Lo straniero
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“TUTTO SOMMATO, NON C’E’ NIENTE DI DIVERSO”
“Ho pensato che era comunque un’altra domenica passata, adesso mamma era al cimitero, avrei ripreso il mio lavoro e, tutto sommato, non c’era niente di diverso.”
In una frase un romanzo. L’alienazione dell’uomo è troppo estrema da non apparire nobile.
Perché non è l’indifferenza a guidare Meursault nel progressivo abbandonarsi ad un destino già per lui scritto, quanto un vero estraniamento esistenziale, una consapevolezza che ogni emozione umana, l’amore o l’odio, abbiano la stessa evanescente consistenza della polvere nelle strade di Algeri.
Meursault assiste al funerale della madre in un torpore allucinato da cui ogni sentimento è bandito. Egli è osservatore passivo di quel teatrino di figuranti: il guardiano dell’obitorio col malcelato desiderio di sigarette o il pensionato lacrimoso che segue a fatica il feretro del suo amore senile. In qualche modo osserva pure se’ stesso ... da fuori … come in un sogno.
Eppure in qualche modo il suo estraniamento resta nobile perché mai cede alla tentazione del giudizio. Non c’è in verità nulla da giudicare .. le cose vanno così e tanto fa .. la gente si affanna, tribola, soffre, ama o odia … Lui osserva e basta. Così alla fidanzata che gli chiede se l’avrebbe sposata, risponde con disarmante sincerità e senza volontà alcuna di ferire, che “per lui era lo stesso e che se lei voleva si poteva fare”.
Nell’episodio centrale del romanzo, Meursault uccide un arabo sul lungomare assolato in una afosa giornata estiva. Lo fa senza reale motivazione. In fondo non occorrono motivi se si vive costantemente in un vuoto emotivo pneumatico ed i fumi dell’alienazione annebbiano la vista. Al suo processo, tra ventilatori incapaci di dissipare la calura, scorrono come in un film le persone che in qualche modo hanno attraversato la sua vita. Al solito li lui osserva e in mezzo a loro osserva se stesso.
Seguirà l’inevitabile condanna. Un omicidio, tanto più se di un uomo arabo, si può certo perdonare, ma quel mostruoso distacco, quella innaturale assenza, quell’apatia dell’anima … no tutto ciò non è tollerabile e turba la coscienza dei giurati del romanzo così come di noi lettori di oggi aggrappati come siamo alla necessità di un Bene e di un Male.
Condannare chi ci mostra la vacuità delle nostre certezze diventa allora quasi forma estrema di autodifesa, ma pure tradisce la nostra debolezza faticosamente celata sotto il manto di una supposta Giustizia.
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L'indifferenza verso il mondo
Il romanzo di Camus ha come protagonista il signor Meursault, anonimo individuo residente ad Algeri e dipendente presso uno degli uffici della città. Il suo atteggiamento completamente distaccato rispetto a tutte le circostanze che lo coinvolgono, dalla morte della madre all’amore per una donna, risulta del tutto incomprensibile se non viene inquadrato nel periodo di pubblicazione del libro. Quando Camus scrive questo romanzo, infatti, imperversa in Europa la Seconda Guerra Mondiale e l’autore vuole rappresentare il distacco tra il singolo individuo e il mondo. L’atteggiamento di Meursault deriva dunque da quel particolare periodo storico che ha portato l’autore a riflettere sull’inutilità di appassionarsi alle vicende della vita, dato che l’epilogo – la morte – è scontato ed è certo per tutti. Se leggiamo il libro con la mentalità di oggi che ci porta ad intravedere un futuro e a concorrere per il raggiungimento di obiettivi, appare incomprensibile e scioccante l’atteggiamento del protagonista perfino di fronte alla condanna capitale che subirà. Se però ci caliamo nello scenario del 1942 in cui gli uomini non vedevano futuro e l’unica certezza era la morte che prima o poi sarebbe giunta, il modo di fare di Meursault non ci apparirà più così oscuro.
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Meursault
Libro letto come propedeutico al relativamente recente "Il caso Meursault" di K. Daoud, assai interessante Premio Gouncourt-Opera Prima , visto come 'risposta' di un arabo al libro di Camus, appunto.
La lettura di "Lo straniero" è stata più che una mezza sofferenza, benché si tratti di un'opera sicuramente bella a livello letterario.
Saviano, nella prefazione, ci avverte che "Camus è straniero a tutto", nella sua dimensione sociale, politica, d'identità nazionale ... Un po' come il protagonista del suo romanzo, ambientato in Algeria, dal nome inequivocabilmente francese.
Il libro non sviluppa la questione razziale, anche se questa non è implicitamente assente. Punta soprattutto all'ambito esistenziale.
Già l'incipit è lapidario : "Oggi è morta mamma. O forse ieri, non so. Ho ricevuto un telegramma dall'ospizio; 'Madre deceduta. Funerale domani. distinti saluti' ".
La desolazione avvertita durante la lettura non è tanto dovuta alle vicende narrate, seppur tristissime, quanto all'atmosfera senza prospettive, dovuta a un carenza di interiorità, una piattezza esistenziale che colpisce quasi tutti i personaggi, una insufficienza di vita che ogni pagina emana. Il protagonista vive in una condizione di arida indifferenza, "come svuotato". Si sente sempre giudicato perché "siamo sempre un po' colpevoli" ; però afferma che "più che rimorso vero e proprio provavo una certa noia".
Conosco poco Camus per sapere se come uomo volesse troppo o troppo poco e se si ostinasse a bussare alle porte dell'infelicità.
Stando semplicemente al libro, ciò che colpisce il lettore, magari con effetti deprimenti, non deriva da espliciti rimandi filosofici nichilisti o cascami di ottocentesco pessimismo da schiavitù razionalistica. E' piuttosto come se il tarlo dell'infelicità provenisse direttamente da dentro il romanzo stesso, quasi che la fonte inquinata lasciasse il suo alone sgradevole fin sulle singole pagine.
"Ci si abitua a tutto"
"Lo straniero" di Albert Camus, datato 1942, è considerato un mostro sacro della letteratura.
Raramente non è presente nelle classifiche dei libri più belli che siano mai stati scritti.
Ed è per questo motivo che, una volta terminato il romanzo, mi sono sentito in leggera difficoltà.
Perchè per quanto sia stata un' ottima lettura, piacevole a livello puramente stilistico e suggestiva nella parte finale , non ho avuto l' impressione tangibile di avere tra le mani un grande ed indiscutibile capolavoro della letteratura mondiale.
Non sono riuscito ad entrare in sintonia con un protagonista, Meursault, tremendamente impersonale, indifferente e vuoto nei confronti di tutto quello che lo circonda. Non sono stato coinvolto, non mi ha emozionato.
Meursault non sceglie, non giudica. Subisce in maniera passiva. Anche se devo ammettere che il suo atteggiamento, totalmente scevro di filtri, menzogne e privo dell' umana e terrena necessità di apparire anche soltanto in minima parte diversi da quello che si è, è sempre straordinariamente coerente con la propria apatica interiorità.
A tratti la lettura ha rappresentato per me una vera e propria sofferenza, tanto grandi erano l' aridità, la desolazione, la fastidiosa assenza di qualsiasi prospettiva avvertita tra le righe.
Come se un' esistenza valesse l' altra, senza distinzioni. "Ci si abitua a tutto".
Poi però arriva la parte finale. La migliore del romanzo, e non a caso la più commovente e scomoda.
Quando Meursault capisce di aver distrutto un equilibrio, di aver interrotto il silenzio eccezionale che lo circondava, di aver bussato alla porta dell' infelicità.
Diventa finalmente introspettivo, si pone alcune domande, capendo troppo tardi alcune cose di sè e della vita.
Ma sarà carne da macello. Il colpevole perfetto. Non tanto per il gesto in sè, del quale è effettivamente colpevole. Ma perchè, anche se ci fossero dei dubbi, non potrebbe essere altrimenti. Non cambierebbe niente.
Una preda facile e passiva nelle fauci di una comunità della quale vengono finemente denunciate, con un linguaggio tagliente, la solitudine, la difficoltà di ascolto, di comunicazione e di comprensione tra le persone, l' estraneità del singolo individuo nella collettività.
"Lo straniero" è un testo suggestivo (in parte, ovvero nel finale) e respingente al tempo stesso. Impeccabile a livello stilistico. Ma personalmente ritengo sovrastimato il contenuto, brillante e acuto in alcuni sprazzi ma complessivamente non imperdibile.
Sicuramente una lettura da fare almeno una volta nella vita, se non altro per la notorietà del romanzo.
Forse potrebbe essere un libro che, letto in circostanze e momenti diversi della nostra esistenza, potrebbe assumere differenti sfumature, significati e valori.
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La tendre indifférence du monde
“Aujourd’hui, maman est morte. Ou peut-être hier, je ne sais pas. J’ai reçu un télégramme de l’asile : « Mère décédée. Enterrement demain. Sentiments distingués. » Cela ne veut rien dire. C’était peut-être hier.”
Uno degli incipit più celebri della letteratura del Novecento, questo con il quale prende avvio “L'étranger” del Premio Nobel Albert Camus. Pubblicato nel 1942, il romanzo è interamente ambientato in Algeria, terra natale dell'autore, la cui penna, non a caso, offre un ritratto semplice e perfetto della società coloniale francese dell'epoca nell'Africa mediterranea. Meursault, il protagonista, ne è parte, trascinando una vita anonima, stanca, povera di sentimenti ed emozioni; tutto ciò che sente è soltanto stanchezza, noia, fastidio. Nemmeno la morte della madre, ricoverata in un ospizio, riesce a scalfire la sua apatia; nemmeno l'omicidio di cui in seguito, sulla spiaggia, si rende colpevole e che finisce per segnare fatalmente la sua sorte.
Attraverso una prosa semplice e scarna, a tratti minuziosa e dal ritmo piuttosto lento, ma carica di vera potenza drammatica, Camus narra la vicenda di un piccolo impiegato di Algeri, un uomo qualunque che, senza ambizioni né passioni, sembra incarnare la più assurda rassegnazione all'indifferenza del mondo e a un destino a cui è sufficiente soltanto un istante di sole abbagliante per negare una minima possibilità di salvezza. “[...] c'était à cause du soleil”, si limita a giustificarsi maldestramente Meursault durante il processo, dove ben presto apparirà sotto accusa più per il fatto di aver seppellito l'anziana madre senza versare una lacrima che per quello di aver ucciso un uomo “par hasard”, per caso. Particolarmente intense risultano le pagine in cui la voce narrante dello stesso protagonista si perde negli infiniti rivoli dei propri pensieri, rischiarati spesso dalla luce delle stelle che filtra nella solitudine della cella, mentre i giorni, le settimane, i mesi scivolano impietosi verso un tragico, inevitabile epilogo che solo per un attimo, in occasione dell'incontro forzato con il prete, lo scuoterà dalla sua cronica apatia.
“Ainsi, avec les heures de sommeil, les souvenirs, la lecture de mon fait divers et l'alternance de la lumière et de l'ombre, le temps a passé. J'avais bien lu qu'on finissait par perdre la notion du temps en prison. Mais cela n'avait pas beaucoup de sens pour moi. Je n'avais pas compris à quel point les jours pouvaient être à la fois longs et courts. Longs à vivre sans doute, mais tellement distendus qu'ils finissaient par déborder les uns sur les autres. Ils y perdaient leur nom. Les mots hier ou demain étaient les seuls qui gardaient un sens pour moi.
Lorsqu'un jour, le gardien m'a dit que j'étais là depuis cinq mois, je l'ai cru, mais je ne l'ai pas compris. Pour moi, c'était sans cesse le même jour qui déferlait dans ma cellule et la même tâche que je poursuivais. […] Le jour finissait et c'était l'heure dont je ne veux pas parler, l'heure sans nom, où les bruits du soir montaient de tous les étages de la prison dans un cortège de silence. […] Non, il n'y avait pas d'issue et personne ne peut imaginer ce que sont les soirs dans les prisons.”
Un grandissimo romanzo dal quale, nel 1967, il regista Luchino Visconti trasse un film dall'omonimo titolo e molto fedele al testo, con un impareggiabile Marcello Mastroianni nel ruolo di Meursault ( https://www.youtube.com/watch?v=OkjGt... ). Pur nella sua drammaticità, una bellissima lettura che, a chi può, consiglio in lingua originale: il francese di Camus si rivela fin da subito molto scorrevole e per niente complicato, accessibile anche a chi ne abbia una conoscenza meramente scolastica.
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Diagnosi di una domanda
‘E se Camus avesse voluto lasciarci indifferenti alla conclusione di questo racconto?’
La domanda mi è venuta spontanea mentre mi interrogavo sulle ragioni per cui non ho trovato entusiasmante nè sorprendente la lettura de “Lo Straniero” di un maestro del filone esistenziale come Camus al punto di guadagnarsi il Nobel per la letteratura nel 1957. Un interrogativo buttato lì un po’ come battuta ha preso forza in breve tempo fino a rendersi il passe-partout per la comprensione di questo libro. Almeno per quanto mi riguarda.
In fondo per Mersault, e forse per lo stesso Camus, siamo tutti estranei. Per questo mondo. Ne deriva da questo sillogismo che nessuno è autoctono. Ma tutti sono stranieri o prigionieri, a seconda dei punti di vista. E il confine tra le due parole però è labile, evanescente e non solo perché entrambi arrecano con sé un’accezione etimologica negativa della loro parola (la desinenza infatti è la medesima), ma perché nella sua vita il nostro enigmatico protagonista sperimenta entrambe le situazioni per arrivare a dire che poco cambia se alla fine “tutti sanno che la vita non vale la pena di essere vissuta”.
Non importa se in carcere o fuori, alla fine straniero rimani. E allora dal momento che quella situazione di alienazione è impossibile da superare, è più importante riflettere non sulla vita, ma su se stessi. È più importante avere convinzioni che oggetti. È più importante essere “sicuro di tutto, sicuro della mia vita e della morte che mi aspetta” che sperare di morire in un luogo piuttosto che in un altro. E non importa se l’ingiustizia é stata decisiva nel deviare il corso normale della tua esistenza. Perchè “un giorno anche gli altri sarebbero stati condannati”. Insomma l’apatia morale ed esistenziale, nel vero senso della parola, di Mersault è proprio ciò che lo salva dalla disperazione, dalla abnegazione, dalla tristezza.
È proprio quell’essersi ritrovato senza bussola ed essersi convinto che sarebbe stato inutile costruirne una, in un mondo a cui si sente estraneo, che gli permette di poter affrontare ogni avversità con indifferenza, la quale -in quel dato momento in cui ognuno di noi avrebbe stracciato vesti, strappato capelli, usurato le corde vocali per urlare la propria estraneità ai fatti- diventa il moto interiore che lo fa apparire forte dinanzi a uno scorrere degli eventi sempre più catastrofico e drammatico. In fondo, come fa a rivendicare la propria estraneità a degli eventi successi nella sua vita quando, per lui, è la vita stessa ad essere estranea? È assurdo. E allora diventa assurda anche la nostra posizione -a me personalmente non è capitato ma ad altri, più comprensibilmente, sì- dove pretendiamo che il signor Mersault si faccia valere.
Non so come giudicare questo libro, eppure credo di aver intercettato il messaggio che vuole lasciarci. E ho provato a raccontarvelo. Ma è un messaggio davvero così originale e dirompente? E la storia è davvero così intrigante? Me lo chiedo. E ve lo chiedo. Torno alla prima domanda perché io sono rimasto indifferente alla lettura di questo libro sospeso in un limbo tra approvazione o rifiuto perché ‘qualcosa di già visto, già conosciuto’.
Se non altro ha avuto il merito di pormi ancora una volta un interrogativo che considero dirimente per darmi poi una risposta, rafforzandola, che considero decisiva: ha senso allora vivere la propria esistenza (che sia unica o sia terrena è a vostra discrezione) con questo distacco interiore così forte da poter sopportare ogni avversità, ma allo stesso tempo da non poter provare le emozioni più belle (e anche più brutte) con cui potresti venire a conoscenza? Perché in fondo potrebbe capitare anche a noi di trovarci in un buco nero in cui la via d’uscita non sembra esserci. E, sono certo, che se mi capiterà invidierò la certezza nichilista di cui Mersault si nutre per farvi fronte.
Eppure, e qui vengo alla mia risposta, sono convinto che non è giusto privarci dell’allegria sfrenata, della soddisfazione contagiosa, dell’amore multiforme. Non è neanche giusto privarci della sofferenza, del dolore e della fatica perché è grazie a queste emozioni e sentimenti che nasce il nostro miglioramento come uomo e come donna. Nasce il progresso come individui. E allora se, dopo tutto questo, ti ritrovi al buio e non puoi accendere la luce saranno quei ricordi, quelle piccole vittorie sul dolore, quei grandi riscatti sulla sofferenza e disperazione a illuminare la tua mente e il tuo luogo. E non certo l’apatia per la vita. Perché sennò è un ‘vincere’ senza gusto, è un ‘vincere’ senza guadagno.
E allora sì che è assurdo.
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il grande Sole
La cosa che più mi ha colpito di questo romanzo è la descrizione minuziosamente perfetta che l'autore fa del sole, dell'enorme globo infocato che si determina alla vita dei personaggi.
Ovunque si ha la sensazione che questo incombente astro luminoso vada a sciogliere cose e persone, con il suo calore impossibile da sopportare.
Il sole come elemento decisivo per indirizzare il corso degli eventi. Il suo calore che deforma e attanaglia la mente dei protagonisti.
Pensandoci bene, chi non ha mai provato un senso di disagio, di rabbia, di di impotenza quando all'improvviso ci si trova sotto un sole incandescente, implacabile nel periodo estivo.
Durante la lettura, notavo come l'autore provi come una specie di piacere a far coincidere gli avvenimenti principali del racconto, con i momenti più caldi della giornata, quando dovrebbe regnare la quiete tra le persone rifugiate in casa, ma che invece è la miccia per far saltare in alto tutto il baraccone di ipocrisie, perbenismo e falsa tolleranza che legano i destini della gente.
Per il resto il libro è un geniale inno all'indifferenza, al sesso fatto senza affetto e trasporto. Tutto diviene routine, tutto è inutile, ogni sforzo è vano, poichè o per mano di un assassino, o per mano del destino, o per mano del tempo a tutti è riservato il grande buio finale.
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"Mi aprivo alla tenera indifferenza del mondo"
Un libro a tratti difficile a leggersi, forse proprio perché difficile è vedere la realtà senza veli, come Mersault sa invece fare: una realtà incomprensibile, fatale, inspiegabile, ma essere uomo forse sta proprio nel riuscire a comprendere ed interiorizzare la totale indifferenza del mondo.
Mersault è un impiegato, apatico e dalle poche parole ma, più di questo, è un uomo che sa che la vita accade e basta, senza un perché. E senza un perché un giorno, Mersault uccide un arabo e da qui avrà inizio la sua inspiegabile fine.
Un libro illuminante! Suggerisco di leggere successivamente a "Lo straniero", "La peste", sempre di Camus che sviluppa e trova una risposta alla questione sorta ne "Lo straniero"
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O lo si ama, o lo si odia
Meursault vive la propria vita con assoluta indifferenza, abbandonandosi al flusso degli eventi: prende parte quasi forzatamente al funerale della madre (di cui non ricorda con esattezza neppure l’età), svolge le proprie mansioni lavorative con inerziale diligenza, vive quasi apaticamente la relazione con la fidanzata Marie, non prova rimorso neppure dopo aver ucciso un uomo su una spiaggia assolata; quest’ultimo episodio lo porterà, imputato di omicidio premeditato, a dover affrontare un processo in tribunale, nonché a (non) dare un senso alla propria esistenza.
L’apatia di Meursault è opportunamente sottolineata dalla penna di Camus, la cui prosa risulta volutamente piatta, quasi noiosa, almeno fino ad una ventina di pagine dalla fine del romanzo.
Il finale, appunto. Condannato alla ghigliottina, Meursault giunge alla conclusione che il modo in cui ha condotto la propria esistenza sia il più logico possibile: ogni essere umano è destinato a spegnersi nel giro di qualche decina d’anni, motivo per cui vivere intensamente, affannandosi per raggiungere qualsivoglia obiettivo sarebbe di fatto fatica sprecata.
Mi sento quasi in imbarazzo nel criticare uno scrittore dello spessore di Camus, ma questa lettura non è stata in grado di trasmettermi alcunché: mi ha lasciato -ironia della sorte- indifferente. Inoltre, l’idea stessa che tanto valga vivere nell’indifferenza, non avendo la nostra esistenza alcun senso (premessa già di per sé opinabile), è a mio parere sterile: qualora foste costretti ad affrontare un viaggio con persone diverse da quelle con cui avreste preferito affrontarlo, chiudereste aprioristicamente le porte ai bei momenti che quel viaggio potrebbe in ogni caso regalarvi, o provereste piuttosto, nonostante tutto, a vivere la miglior esperienza possibile?
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L'apatia
Nella corrente esistenzialista, accanto a Sartre, Kafka e Dostoevskij, Camus è una figura decisamente di rilievo, che ha sviluppato un pensiero che merita di essere approfondito - una veloce ricerca sul web fornirà materiale sufficiente per delinearne le forme. Ogni libro va visto come un pezzo che contribuisce a delineare il punto di vista di Camus sulla vita. Lo Straniero affronta il problema dell’assurdo e di come ci si abitui a vivere senza farci caso.
Il libro è composto da due parti che sono completamente diverse come stile. Inizialmente si ha la sensazione che la stesura sia avvenuta in maniera oziosa, svogliata. Sembra che l’indifferenza che il protagonista nutre nei confronti della vita sia la stessa che lo scrittore riservi alla scrittura del libro.
Nella prima parte il protagonista vive la vita senza sottrarsi a nessuna attività ma senza alcun coinvolgimento emotivo. Non vive, lascia solo che le cose accadano. Camus lascia che Meursault descriva le sue giornate senza che commenti e senza dare al lettore la possibilità di entrare nel suo animo. Sembra quasi che si voglia indurre nel lettore, nei confronti del libro, la stessa emozione di noia che il protagonista nutre nei confronti dei fatti della vita.
Nella seconda parte tutto cambia. Inizia una presa di coscienza che aumenta gradualmente. Non si intravedono i sentimenti, ma i protagonisti iniziano ad esporre le proprie idee. Ora però Meursault viene privato della possibilità di scegliere, di decidere - anche se quando ne aveva facoltà non lo ha mai fatto - ed è costretto a vivere in base alle scelte degli altri.
In prigione prendono vita pensieri profondi che si schiantano contro le pareti umide della cella. Lui è un prigioniero perché lo è di fatto, ma soprattutto perché pensa da prigioniero e da prigioniero agisce.
Il concetto del tempo viene sfiorato in alcuni punti ed è assolutamente interessante. Ad esempio quando si è abituato al ritmo della vita in cella non esistono più settimane o mesi, ma solo l’oggi e il domani, due giorni uguali che si avvicendano. Interessante è anche la trama che realizza intrecciando il concetto di tempo e morte arrivando alla conclusione che, poiché siamo tutti destinati a morire, farlo a vent'anni o a novanta non fa alcuna differenza. Nulla sembra abbia senso per il protagonista finché non inizia a pensare alla ghigliottina. Quel macabro strumento, che sembra dia finalmente senso a tutto, appare affascinante e cinicamente risolutore. Sembra quasi si sia atteso per tutto il tempo un evento che ponesse fine a quell'avvicendarsi di giorni uguali, sovrapponibili l’un l’altro dall'alba al tramonto.
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L'insostenibile serenità di Meursault
La negazione di qualsiasi significato trascendente dell'esperienza umana e la sua conseguente assurdità costituiscono il tema portante di questo romanzo di Camus. E' un concetto che l'autore avrà poi modo di teorizzare e precisare ulteriormente nel suo saggio "il mito di Sisifo". Il protagonista è "straniero" agli uomini perché accetta in modo incondizionato la mancanza di senso dell'esistere e quindi non sente la necessità, che invece da sempre ha attanagliato il genere umano, di credere che la vita abbia uno scopo, un significato. Ed proprio per questo che il cosiddetto "consorzio civile" dapprima lo relega ai suoi margini ed infine lo annienta. Meursault viene mandato al patibolo non tanto per l'omicidio commesso quanto, piuttosto, per il suo atteggiamento di imperturbabile e quindi “disumana” accettazione dell’assenza di significato dell’esistenza, atteggiamento che viene percepito dalla "umana" collettività come potenzialmente distruttivo, perché in grado di destituire di fondamento ogni regola funzionale al mantenimento di un qualsiasi ordine sociale se non, addirittura, di attentare alla possibilità stessa della convivenza sociale. Ma l''irrazionalità ed il "non senso", dal quale tutti gli ordinamenti sociali cercano di difendersi, riemergono, prepotentemente, in ogni aspetto della vita dell'uomo: ed, infatti, irrazionali ed assurdi sono il processo a carico di Meursault e la condanna a morte pronunciata "in nome del Popolo Francese", irrazionale è l'amore di Maria per Meursault ed essa stessa sembra inconsapevolmente rendersene conto ("ha mormorato che ero molto strambo, che certo lei mi amava a causa di questo, ma che forse un giorno le avrei fatto schifo per la stessa ragione"), irrazionale è la religione con la sua pretesa di fede in un al di là. L'unica forma di conoscenza possibile della realtà sembra essere, dunque, quella che si può avere attraverso le sensazioni fisiche (caldo, fame, sete, sonno, desiderio sessuale ecc.) provate dal protagonista e così vividamente descritte nel corso della narrazione e Meursault è "straniero" al resto degli uomini proprio nei termini in cui non prova sconcerto e sconforto di fronte ad una simile conclusione, accettandola serenamente fino alle sue estreme conseguenze. Contribuiscono infine a rendere questo breve romanzo un capolavoro anche la concisione dello stile e l'efficacia delle descrizioni, sia dei paesaggi, dei quali vengono mirabilmente ed intensamente evocate luci, colori, rumori, odori, sia dei personaggi, di cui l'autore è in grado di rendere, con pochi tratti, l'intensa fisicità.
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Un'aura di solitudine morale
Meursault, indolente impiegato francese in terra algerina, rappresenta la precisa identikit dell'uomo che affronta la vita lasciandosi trascinare dalle circostanze, incapace di prendere decisioni, di opporsi agli eventi, di abbandonarsi alle sensazioni. Freddo, abulico, pigro, il protagonista si muove con l'indifferenza dello straniero capitato per caso in un posto noioso e insignificante, impermeabile alle emozioni e capace di rispondere soltanto ad istinti primordiali come la fame, la sete, il desiderio carnale. La morte della madre lo lascia impassibile. La possibilità di fare carriera non sembra smuoverlo. Accetta, senza alcun entusiasmo, la proposta di matrimonio di Marie, la donna con cui ha intrecciato una blanda relazione. Subisce passivamente l'amicizia di Raymond, dal quale si fa coinvolgere, come un automa, in una torbida storia di tradimento e vendetta che lo porterà alla rovina. Meursault uccide un uomo, un arabo, senza una reale ragione (se mai ce ne fosse una per ammazzare una persona) e subisce le conseguenze di questo gesto con la consueta arrendevolezza, con la solita accidia, con quel suo comportarsi da spettatore inerte e disinteressato anche davanti a ciò che lo riguarda da vicino. Perché Meursault è questo, uno spettatore che osserva la propria vita invece di viverla, un burattino inerte che si lascia comandare da fili invisibili, una voce narrante che racconta la sua rovina con la freddezza e il distacco di un cronista annoiato. Un sole soffocante pervade l'intera storia creando una cappa opprimente di calore e abbagliando gli occhi e le menti con i suoi raggi implacabili. Un mondo ipocrita, una società guardona, una giustizia inefficiente sembrano disinteressarsi al delitto e puntare invece il dito sul modo di essere dell'imputato. Un’aura di cupa tristezza, di solitudine morale, di nichilismo aleggia su un racconto scandito da una prosa essenziale, secca, scarna, che rappresenta in pieno il modo di pensare, di agire, di vivere del protagonista. Un protagonista che non incontra cerco i favori del lettore, ma al quale tuttavia quest'ultimo non può fare a meno di affezionarsi finendo, se non con il condividerne il pensiero, per lo meno con il comprenderlo e con l'immedesimarsi in lui. Un personaggio che può apparire discutibile ma che rappresenta in pieno il pensiero esistenzialista, la teoria dell'assurdo, la tragica alienazione che caratterizzano le opere di Camus. Un uomo che si arrende alla vita ma che fino all'ultimo respiro resta coerente con sé stesso, con le sue idee, con la propria dignità, che anzi proprio quando queste vengono messe in discussione sembra finalmente avere una reazione, sembra svegliarsi, ribellarsi, vivere. "Aveva l'aria così sicura vero? Eppure nessuna delle sue certezze valeva un capello di donna. Non era nemmeno sicuro di essere in vita dato che viveva come un morto. Io, pareva che avessi le mani vuote. Ma ero sicuro di me, sicuro di tutto, più sicuro di lui, sicuro della mia vita e di questa morte che stava per venire. Sì, non avevo che questo. Ma perlomeno avevo in mano questa verità così come essa aveva in mano me".
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Così è...
Meursault è un impiegato di origini francesi che vive ad Algeri. Il primo incontro del lettore con l’uomo avviene con la scoperta della morte della madre. Sin da queste iniziali battute egli appare come un individuo anaffettivo, apatico; in realtà egli, come chi legge, è vittima di quel sentimento a cui è impossibile dare un nome quando una persona cara, ed ancora di più un genitore, viene a mancare. Per questo, di primo acchito, viene spontaneo rifiutarlo, egli è diverso dal comune immaginare sé stessi. E se già da questa primordiale partenza il lettore nutre nei confronti del protagonista, sentimenti ambivalenti, nel susseguirsi della vicenda egli risulta essere ancora più lontano dalla dimensione dell’odierno conoscitore. Una colluttazione con un arabo sulla spiaggia ed il conseguente gesto del protagonista, ne segnano le sorti: verrà arrestato e condannato a morte e mai cercherà conforto nella religione. Durante le fasi processuali, tra l’altro, viene spontaneo chiedersi: ma Meursault è a processo per aver ricoverato la madre in un ospizio, per non aver pianto al suo funerale e per non aver chiesto perdono a Dio, o perché ha ucciso un uomo? Altra riflessione si sostanzia in quelli che sono gli ultimi momenti della sua vita: l’assurdità palese della situazione mixata ad un universo di circostanze di indifferenza e insensibilità verso l’umanità induce, a ritenere che il reo possa trovare consolazione solo in quel destino comune che alla “fine dei giochi” lo accomuna ad ogni incensurato, ponendoli – entrambe le “categorie” – indistintamente sullo stesso identico ago della bilancia.
Questo particolare personaggio di Camus, un uomo senza mappa e senza coordinate, un individuo non immorale ma perduto proprio come lo scrittore nella realtà immagina essere coloro che popolano il suo tempo, spiazza ed infastidisce tutti coloro che, abituati ad uno sviluppo e maturazione del protagonista, assistono al suo mancato pentimento. Egli infatti non si giustifica, non si difende. Si limita a rispondere con dei brevi “si”, “no”, “Non ho niente da aggiungere” alle domande che gli vengono poste e questo perché nel suo intimo sa che verrà condannato perché così è e così è sempre stato: come non ha potuto decidere della sua nascita similarmente non potrà decidere della sua morte. Che questa accada per espiare ad una pena o semplicemente per vecchiaia, malattia, incidente stradale o altro, non fa la differenza.
In tanti modi può essere interpretato “lo straniero” di Camus. Certamente l’analisi può partire dal concetto di responsabilità. Lo straniero è di fatto irresponsabile perché subisce gli eventi sottraendosi alla ragionevolezza perché solo chi è consapevole di ogni suo gesto può agire per modificare il suo futuro, il suo destino. Camus dunque muove dal presupposto: responsabilità e ragionamento come strumenti per migliorare le vite di chi entra in contatto con noi (e di conseguenza le nostre), ragionamento e responsabilità nell’ottica di azioni che hanno un significato, un peso, così come ogni parola. E lo scrittore sceglie, sceglie sempre perché non ci sono mali peggiori da evitare, o prese di posizione da difendere, bensì decisioni da condividere e da valutare per poterne pienamente constatare il senso ed evitare dunque di procedere per dogmi e illusioni. Ma quindi chi è lo straniero? Lo straniero non è chi appartiene ad una diversa cittadinanza o chi non si riconosce in se stesso, è tale chi convive con un denominatore comune di sofferenza, difficoltà e debolezza. E solo e soltanto agendo il soggetto potrà fare qualcosa; forse non potrà cambiare il mondo, ci sussurra Albert, ma certamente potrà migliorare la propria qualità di vita.
Per Camus scrivere è una forma di liberazione. Sin dalla tenera età è abituato ai sacrifici; figlio di lavoratori concepirà l’ideologia come una macchina di giustizia troppo lontana dalla vita reale. Fondamentale è l’equilibrio, condizione a cui per primo si sottopone poiché egli è per primo estraneo a tutto: alla Francia che lo considera algerino, all’Algeria che lo considera straniero, ai comunisti che lo considerano un reazionario e paradossalmente anche ai conservatori che lo considerano comunista. Questa condizione di estraneità lo sottopone ad una riflessione continua ed incessante che non lo abbandona mai e che lo porta ad interrogarsi sul senso della vita e su quali sono i motivi per cui valga la pena viverla. Con “lo straniero” affronta tutto questo – concludendo ed approfondendo il ragionamento ne “la peste –, consacra l’incolmabile e insanabile solitudine dell’uomo, e riesce a descrivere l’esistenza come un qualcosa che, casualmente ma non senza causa, semplicemente, accade.
«E così, più riflettevo e più cose sconosciute e dimenticate tiravo fuori dalla mia memoria. Allora ho capito che un uomo che avesse vissuto soltanto un giorno avrebbe potuto facilmente vivere cent’anni in una prigione. Avrebbe avuto abbastanza ricordi per non annoiarsi» p. 107
«Non mi ero reso conto di quanto i giorni potessero essere al tempo stesso lunghi e brevi. Lunghi da vivere, senza dubbio, ma così dilatati da finire per riversarsi gli uni negli altri. Sino a perdervi il proprio nome. Ieri e domani erano le uniche parole che conservassero un senso per me» p. 108
«Eppure nessuna delle sue certezze valeva un capello di donna. Non era neanche sicuro di essere vivo, perché viveva come un morto. Certo, io sembravo a mani vuote. Ma ero sicuro di me, sicuro di tutto, più sicuro di lui, sicuro della mia vita e della morte che mi aspettava. Si, non avevo altro. Ma almeno possedevo quella verità quanto lei possedeva me. Avevo avuto ragione, avevo ancora ragione, avevo sempre ragione. Avevo vissuto in un modo e avrei potuto vivere in un altro. Avevo fatto questo e non avevo fatto quello. Non avevo fatto quella cosa ma avevo fatto quest’altra. E dopo? Era come se avessi aspettato per tutta la vita quel minuto e quell’alba che mi avrebbero giustificato. Niente, assolutamente niente aveva importanza, e sapevo bene perché. Anche lui sapeva perché» p. 155
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Oggi la mamma è morta. O forse ieri. Non so.
Avere in casa questo libro da oltre 12 anni e non averlo ancora letto dovrebbe essere perseguibile penalmente!!!
Mi dichiaro colpevole.
O meglio, lo ero, fino a qualche minuto fa...
Centodieci pagine che ti lasciano annichilita...proprio come il nostro Meursault, incapace di qualsiasi reazione, slancio, sentimento.
Disarmante.
Privo di affetto filiale, incapace di amare una donna se non in senso fisico, privo di ambizione sul lavoro, cortese, ma amico di nessuno, capace di macchiarsi del peggiore dei reati...eppure totalmente privo di cattiveria, di malvagità intenzionale.
Così innocente da risultare colpevole senza appello!!!
Meursault è disinteressato del mondo e della società cui appartiene perché fondamentalmente è "straniero" a se stesso"!
Ma questa estraneità, alla fine, gli consente di arrivare ad una "accettazione" totale del suo destino assurdo...e lo solleva dalle sue responsabilità.
"Del resto non fa alcuna differenza"...ma il mondo ha bisogno di uomini che piangono al funerale della loro madre!!!
È incredibile come il "vuoto emozionale" di questo romanzo sia riuscito invece a farmi sentire piena, arricchita.
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Un cuore cieco
“... ha mormorato che ero molto strambo, che certo lei mi amava a causa di questo, ma che forse un giorno le avrei fatto schifo per la stessa ragione”.
Né buono né cattivo, certamente non stupido ma senza particolari ambizioni, il protagonista di questo romanzo, tale Meursault (del nome di battesimo non si fa menzione), conduce un'esistenza tranquilla da impiegato di origini francesi ad Algeri, impermeabile a gioie e dolori mentre prende atto degli eventi con osservazione quasi scientifica.
Il caldo dell'estate africana lo fa sudare, i bagni al mare lo rinfrescano, il corpo di Marie, la donna con cui inizia una relazione, ne appaga gli appetiti sessuali, mangia quello che gli va, fuma molto e si lascia vivere.
Già dalle prime pagine, con l'annuncio della morte della madre e i successivi funerali, il lettore è sorpreso, eppure in qualche modo partecipe, della sua mancanza di dolore, che arriva con netta precisione, come il fastidio del sole cocente durante l'interminabile corteo funebre e il sollievo alla fine delle esequie, quando finalmente può tornarsene a casa a dormire.
Il profilo psicologico, tracciato impeccabilmente, è molto vicino a quello di uno psicopatico, ma la schietta noncuranza con cui Meursault espone il suo punto di vista (niente ha davvero importanza per lui, in definitiva) e quella sorta di incoscienza che caratterizza certe sue azioni rendono persino ridicolo puntargli il dito contro, anche quando si renderà colpevole di omicidio.
Più balordi di lui finiranno per sembrare non soltanto conoscenti e amici di dubbia moralità ma anche i giudici che ne decidono la sorte:
“Avrei voluto cercare di spiegargli con simpatia, quasi affettuosamente, che mai ero riuscito a provare un vero dispiacere per qualcosa”.
L'intento un po' provocatorio dello scrittore sembra essere quello di presentare un uomo in perfetta sintonia con la “dolce indifferenza” dell'universo, cullato da impulsi naturali ed estraneo ad ogni tipo di passione.
“Hai un cuore cieco”, gli verrà rimproverato nelle ultime pagine, le più intense, ma scuoterlo da questo stato di accomodamento interiore significa tirarne fuori la profonda, amara consapevolezza della nullità dell'esistenza, dove l'unico rifugio possibile, nell'attesa di una fine che cancella prima o poi per tutti il significato di ogni cosa, sono i piaceri semplici:
“...le gioie più povere e più tenaci: odori d'estate, il quartiere che amavo, un certo cielo di sera, il riso e gli abiti di Marie”.
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Straniero
Che strano uomo Mersault. Tutto gli è indifferente, non capisce le emozioni e il loro linguaggio. Non capisce il dolore, l'amore, la rabbia, cosa dire di fronte al giudice per accattivarselo. Gli altri imputati piangono di fronte al crocefisso, ma loro sono criminali incalliti, si sanno comportare. Mersault sembra affetto da una specie di autismo o da una sindrome di Asperger. Il linguaggio delle emozioni non lo tocca, capisce solo quello del corpo, il caldo, il freddo, la fame, il desiderio e è di una ingenuità, di una trasparenza infantile. Di fronte alle domande del giudice si ritrova indifeso nella sua sincerità, per questo Maria si innamora di lui e anche il lettore.
Il romanzo si divide in due parti: nella prima Camus ci descrive le giornate che portano al delitto, il funerale della madre di Mersault, la conoscenza di Maria e del vicino, con la fama di essere strozzino. Il vicino coinvolge nelle sue beghe poco chiare Mersault che è come un bambino, limpido, indifeso, ingenuo, manovrabile e con scarsa coscienza di sè. La scena del delitto, una specie di mezzogiorno di fuoco è bellissima. Al delitto segue il giudizio. Naturalmente Mersault, incapace di emozioni è incapace anche di pentimento. Ma la sua incapacità di pentimento sembra legata a una innocenza superiore, a una incapacità di calcolo e di male che commuove il lettore. Mentre i discorsi malevoli del giudice e la sua sentenziosità rimandano all'impossibilità assoluta dell'uomo di giudicare un altro uomo che a sua volta richiama il non giudicare cristiano pur essendo Camus assolutamente ateo.
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Un classico moderno
"Lo straniero" di Camus è un libro non facile da commentare. Prendo in prestito le parole di Calvino, e cioè che un classico è un libro "che non finisce mai di dire quel che ha da dire", perchè Lo straniero è senza dubbio un classico moderno (e non è un ossimoro questo). Difficile spiegare esattamente cosa ti smuove dentro questo libro; non lascia sensazioni immediate, ma lascia piuttosto riflessioni nei giorni a seguire. Tutti, almeno in una circostanza nella nostra vita, siamo stati stranieri nel senso che c'insegna Camus. In patria, in società, nella nostra famiglia, abbiamo provato questo senso di estraneità rispetto a tutto. Mersault va a morte, e le ultime pagine del romanzo, che sono poi le ultime ore della sua vita, sono strazianti. Cosa resta dunque, alla fine, del suo personaggio? Probabilmente la sua sconfinata ed irritante indifferenza verso il mondo intero; la sua insanabile apatia. Ma anche, in fondo, la sua capacità di rimanere sempre fedele alla sua lucida visione del mondo e dei sentimenti; il suo riuscire stoicamente a non concedere mai agli altri (che siano l'avvocato dell'accusa, il prete, la gente che lo vede il giorno del funerale della madre) ciò che questi si aspettano da lui. E' ingeneroso, Mersault, ma alla fine ci colpisce la sua capacità di vedere il reale, senza mai concedersi appigli nelle illusorie consolazioni che gli vengono proposte (ad esempio la religione). In questo senso, credo, Camus descrive uno stato d'animo proprio dell'uomo del Novecento, ed in questo modo diventa un classico intramontabile.
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Io non partecipo
Essere uomini, come voleva Platone, significa in qualche modo essere filosofi.
...anticipazioni sulla trama....
Chi di noi vivendo non si interroga sulla complessità della vita, sul suo valore, chi mai non si è girato al passato per riavvolgere la pellicola o, speranzoso, ha volto lo sguardo al futuro?
La lettura di questo testo ci ricorda l’appartenenza comune ad una dimensione vitale che, al di là di ogni apparenza, è caratterizzata dalla complessità, dalla fuggevolezza, dall’inconsistenza palpabile ma facilmente celabile. Nella società attuale si rincorrono i miti più impensabili: annullamento del dolore in ogni sua forma e manifestazione, ricerca della felicità strettamente correlata al benessere materiale, presunzione scientifica di varcare la soglia del mistero e di farla propria. Sono molteplici le manifestazioni che tutti abbiamo sotto gli occhi di una pulsione tutta umana di voler cogliere l’inafferrabile.
Meursault no, egli è l’antitesi di tutto ciò: è apatia, è abbandono, è negazione. Vive da impiegato un’esistenza che pare non scalfirlo; la morte della madre non lo fa piangere, le lusinghe dell’amore non lo fanno gioire. L’atto gratuito che lo manda al patibolo non modifica di molto il suo sentire. Meursault in realtà vive di percezioni sensoriali: patisce il caldo e commette l’omicidio in un clima di rarefazione sensoriale. Percepisce con tutto il suo apparato sensoriale lo scorrere degli eventi e se ne fa influenzare. Le orecchie sentono nel ricordo la mamma parlare, gli occhi colgono fotogrammi di raro squallore ( emblematico il cane malato) e di piena bellezza ( il cielo e le sue sfumature), la pelle sente il calore della donna e il refrigerio del mare con la sua pungente salinità: tutti i sensi sono coinvolti e stravolti al tempo stesso. Acuiscono il fastidio della vita e non ne modificano in positivo l’essenza.
Non stupisce che rimangano così attivi in carcere e che permettano di ricordare percezioni già incamerate e ora faticosamente ricercate. Il cielo è inquadrabile solo dal perimetro ridotto di un pertugio sul soffitto ma non ha perso la sua capacità di comunicare. Vira al rosa per annunciare la sera che qui si fa metafora della raggiunta consapevolezza dell’uomo e del suo breve e sempre limitato segmento di vita. Non stupisce constatare che la sua lunghezza non è importante, che la stessa sua fine sia solo un dettaglio e che in fondo Meursault con la sua mancata partecipazione emotiva agli eventi di cui è il protagonista incarni, volenti o nolenti, l’intima solitudine umana e la sua condizione di estraneità al tutto e a se stessi.
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“Alla fine ci si abitua a tutto”
“Lo straniero” di Albert Camus nella nuova traduzione di Sergio Claudio Perroni è introdotta da Roberto Saviano (“Camus è straniero a tutto. Alla sua terra d’Algeria che lo considera straniero, alla Francia che lo considera algerino, ai comunisti che lo considerano un reazionario, ai conservatori che lo considerano un comunista”), che evidenzia la progressione del senso di estraneità del protagonista rispetto a una vicenda che lo vede più spettatore che soggetto attivo (“Camus è riuscito in un’impresa impossibile: quella di descrivere l’esistenza come qualcosa che accade”), in assoluta sintonia con l’esistenzialismo di Camus (“A Stoccolma, nel 1957, in occasione della consegna del Premio Nobel… pronunciò… Amo mia madre e la giustizia, ma fra mia madre e la giustizia scelgo mia madre”).
La prima parte dell’opera pone le premesse che poi troveranno estreme conseguenze nella seconda.
Meursault partecipa, interdetto e stranito (“…Non sapevo il numero esatto di anni”), alla veglia e al funerale della madre presso la casa di riposo che la ricovereva (“Per non sbagliarmi gli ho detto una sessantina d’anni…”). Poi trascorre un’ordinaria domenica con l’amica, nell’assoluta normalità di una giornata qualsiasi (“Marie mi ha insegnato un gioco. Nuotando bisognava bere la schiuma della cresta dell’onda, trattenerla in bocca e poi mettersi sul dorso per spruzzarla contro il cielo. Questo produceva una gala schiumosa che in parte si scioglieva nell’aria e in parte ricadeva sul viso come una pioggia tiepida”). L’impiegato si lascia quindi trasportare dagli eventi e dai rapporti con un vicino ambiguo, giungendo a compiere un delitto assurdo su una spiaggia.
Nella seconda parte, il protagonista “assiste” ai suoi interrogatori, risponde in modo distaccato alle domande (“Gli ho raccontato quello che gli avevo già detto: Raymond, la spiaggia, il bagno, la zuffa, di nuovo la spiaggia, la piccola fonte, il sole e i cinque colpi di pistola”) di un giudice prevenuto (“Per oggi è finita, signor Anticristo”), non sconfessa né i gesti della vigilia (“D’altronde, capita a tutte le persone normali di augurarsi in qualche modo la morte dei propri cari”) né il delitto (“Ho detto che più che rimorso vero e proprio provavo una certa noia”). “Non ero particolarmente pentito del mio gesto”: naturalmente questo atteggiamento non gli giova (“A poco a poco… il tono degli interrogatori è cambiato. Sembrava che il giudice non s’interessasse più a me…”).
Intanto Meursault vive la prigionia, sperimentando in modo asettico la perdita della libertà (“All’inizio della detenzione, in realtà la cosa più dura era che avessi pensieri da uomo libero”).
Mantenendosi sempre più spettatore che protagonista anche in tribunale (“Mi ha fatto pensare a quelle feste rionali in cui, dopo il concerto, si sgombra la sala per poter ballare”), l’imputato partecipa con terzietà aliena al processo (“Le cose che diceva erano plausibili”), ascolta la sentenza di condanna, vede profilarsi la pena (“Altre volte… elaboravo progetti di legge. Riformavo il codice. Avevo notato che l’importante era dare una possibilità al condannato… la ghigliottina non dava nessuna possibilità…”), riflette sugli strumenti della giustizia (“La macchina raffigurata nella foto mi aveva colpito per il suo aspetto di strumento di precisione, rifinito e luccicante… ancora una volta la meccanica annientava tutto: si veniva uccisi in modo discreto, con un po’ di vergogna e molta precisione”), rifiuta i conforti del cappellano e giunge a riflessioni conclusive (“Come se i percorsi familiari tracciati nei cieli d’estate potessero portare tanto alle prigioni quanto ai sonni innocenti”) e paradossali (“… Mi rimproveravo di non aver prestato sufficiente attenzione ai racconti di esecuzioni capitali”).
Il romanzo è davvero un capolavoro, mi lascia incantato ogni volta che lo leggo e ogni volta scopro implicanze e significati nuovi, che si arricchiscono con il fluire delle esperienze personali (ovviamente di carattere esistenziale, non giudiziario!).
Bruno Elpis
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Processo all'indifferenza
Procedendo nella lettura una domanda continuava a insistere nella mia testa: dove vuole andare a parare? E’ stato necessario giungere all’ultima pagina per capirlo. Il fascino di questo libro, uno dei capisaldi dell’esistenzialismo e della produzione di Camus, risiede nel suo significato sempre sfuggente, che d’altronde ben si accompagna alla tematica centrale del romanzo: il rapporto dell’uomo con la vita e col mondo, due dei più immensi misteri in cui l’essere umano deve continuamente districarsi, giungendo talvolta ad esiti tanto più sconcertanti quanto più approfonditi.
" "Non hai dunque nessuna speranza e vivi pensando che morirai tutt'intero?". "Sì"- gli ho risposto. Allora ha abbassato la testa e si è rimesso a sedere. Mi ha detto che aveva pietà di me. Non credeva che un uomo potesse sopportare una simile cosa. Quanto a me, ho sentito soltanto che cominciavo ad annoiarmi."
Meursault è un uomo di origine francese che vive ad Algeri. La sua esistenza trascorre nel segno di un’inquietante indifferenza nei confronti del mondo circostante, che il protagonista sembra considerare altro da sé. E’ capace di non provare alcuna emozione in occasione della morte della madre, né tanto meno alcun sentimento amoroso nei confronti di Maria (se non desiderio fisico), che addirittura gli chiede di sposarlo ricevendo in risposta un sostanziale “per me è lo stesso”; i suoi rapporti umani sono segnati da un imperante sensazione di vacuità e apatia rispetto a qualsivoglia parvenza di moralità o giudizio. Il caso domina la vita di Meursault e il caso lo porterà a uccidere senza reale motivo un arabo. La seconda parte del romanzo è dunque dedicata al processo e alla prigionia dell’uomo, che affronterà il tutto in uno stato di impassibilità sconcertante, ritenendo inutile tanto tentare di discolparsi quanto, in alternativa, sentirsi in colpa. E’ per questo che il processo è incentrato, più che sul delitto commesso, sull’indifferenza generale di Meursault, interpretata da avvocati e giudice come una prova di un’insensibilità esente da pentimento e, soprattutto, da ogni speranza, tanto da indurlo a rifiutare persino Dio. Quest’uomo vive già da tempo come un condannato, poiché possiede una lucida coscienza del reale come mera apparenza.
“Dal fondo del mio avvenire, durante tutta questa vita assurda che avevo vissuta, un soffio oscuro risaliva verso di me attraverso annate che non erano ancora venute e quel soffio uguagliava, al suo passaggio, ogni cosa che mi fosse stata proposta allora nelle annate non meno irreali che stavo vivendo.”
Lo scorrere del tempo e l’evolvere della vita non lo intaccano; sebbene scritto in prima persona, forte è infatti la sensazione che il protagonista-narratore racconti il tutto da una prospettiva esterna, che marca il suo straniamento dalla realtà.
Inevitabile arriva dunque per l’uomo la condanna a morte, che porta con sé l’acquisizione da parte di Meursault di un’ennesima verità negativa ma necessaria (come lo stesso Camus la definì in una prefazione) sull’assurdità di una vita comandata dal caso in cui si pretende dagli uomini che fingano un insostenibile amore o, ancora peggio, potere sulla vita! Solo a questo punto, nel silenzio, avviene dunque la riconciliazione dello “straniero” con il mondo:
“Come se quella grande ira mi avesse purgato dal male, liberato dalla speranza, davanti a quella notte carica di segni e di stelle, mi aprivo per la prima volta alla dolce indifferenza del mondo. Nel trovarlo così simile a me, finalmente così fraterno, ho sentito che ero stato felice, e che lo ero ancora. Perché tutto sia consumato, perché io sia meno solo, mi resta da augurarmi che ci siano molti spettatori il giorno della mia esecuzione e che mi accolgano con grida d'odio.”
Straniero nella città di Vita
Breve ma intenso e angosciante. Questo è “Lo Straniero” di Albert Camus. Le pagine scivolano via con una velocità disarmante perché è come se tu le subissi come Meursault subisce la sua esistenza.
Partecipiamo a quello che è probabilmente un piccolissimo tratto della vita del protagonista... eppure così intenso. In queste poche pagine il protagonista affronta la morte di una madre ed è attore principale di una serie di eventi che nella vita di un uomo possono essere portatori di emozioni devastanti, di cambiamenti radicali di animo, di distruzione o di felicità.
Ma Meursault è uno straniero di quella città chiamata Vita, la sofferenza non gli porta lacrime, la gioia non gli porta sorriso, non prova empatia. Meursault è un essere che si limita a subire la vita, vittima dell’ambiente e delle persone che lo circondano, sono queste a condurre la sua esistenza, non lui. La sua personalità porta a suscitare nel lettore un angoscia continua, una sorta di astio nei suoi confronti, come può Egli essere indifferente a tutto ciò che gli accade? Come può non reagire? Come può non essere felice o in sofferenza? Questi pensieri naturali del lettore vengono condivisi da chi circonda Meursault, da coloro che lo condannano, eppure anche loro, anche noi siamo in errore. Per quanto possa sembrare inumana tale insensibilità, possiamo condannare un uomo alla pena capitale per questo? Nel giudicare il protagonista, chiunque sembra dare più peso al non aver pianto per la madre, che al fatto di aver commesso un reato. Allora è un reato non piangere per una propria madre, è un reato non gioire nell’avere una persona che ci ama, o è un reato ciò che la Legge considera reato?
Bisogna perciò fare una distinzione. Esistono le leggi degli uomini, e le leggi di Dio. Le leggi degli uomini si interessano di quel che è permesso o meno all’uomo di fare, le leggi di Dio ci sono stampate nel cuore, e sono quelle che ci permettono di giudicarci all’interno di noi stessi, che ci permettono di capire se stiamo agendo umanamente. A Meursault Dio non è mai interessato, da ciò nasce la sua indifferenza, e lui non capisce perchè gli uomini lo condannano per le sue mancanze nei riguardi delle leggi di Dio, ma con le punizioni delle leggi degli uomini. Non dovrebbe essere Dio a giudicarci riguardo alle sue leggi? Nonostante ciò accetta il suo destino, accetta tutto, e seppur nutrisse qualche speranza di salvezza, è sempre una salvezza che decide di non trovare in sé, ma che spera di trovare nel fortuito, nel caso, in una causa esterna, perché anche quando si tratta di salvare sé stesso, non ritiene di essere artefice di una sua eventuale salvezza, crede solo di poterla subire.
E’ un libro angoscioso, che fa riflettere, personalmente, la condotta di Meursault ci fa pensare seriamente a noi stessi ed al nostro approccio con ciò che ci circonda.
Subire la vita è un qualcosa di davvero terrificante. Perciò quando ci troviamo in quei momenti in cui ci abbandoniamo alle difficoltà, sperando soltanto che le cose possano migliorare, senza adoperarci affinché queste possano effettivamente prendere questa direzione, stiamo diventando stranieri in questa strana città chiamata Vita. E se effettivamente doveste farlo, pensate a Meursault, e cercate di riprenderne le redini.
"Come se quella grande ira mi avesse purgato dal male, liberato dalla speranza, davanti a quella notte carica di segni e di stelle, mi aprivo per la prima volta alla dolce indifferenza del mondo."
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La non emozione
Uno dei classici francesi più famosi. L’ho letto in lingua originale e, al di là del fatto che il tempo di lettura triplica, anche il fascino della lettura aumenta, perché l’autore, complice la sua lingua, ti entra proprio nell’anima. L’incipit ti getta nel buio, perché muore la madre del protagonista ed è un susseguirsi di emozioni non emozioni, con eventi che fanno riflettere profondamente sull’indifferenza del mondo che può essere assoluta e bruciante. E’ un romanzo sia radicale e spietato che anche di una profondità davvero singolare. Il protagonista è lo straniero, ovvero estraneo a tutto, vive rinchiuso ed isolato nella sua indifferenza, inerme ma anche inerte, in alcuni punti sembra straniero anche a se stesso. Ho odiato questa sua aridità, ma ho anche capito che il suo andare controcorrente, contro il senso comune, è il punto in cui è cominciata la sua libertà e la sua dignità. E quindi per questo alla fine l’ho profondamente rispettato. Per la sua profonda coerenza con se stesso. Al di là di tutti i giudizi personali, il libro, breve ed intenso, trasmette serenità e pacatezza. Secondo me non a caso.
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Autenticità ed emarginazione
"Tutto ciò che esalta la vita,ne accresce al tempo stesso l'assurdità".
Il primo passo di Camus nella riflessione tesa al superamento delle assurde contraddizioni che segnano il dualismo tra individuo e esistenza,quella riflessione finita (ahimè) troppo prematuramente.
Niente male come primo passo:il romanzo presenta tutti i connotati dell'opera che può segnare un'intera epoca.
Meursault è un modesto impiegato consapevole della propria piena realizzazione interiore,incapace di divenire vittima del desiderio e dell'incontentabilità,tratti ormai così propri del genere umano che,in modo assurdo,tendono a danneggiare chi non li possiede.
Il protagonista decide incosciamente di rifiutare ogni logica contaminata,affidandosi esclusivamente all'istinto sensoriale,istintivo,tanto da uccidere un uomo a causa del calore delle spiagge algerine.
Non tarda così a diventare l'eroe tragico:M. viene rapidamente privato del diritto di poter partecipare all'assurda commedia messa in scena dall'Uomo,con un processo quasi kafkiano fatto di contraddizioni assurde ma fedeli alla realtà,in un'ironia che non è mai stata così efficace e amara..
Meursault non rinuncia a nessun tratto dell'eroe:si ribella al suo destino mantenendosi,ancora subconsciamente,coerente con la sua essenza.
Si delineano già i tratti fondamentali dell'eroe di Camus,che ancora purtroppo è vittima e non ancora vincitore del dualismo tipicamente esistenzialista Uomo-esistenza.
Dietro alla semplicità stilistica,alla piacevolezza e alla linearità della trama,si nasconde una ricchezza di spunti ai limiti delle possibilità per un romanzo così breve,e una complessità di analisi che richiede un numero non finito di letture.
Il libro è una preghiera giornaliera per quelli come noi,che hanno quel vizietto di analizzare,andare in fondo a ogni aspetto della vita,senza prendere nulla troppo sul serio.
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scivola la vita...
Romanzo intenso questo, estremamente denso di sensazioni.
Mersault, un comune impiegato ad Algeri, vive pacificatamente la propria esistenza finchè si "trova" nella situazione di dover uccidere un uomo, a causa del calore del sole, l'unico elemento che sembra scaldargli l'animo arido.
Il romanzo si apre con un'altro fatto che sembra cadergli addosso: la morte della madre ospite di un ricovero. Aggiacchiante: perfino questo gli scivola addosso, poichè morte e vita non suscitano emozioni in lui.
Il protagonista vive la propria vita lasciandola scivolare, senza parteciparvi. Non troviamo emozioni nella sua personalità, l'unica cosa che sembra suscitarlo interiormente è l'ambiente esterno, il sole, il mare, la spiaggia. E non a caso è proprio un'elemento naturale a spingerlo all'omicidio, il sole col suo calore.
Ciò di cui si sente privato in carcere non è la libertà di vivere, ma è la libertà di osservare l'ambiente circostante.
Chiave di lettura secondo me rimane comunque l'incapacità di amare, l'incompiutezza o forse la mancanza di ricerca del senso della vita. In fondo vita o morte non fa differenza per Mersault, in entrambe non trova il senso.
un romanzo difficile, sicuramente merita un'ulteriore lettura, comunque lo consiglio.
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Storia di una vita non vissuta.
Bastano poche pagine per capire che quel titolo, "Lo Straniero", non è riferito solo al senso stretto del termine, ma anzi il vero significato è proprio quello figurato. Per "straniero" si intende infatti l'estraneità con cui il protagonista, Fernandel Mersault, vive la sua vita. Mersault è infatti praticamente uno spettatore della sua stessa vita, straniero inteso come estraneo, estraneo alla sua stessa vita. Il libro è diviso in due parti, la prima serve fondamentalmente per farci conoscere il protagonista, nella seconda invece c'è tutta la rassegnazione, il declino e l'inerzia che si sostanziano nella carcerazione e poi nella condanna del Mersault. Il libro inizia con la morte della madre di Fernandel, e con lui che va dal suo capo per chiedere due giorni di ferie per poter partecipare al funerale. Ma non ci va in lacrime come chiunque altro avrebbe fatto, bensì è quasi dispiaciuto di dover chiedere questo due giorni di ferie e lo fa proprio perché partecipare al funerale è un atto dovuto. In seguito Mersault conosce Maria, una bella ragazza che lo attrae fisicamente ma nulla più. Così dopo averla conquistata, ancora una volta Camus ci mostra l'indifferenza alla vita di Fernandel, infatti una sera Maria chiede a Fernandel se vuole sposarla, e lui risponde: "È uguale", lasciando basita la povera Maria. In questi passaggi l'autore è bravissimo a rendere l'idea di estraneità, anche con dei tempi morti, come ad esempio quando Mersault passa la serata a guardare quello che succede dal suo balcone, il senso di inerzia che ci trasmette rende pienamente il modo di vivere la vita di Mersault. Tutto questo fino all'episodio chiave, l'omicidio dell'arabo a colpi di rivoltella sulla spiaggia. Qui la prima parte finisce ed inizia la seconda, che si svolge tutta all'interno del tribunale o della cella dove è rinchiuso Fernandel. Durante il processo il protagonista avrebbe facilmente la possibilità di evitare la pena di morte, basterebbe solo che si mostrasse pentito dell'accaduto, ma anche qui si limita a seguire le due sensazioni, spesso pensa di rispondere alle accuse, ma poi come sempre, desiste e non si difende. Viene così processato e condannato alla pena di morte. Solo nelle ultime pagine, per la prima volta, lo vediamo ribellarsi ed alterarsi per cacciare via il prete dalla sua cella, ma ormai è troppo tardi per allontanare quella passività che ha contraddistinto la sua esistenza. Il libro è molto breve, 150 pagine, e lo stille è semplice e scorrevole, si legge tutto d'un fiato. Non c'è che dire, la storia e semplice ed a tratti banale, ma dietro di essa si nasconde un significato profondo e sempre molto attuale, la vita che la gente vive o non vive, essere padroni della propria esistenza, o lasciarsi trasportare dagli eventi. Evidentemente Mersault ha scelto la seconda. Un libro piacevole e che va letto almeno una volta, almeno.
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Per me è lo stesso
Non è un libro semplice.
E' il libro dell'assurdo, dell'alienazione, dello straniamento.
L'assurdo di Camus è, parafrasando Nicola Chiaromonte, uno stato d'animo: quello dell'uomo che pur consapevole della propria mortalità non accetta il rispetto incondizionato della vita, volta alla ricerca dell'unica felicità, quella naturale. Lo so non è semplice da capire. Ma questo è lo Straniero. Questo è Camus.
E' un testo tragico, dominato dal silenzio. Un silenzio pesante, opprimente. Carico di tensione.
Un silenzio destinato ad esplodere a causa della pressione, condannato a liberarsi drammaticamente in quattro spari. Quattro colpi di pistola che squarciano l'armonia. Rompono l'equilibrio. Colpi che riempiono il vuoto lasciato dalla quiete ormai infranta.
Proiettili di morte che trapassano la bidimensionalità della pagina per ferire il lettore, più che la vittima del romanzo. Quattro colpi secchi "che battono contro la porta della sventura".
Finisce la prima parte del romanzo e resti lì a chiederti perché Meurasult abbia sparato. Senza volontà. Come guidato dalle forze della natura, immutabile, che sembrano mandare impulsi nervosi alle sue mani. Alle sue dita. E i colpi partono. Si uccide un uomo. Si uccide la libertà. Ecco l'assurdo.
Per me è lo stesso. Meursault risponde così. Per tutto il racconto. Risponde così a Maria, la donna con cui ha un rapporto. Un sentimento che chiama amore per inerzia, soltanto se Maria lo desidera. Per lui è lo stesso.
Gli è indifferenti la morte della madre. "Oggi è morta mia madre. O forse ieri, non so". Non piange, non ama, non apre se stesso al mondo. E' lo straniero. L'estraneo. L'uomo che si aliena dal mondo.
L'uomo che si abbandona all'indifferenza, alla noia. L'uomo che sembra svuotato della volontà, ma che nello stesso tempo non puoi condannare, o forse sì.
D'altra parte la Corte lo giudica, lo condanna. Lo straniero deve essere ucciso. Deve perire l'estraneo che sembra disumano. Ecco di nuovo l'assurdo. Meursault, processato più per il non aver pianto per la morte materna che per l'aver ucciso, è destinato alla ghigliottina. Basterebbe un pentimento. Un pianto. Una dimostrazione di umanità. Ma Meursault non vuole difendersi. Non vuole fingere. Non vuole annichilire se stesso, sfumarsi, cancellarsi, per una grazia. Vuole rimanere se stesso. E allora non si difende. Non è necessario.
Seguendo questa logica implacabile, obbedendo ad una ragione che eleva l'indifferenza e l'estraneità a stile di vita, logica che aborrisce la noia soltanto, Meursault rifiuta anche Dio, la fede. E respingendo un prete erompe in un grido disperato, da animale ferito, un grido drammatico che non vuole risposta. Uno sfogo che rompe per la seconda volta il silenzio e che è la più grande affermazione della vita, seppur rassegata. E dopo lo sfogo torna il silenzio, la quiete.
Lo straniero è uno di quei libri da leggere e rileggere, capace di dominare i pensieri anche dopo la fine della lettura. Un libro in cui il non detto deve essere interpretato e che pesa sulla coscienza. Sull'essere. Con frasi brevissime, che muoiono presto per risorgere appena dopo il punto, così come l'accettazione di Meursault, Camus porta in scena l'assurdo, drammatico, sconcertante.
Per me è lo stesso. Ecco l'assurdo. Ecco lo straniero. Ecco la condanna dell'uomo.
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Meursault felice
"No, non posso crederti. Sono sicuro che ti è avvenuto di desiderare un'altra vita". Gli ho risposto che naturalmente mi era avvenuto, ma ciò non aveva maggiore importanza che il desiderare di essere ricco, di nuotare molto veloce o di avere una bocca meglio fatta. Erano desideri dello stesso ordine. Ma lui mi ha interrotto e voleva sapere come vedevo quest'altra vita. Allora gli ho urlato:"Una vita in cui possa ricordarmi di questa".
"Lo straniero" è il primo romanzo di Albert Camus , scrittore ed attore francese nonché premio Nobel per la Letteratura nel 1957. In un'assolata Algeri Meursault (il protagonista) trascorre le sue tranquille giornate trascinato come una foglia dalla dolce corrente del vento che gli fa incontrare la bella Maria e i suoi vicini di pianerottolo. Poi sulla spiaggia , tra il sole accecante e il desiderio d'ombra , 4 spari , Meursault uccide un arabo.Viene arrestato e condannato a morte ma non è triste , non piange , non si dispera. Prima o poi tocca a tutti. Meursault sopravvive alla morte , lui è stato felice , lui è felice . Lo straniero è un inno al silenzio in cui l'arte canta nuda alla vita , le sue parole sono semplici e belle come le ore che Meursault passava in spiaggia con Maria.
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Straniante
Si può commettere un efferato omicidio per semplice noia? E' questo il quesito su cui è imperniato il racconto di Camus, in uno dei capisaldi del romanzo dell'assurdo.
Personalmente l'ho trovato meraviglioso: Camus riesce a descrivere con semplicità (è questo il suo primo grande merito) l'insofferenza esistenziale del suo protagonista, un grigio impiegato che lavora in un caldo ufficio della Francia coloniale. Meursault è toccato ma mai realmente cambiato dagli eventi che gli capitano, neanche la morte riesce a distoglierlo dalla noia che lo pervade: incredibilmente lontano da ciò che pure di bello potrebbe succedergli rifiuta con decisione una vita verso cui non ha alcun interesse.
La prosa è giustamente lineare e semplice, e mi sembra che riesca da sola a trasmettere quel senso di straniamento che è poi il nocciolo del racconto.
Mi chiedo se i tanti scrittorucoli da centinaia di migliaia di copie vendute lo abbiano mai letto.
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