici), perché spesso la follia di una sola persona rischia di far affondare tutti coloro che ciecamente gli vanno dietro.
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Il "peso" di un capodoglio...
Ho deciso di scrivere questa recensione più che altro per recitare un doveroso mea culpa per non essere riuscito a finirlo... Come tutti i ragazzi l'avevo letto (millenni fa!) nella versione sforbiciata per l'infanzia, lunga non più di 150 pagine. Lo ricordavo con immenso piacere: un romanzo tutto di avventura pura. La storia di un pugno di uomini che sfida le continue insidie del mare, tra fortunali e "fuochi di S.Elmo", per giungere infine alla sua nemesi, l'incontro con il mostro, l'epitome di ogni male: la mitica balena bianca.
Alcuni anni fa mi sono trovato per le mani la versione integrale... in lingua originale. Ho deciso di accettare la sfida, nonostante il mio inglese non fosse (e non sia) quello di un laureato a Cambridge. Incredibilmente, però, l'ostacolo non è stato la lingua, complessa ed arcaica, ma comunque leggibile e di non impossibile comprensione, quanto il testo stesso.
Melville, prima di affrontare la sua opera più importante, si era cimentato solo in scritti di letteratura popolare. Con "Moby Dick" volle fare un'opera colta, per intellettuali. E forse proprio questo è il suo peccato originale. Sin dalle prime pagine si vede il continuo lavorio dell'autore in cerca di simbolismi, allegorie, parabole sulla natura umana. In questo gioco, di cui è piena tutta la letteratura italiana fino dai primordi, lo scrittore americano entra come neofita e, purtroppo, a causa proprio della sua inesperienza, mette in mostra il meccanismo con cui vuol far muovere i suoi ingranaggi. Il risultato è che ogni simbologia, ogni allegoria giunge 'telefonata' e faticosamente, inutilmente reiterata in diverse sfaccettature quasi nel timore che il lettore non ne abbia compreso appieno il significato.
Interessanti sono le digressioni "tecniche", ma solo dal punto di vista storico: Melville era stato effettivamente marinaio sulle navi baleniere e mostra qui tutta la sua esperienza in materia. Ma 150 anni dopo le tecniche per lo squartamento di una balena o per ridurre il suo grasso in olio, non sono proprio al centro dell'interesse generale. L'ammaestramento morale, poi, sente inevitabili, gli influssi della cultura di metà ottocento, e, non a caso, Achab, Nantuket, e tutto il Pequod sono pervasi di puritanesimo quacchero.
Restano le atmosfere, la descrizione dei personaggi, dei sentimenti, la lotta continua per raggiungere i propri limiti e sfidare ciò che non si dovrebbe sfidare che fanno ritenere quest'opera un capolavoro. Comprendo, comunque chi non è riuscito a superare pagina 100: io, di filato, credo di essere arrivato si e no a pagina 120, ma l'inglese è un po' più succinto dell'italiano. Poi ho barato, saltando di qua e di là alla ricerca dei brani più interessanti e, ovviamente, ho letto più volte il finale, grandioso come un'opera shakespeariana . Il volume, però è ancora lì, su un lato del comodino, solo un po' impolverato. Attende pazientemente che io trovi la forza di volontà di riprenderlo a leggere dalla prima all'ultima pagina, senza trucchi.
A mo' di post scriptum vorrei solo osservare come abbia trovato un pochino fastidioso il fatto che Melville abbia voluto fare di Moby Dick (ed in genere delle balene) l'incarnazione del male e del mostro primordiale. Per noi uomini del XXI secolo i capodogli sono solo splendidi, intelligentissimi bestioni, ingiustamente, crudelmente predati per secoli. Ma, l'autore scriveva nel 1850 e, almeno per questo aspetto, 150 anni non sono passati invano. Per fortuna!
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Soffia!
Ho appena finito di leggere Moby Dick, dopo decenni in cui pensavo di farlo e poi rinviavo... facevo bene ahaha
Seicento pagine nelle quali la storia vera ne occupa forse cento (e infatti la versione "per ragazzi" che ha mia nipote ne ha solo centoventi) mentre il resto è molto utile se si fa il marinaio nell'Ottocento. L'ho tenuto sul comodino per mesi, ma alla fine ce l'ho fatta. Probabilmente, anzi sicuramente, colpa mia. Però è davvero dura. Leggerlo è istruttivo, soprattutto per chi ha amato Lo squalo di Benchley che si è ispirato parzialmente a questa storia, però è almeno altrettanto faticoso.
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La balena bianca
Questo romanzo venne pubblicato per la prima volta nel 1851, durante il Rinascimento americano e venne tradotto in italiano per la prima volta nel 1932 da Cesare Pavese.
Agli inizi non era stato ritenuto un gran libro, ma ora è stato riconosciuto come uno dei capolavori della narrativa statunitense.
Anche se si tratta di un romanzo di avventura, cita due avvenimenti realmente accaduti.
Il primo è l’affondamento della baleniera Essex nell’anno 1820 ed il secondo è la presunta uccisione di un capodoglio albino nei pressi dell’isola cilena Mocha.
Passiamo alla trama del libro.
Ismaele è il narratore e proprio attraverso i suoi occhi veniamo a conoscenza di questa storia.
Lui sta per partire per Manhattan e per arrivarci si imbarcherà su una baleniera.
Per poter partire deciderà di dividere il letto con un perfetto sconosciuto con il quale con il passare del tempo tesserà una buona amicizia.
Si registreranno nell’equipaggio della baleniera Pequod che ha come capitano Achab.
A quanto pare però aleggia nell’aria una disgrazia e pende proprio sulla testa del capitano.
Moby Dick è l’imponente e particolare balena bianca che vogliono catturare, ma non è per niente facile questa impresa perché prima di lui molti altri l’avevano tentata fallendo miseramente.
L’equipaggio su Pequod dovrà andare incontro a tantissime peripezie se vorrà portare a casa la pelle.
L’uomo anche in questo caso cercherà di lottare in tutti i modi contro le forze del male ed inoltre l’autore ci fa capire che abbiamo dei limiti e la forza di Madre Natura è sconfinata.
Ve lo voglio consigliare e vi auguro buona lettura!
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AHAB E ULISSE
Lessi questo classico moltissimi anni fa e l'ho riletto l'anno scorso per " dovere di famiglia".In passato? un bel mattone, Ora ,una scoperta affascinante .
E ' una lettura ardua e faticosa , ma il grandioso finale ci ripaga ad usura della fatica.
Il mio parere -soggettivo e dunque fallibile e criticabile- è questo :la chiave di volta interpretativa è contenuta nelle ultime pagine.Sono queste , col loro ritmo travolgente, a fornire un senso a questo eterogeneo testo e ne chiariscono il significato .Gettano una luce preziosa sulla precedente navigazione. del lettore in questo mare di scrittura , non privo di scogli e di vortici.Sono come un faro.
Secondo me, Moby Dick è una allegoria del dramma della bruciante sete conoscitiva dell'uomo, sempre teso al raggiungimento e al superamento di sempre nuove frontiere.
"Tutti gli uomini desiderano naturalmente di sapere ",così Aristotele
La creatura razionale è spinta dal desiderio ardente , nobile e invincibile di fare "sperienza piena e de li vizi umani e del valore" , fino a raggiungere e poi superare le proibite Colonne d'Ercole . ( nel nostro caso la cattura della balena Bianca). Moby Dick è una riflessione e un invito alla riflessione sui limiti della ragione umana . Come Ulisse si inabissa con la sua nave ferita a morte da una misteriosa e improvvisa tempesta in prossimità della "montagna bruna" , il capitano Ahab si inabissa insieme alla balena bianca .E il mare si richiude su di loro ,come un eterno sepolcro d'acqua : è una profonda e amara meditazione sulla insaziabile sete di conoscenza che è propria dell'uomo , come pure sugli ostacoli e sui limiti invalicabili che essa fatalmente incontra.
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L’ossessione
Se siete riusciti a terminarlo, lasciatelo decantare lentamente , vi rimbomberà perpetuo come la marea nella vostra testa, confusi come nel mezzo di una burrasca, sicuramente vi avrà segnati, difficilmente capirete se vi è piaciuto o meno. Confusi perché non si riesce a capire cos’è quest’opera, potrebbe essere un romanzo, potrebbe essere un manuale completo sulla baleneria, forse un’opera teologica di una religione marinaresca arcaica, un diario, un trattato di psicanalisi per soggetti maniacali; Moby Dick è tutto questo o è niente, forse! Qualcuno all’epoca della sua uscita disse che l’intento di Melville fosse fare un’allegoria della società del tempo, quello stesso qualcuno affermò anche che forse Melville non sapeva neanche lui cosa avesse scritto. Di sicuro si percepisce l’ossessione, si mangia balena, si beve balena, si respira balena, si prega la balena che viene trasformata in un feticcio; si evolve in religione diventando un mitologico Dio bianco, diventa un limite da oltrepassare com’è nella natura autodistruttiva dell’uomo, e quando si sfida una divinità l’esito è certo. Fatevi del male, soffrite leggendo il mito, potrete dire di esserci riusciti, e certamente potrete dirvi esperti in baleneria.
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Call me Ishmael
Dopo centosessantaun' anni, questo classico della letteratura americana, riesce ancora a stupire.
Contemporaneo di "David Copperfield" di Dickens, e "La capanna dello zio Tom" di Stowe, "Moby Dick" inframmezza pagine enciclopediche sulla vita di una baleniera, a capitoli lirici, al limite del teatrale. Le riflessioni sembrano lunghi monologhi shakespeariani, creando così un'atmosfera di tenebroso romanticismo.
L'io narrante è Isamele, che si presenta già nella prima riga del romanzo. Partendo da personaggio principale, diventa via via un narratore onniscente, in grado di raccontare il viaggio tormentato del capitano Achab, alla ricerca della sua vendetta.
Lo affianca una serie di personaggi, tra tutti Queequeg, figlio di un Grande Capo dell'isola Rokovoko, dal corpo tatutato, e primo ramponiere sulla Pequod, la baleniera.
Le digressioni sono innumerevoli, tuttavia anziché appesantire, trascinano in mezzo all'oceano immenso. Sul lettore che si lascia trasportare dalla narrazione, in quel vasto mondo marino, grava un senso di smarrimento che non termina alla chiusura del libro, ma permane, come un retrogusto un po' amarognolo.
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una sorpresa
Inizialmente l'avevo regalato a mio figlio credendo fosse una lettura per ragazzi. Me l'ha restituito dopo averne letto 100 pagine e dicendomi che non gli piaceva, soprattutto per lo stile di scrittura. Allora l'ho cominciato io e subito mi sono scontrato con una grande difficoltà di lettura. Devo ammettere di aver fatto fatica anch'io a superare lo scoglio delle 100 pagine.......era completamente diverso da quello che mi aspettavo: non una gradevole avventura da leggere con disattenzione, ma dialoghi particolarmente contorti, orientati ad esplorare la natura umana ed a mostrarne le debolezza e la vacuità. Insomma mi sono dovuto impegnare a fondo ed alla fine sono riuscito ad apprezzare il messaggio contenuto nella grande opera di Melville. Il viaggio della Pequod nei mari alla ricerca di MOby Dick è un viaggio di introspezione nella mente umana volto a stanare il mostro che è insito dentro di noi. Il mostro, la natura stessa, non possono essere sconfitti dall'uomo che è inerme contro tali forze. Ed in effetti il senso di tragedia avvolge come una densa vernice tutto il libro, dalla prima all'ultima pagina. L'unico sopravvissuto è colui che riesce a non abbandonarsi agli istinti animali che, secondo Melville, accomunano l'essere umano agli animali, ponendolo a volte addirittura ad un livello inferiore.
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Caccia al destino!!
Herman Melville pubblicò questo romanzo nel 1851 quando, allora trentaduenne, aveva già alle spalle numerose esperienze marinaresche. Aveva già affrontato i pericoli che la navigazione per mari comporta e, guidato dalla sua naturale irrequietezza, si era sempre domandato il “perché”, il senso ultimo della vita umana, alla ricerca di un approdo, un porto sicuro, una verità ultima sulla vita e sull’uomo.
Elemento che ad una lettura superficiale può non essere percepito ma che è fondamentale e va tenuto ben presente.
La navigazione per mari della Pequod rappresenta in sostanza la navigazione dell’umanità nella sua interezza e la sua lotta contro la sorte avversa, Moby Dick, che in questo caso non sarebbe una comune preda di caccia ma rappresenterebbe la forza misteriosa della natura che invita l’uomo alla lotta, come direbbe Hemingway, una lotta in cui l’uomo si ritrova a volte vincitore a volte vinto.
Dunque Melville propone un interrogativo che attanaglia l’uomo ancora oggi. Esiste il destino? La nostra sorte è già stata scritta?
Le opinioni sono discordanti e mentre in molti hanno affermato che “quemque fabrum esse fortunae suae” ovvero “ognuno è artefice del proprio destino” in questo romanzo si afferma il contrario: l’uomo non può niente contro il “maligno destino” e si trova inesorabilmente sopraffatto da ciò che non può controllare.
Spesso quest’opera è stata considerata “per ragazzi” sminuendo così il suo grande valore artistico, ma è difficile che i ragazzi possano scoprire certi significati metaforici dell’opera: essi ammireranno il coraggio degli intrepidi marinai, si lasceranno trasportare per mari e oceani sconosciuti dalla loro fantasia, immaginando di essere anche loro a bordo della Pequod e di vivere mirabolanti avventure. Forse in questo sta il valore educativo del libro, nello stimolare la fantasia, e ad una lettura più attenta a riflettere su interrogativi, se vogliamo filosofici, che da sempre l’uomo si è posto.
Proprio per questo Moby Dick è indicato ai lettori più giovani come a quelli più adulti.
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Chi ama la letteratura marinaresca, Conrad e London.
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mah...
è il libro che ha suscitato in me il maggior disinteresse, molti lo definiscono un capolavoro ma da sempre sottovalutato dalla critica: io non riesco a trovare nulla di positivo e accattivante nel romanzo. l'ho trovato pesante e inutilmente dispersivo in descrizioni interminabili, a tratti ridondanti.. forse sono io che non riesco ad apprezzarlo... mah...
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