Il Conte di Montecristo
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"Attendere e sperare"
Un superclassico, senza alcun dubbio!
Per recensirlo per bene forse non basterebbero fiumi d'inchiostro, vista la vastità dell'opera. Tuttavia, proprio come nel caso di tanti altri celebri classici, che cosa mai si potrebbe aggiungere a ciò che è già stato detto e scritto finora in merito a tale romanzo? Niente di importante, credo.
Riporto soltanto che questa lettura (in verità, alquanto impegnitiva per via della mole del volume) è stata per me molto coinvolgente a partire dall'incipit sino a quando il protagonista riesce a trovare e a fare suo lo strabiliante tesoro nascosto nell'isoletta rocciosa di Motecristo. Nel complesso, la vicenda narrata in queste pagine è appassionante, Alexandre Dumas (1802-1870) è abile nel descrivere situazioni e personaggi, rivolgendosi più di una volta quasi in modo diretto al lettore; occore però riconoscere la pesantezza di alcune parti del romanzo, prima fra tutte quella relativa al carnevale e ai banditi romani in cui - lo confesso - mi sono quasi impantanata.
Ecco perché, tenuto conto di questo, procedendo verso la fine, pensavo di attribuire al romanzo un voto compreso fra le 4 e le 5 stelle; poi, giunta finalmente all'epilogo, mi sono commossa e allora ho optato per il voto massimo. Sì, mi è piaciuto molto il modo in cui Dumas chiude la lunga e tribolata storia di Edmond Dantès, personaggio affascinante con il quale il lettore entra ben presto in empatia. Colpisce, inoltre, il messaggio che l'autore sembra voglia trasmettere: al di là di ogni possibile desiderio di vendetta, umanamente comprensibile a seconda dei torti subiti, esiste pur sempre un limite oltre il quale è bene non spingersi per non rischiare di precipitare nell'abisso senza ritorno di una disumanità che non farebbe altro che danneggiare noi stessi. Alla sete di vendetta, pertanto, subentra infine il perdono, se non la compassione. Insomma, quando tutto sembra ormai perduto, come ci insegna a più riprese questa vicenda, la vita potrebbe ancora offrire un'altra possibilità. Del resto, per riprendere le parole che riecheggiano in chiusura, all'uomo cos'altro resta se non "attendere e sperare"?
Un romanzo ottocentesco forse con i suoi limiti, ma senz'altro un'opera fondamentale della letteratura mondiale.
"[...] Occorrono le sventure per scavare certe miniere misteriose nascoste nell'intelligenza umana; occorre la pressione per far scoppiare le polveri. [...]"
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Una vendeta petulante
«[…] A meno che un cattivo pensiero nasca dall’errore, la natura umana ha orrore del crimine. Però la civiltà ci ha dato dei bisogni, dei vizi, dei falsi appetiti che a volte ci portano a soffocare i nostri buoni istinti, conducendoci al male. Da qui discende la massima: se vuoi scoprire il colpevole, comincia cercando di capire a chi poteva tornare utile il crimine. A chi poteva tornare utile la tua sparizione?»
Edmondo Dantès è un giovane sicuro, ingenuo e dal futuro roseo e promettente quando l’opera ha inizio. È pronto a sposare la sua amata Mercédès, è pronto alla sua scalata sociale, il giovane. Eppure qualcosa non va come da lui presupposto ed ecco che Edmondo da uomo libero si ritrova accusato di un crimine che lo conduce a una prigionia che durerà anni e che lo vedrà perdere tutto quello che ha, compresa ogni possibilità di fato. Sarà tra queste mura all’interno della prigione sull’isola di Montecristo che l’uomo conoscerà l’abate Faria che gli lascerà in dote il suo segreto. E riuscirà a fuggire, Dantès. Riuscirà a tornare in libertà l’uomo, riuscirà a ricominciare. Avrà inizio da questo momento la sua vendetta. Una vendetta fatta di una vita privata e portata via, una vita il cui corso e il cui proseguire è stato interrotto e fermato da un tiro losco del destino, un tiro giocato dall’invidia umana e dalla gelosia dell’altro.
«La felicità e l’infelicità sono un segreto domestico. Le mura di casa hanno orecchie, ma non hanno lingua. Se una fortuna immensa basta a essere felici, Danglars lo è di certo.»
Ha inizio da qui la parte prevalente dell’opera, uno scritto che da questo momento in poi si concentra tanto sulla vendetta e su quelli che sono i piani per riprendersi quel che è stato tolto. Se quindi la prima parte dell’opera fatica a decollare ma incuriosisce perché il lettore è spinto a sapere e a conoscere, nella seconda quando inizia la progettualità vendicativa, il conoscitore inizia ad essere sfiancato e a restare basito da quelle scelte che vengono compiute e che sono portate in essere.
Il risultato è che la lettura si fa farraginosa, lenta e a tratti petulante. Con uno stile rapido ma che collide con quello che è il componimento nel suo complesso. Resta un’opera che merita di essere letta e che merita di far parte del bagaglio culturale di ogni lettore ma onestamente o si ama o si odia. Non penso esistano molte mezze misure proprio per la sua struttura, per l’età che inizia a risentire, per questi personaggi tratteggiati ma eppure caricaturali o fatiscenti che faticano ad entrare in sintonia ed empatia con chi legge.
Da leggere per completezza.
«Dantès, gettato nel mondo dopo una solitudine infinita, a volte avvertiva un bisogno imperioso di stare da solo. E quale solitudine è più immensa e poetica di quella di una nave che solca il mare deserto, nella notte più nera, nel silenzio dell’immensità, sotto lo sguardo del Signore?»
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Tanto mestiere, poca Arte
Una abusata critica che vuole il Manzoni pigro e scarsamente produttivito, enfatizza gli oltre venti anni occorsi per la stesura dei Promessi Sposi proprio mentre, oltralpe, scrittori francesi sfornavano corposi romanzi a ritmi forsennati.
Ricordo che ai tempi del liceo, causa la forzata lettura scolastica che avrebbe reso indigesto lo stile Manzoniano anche al più ispirato tra gli studenti, mi compiacevo nel far mia quella critica tanto sprezzante quanto ingiusta. Solo una rilettura in età adulta, mi consentì di apprezzare pienamente lo spessore e la raffinatezza di quello che resta un capolavoro imprescindibile della nostra letteratura.
Ho appena terminato, non senza fatica, "Il Conte di Montecristo" e quel giovanile e superficiale giudizio mi è tornato alla mente e con esso la consapevolezza di quanto fosse davvero improprio anche solo accostare opere di qualità tanto differente.
Per dirla con Umberto Eco:” Il Conte di Montecristo è uno dei romanzi più mal scritti di tutti i tempi e di tutte le letterature”.
Come dargli torto? Personaggi enfatizzati, caricaturali, banali nella loro monolitica psicologia priva di sfaccettature. E poi ... una storia inverosimile, inconsistente, forzature continue, estenuante ricerca di stucchevoli effetti a sorpresa e colpi di teatro ...nessuna pagina “alta”, nessuno stimolo alla riflessione ... puro e semplice intrattenimento.
Se il romanzo è passato alla storia entrando nel nostro immaginario collettivo, lo si deve unicamente all’avvincente racconto della prigionia di Edmond Dantes nelle segrete del castello d'If, dell’incontro con l’abate Faria e della spettacolare fuga. In quella narrazione, che occupa la parte iniziale del romanzo, ogni lettore del mondo si è potuto immedesimare nel recluso disperato avvertendo quasi fisicamente l’umidità e la tetraggine di quelle celle nonché il sapore vertiginoso della libertà riconquistata.
Il romanzo sarebbe dovuto terminare qui.
Tutto il resto, ovvero le oltre ottocento pagine che raccontano l’inesorabile vendetta del conte, dai capitoli romani a quelli parigini, è davvero poca cosa, costruito com’è in modo così improbabile e posticcio. Nulla più che un feuilleton insomma. Una telenovela ante litteram.
Di questa corposa parte salvo soltanto due cose.
La prima è la descrizione della pubblica esecuzione di un condannato a morte per “mazzolamento”. La scena ambientata in Piazza del Popolo a Roma, si imprime nella memoria del lettore per vividezza e drammaticità. Una scena "pulp" che farebbe felice un fan di Tarantino.
La seconda è il veloce tratteggio di un personaggio del tutto secondario e marginale nell’imponente svolgersi della narrazione; tale mademoiselle Danglars i cui gusti omosessuali, per nulla celati, sanno di modernità e trasgressione.
Un po’ poco per un romanzo di 1200 pagine belle fitte.
Teniamoci stretto il nostro Manzoni e, per una volta, accantoniamo l’esterofilia.
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Attendere e sperare
“Sono colui che vi aveva condannato a morire di fame, e che pur tuttavia vi perdona, giacchè egli stesso abbisogna di essere perdonato: io sono Edmond Dantès”. Questa frase condensa la parabola discendente e poi ascendente del suo protagonista. Edmond Dantès: il marinaio, il forzato, il conte dalla ricchezza inesorabile, il vendicatore, la mano di Dio ed infine l’individuo in cui emerge, dopo tanto soffrire, l’anelito di pace ed il desiderio di essere amato.
Di questa opera tanto si è discettato, da essa sono stati tratti pieces teatrali, film e serie tv. Del protagonista stesso molto si è scritto, in particolare della contrapposizione tra il giovane ed entusiasta marinaio e l’ombroso ed erudito conte. Sarebbe presuntuoso credere di poter risolvere in poche battute un dibattito che per quasi due secoli i lumi letterati hanno portato avanti.
Quello che mi piacerebbe fare è solo fornire alcuni spunti di riflessione, personali ed opinabili, che solletichino chi leggerà questo mio contributo ad approcciarsi ad un’opera meravigliosa.
Ciò che mi ha colpito particolarmente è l’alone di mistero che non soltanto aleggia intorno alla figura di Dantès-Montecristo, ma che avvolge l’intera storia della “venuta al mondo” del romanzo. Scritto a puntate su riviste dell’epoca, una volta morto Dumas padre, il testo fu oggetto di rimaneggiamenti e cambiamenti che portarono a versioni differenti del manoscritto orginario, ormai irrimediabilmente trasformato e pubblicato in edizioni differenti l’una dall’altra, talvolta con capitoli diversi, con censure o estensioni della trama. Di conseguenza, motivazioni editoriali e motivazioni di traduzioni confuse e più o meno discostate dal significato originale hanno fatto sì che quello che oggi abbiamo tra le mani non sia sicuramente il prodotto puro ed integrale pensato e scritto da Dumas padre e dai suoi collaboratori.
L’iter travagliato di questa opera ha destato in me il forte interesse a saperne di più. Così mi sono imbattuta nell’ultima edizione, curata da Claude Schopp, il massimo esperto del conte di Montecristo, che non ha fatto altro che riunire tutti i carteggi e le edizioni di Dumas per tirar fuori una nuova edizione, la più vicina a quella partorita dall’autore.
Leggere un tomo di oltre mille pagine può sembrare un’impresa ardua, ma questo romanzo è veloce nella scrittura, accattivante nelle descrizioni, e colmo di quel pathos e della carica emotiva che tengono il lettore incollato alle pagine. Ogni personaggio è ben caratterizzato, ha una sua storia ed una propria evoluzione, ma soprattutto tutti, anche lo stesso Montecristo, non sono immuni dal peccato.
Il Montecristo- vendicatorein quanto incarcerato, umiliato e sbeffeggiato, è colui che pecca di yubris per aver creduto di essere la mano del Dio del vecchio Testamento, quasi come il Gabriel angelo della morte.
Dantès, dunque, pecca come coloro che gli hanno fatto del male ed è proprio attraverso il rancore, la vendetta e la trama sinistra così ben orchestrata che egli farà ritorno in quella cella che era stata la sua tomba per quasi vent’anni, ma con una consapevolezza nuova: il perdono.
Il perdono ed il passaggio dal Dio vendicatore dell’Antica Legge al Signore che, da padre, ti abbraccia e ti perdona.
Ecco perché ho amato il conte di Montecristo…. perché mi ha insegnato qualcosa, di scontato? No, di bello ed universale. Il perdono.
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Uno spettacolo
Un capolavoro senza tempo. Una storia destinata ad entusiasmare ogni animo. Essa ti fa sprofondare negli abissi più oscuri e malvagi dell’esistenza e poi, con uno slancio ti fa riemergere in tutta la sua bellezza. Perchè solo chi ha toccato il fondo del suo essere può sentire veramente il sapore della vita. “Solo chi ha provato la sventura estrema è adatto a sentire l’estrema felicità. Bisogna aver voluto morire per sapere quanto è bello vivere”.
Personalmente credo sia la storia più appassionante che sia mai stata scritta, la più completa e la più vitale. Perchè ora che ho conosciuto questo straordinario personaggio che è il protagonista, Edmond Dantès, mai lo potrò dimenticare. Egli è il Conte di Montecristo, l’uomo che tutto conosce e che a nulla appartiene, l’uomo dotato di una presenza incontrastabile che disarma chiunque, l’uomo che possiede una ricchezza indefinita che nessuno conosce. Ogni suo sguardo, ogni sua parola ha un valore inestimabile, nulla viene lasciato al caso. “La gente si disputava le sue parole, come capita sempre alle persone che parlano poco e che non dicono mai una parola senza valore”. Io stessa leggendo non aspettavo altro che rivederlo comparire, qualunque personaggio si trovasse ad interpretare. Mai riuscirò a rendere a parole chi è il Conte di Montecristo.
La descrizione degli eventi la considero magnifica, lo scrittore è dotato di enorme vitalità inventiva. Ho apprezzato molto il colore che è riuscito a dare alle parole, anche un semplice aggettivo viene reso spettacolare.
Oltre al personaggio principale, sono rimasta particolarmente colpita dal procuratore del re Villefort. Egli è un uomo molto ambizioso, intelligente e dedito al suo lavoro che rappresenta un modo per espiare le sue stesse colpe. Il suo ruolo slitterà inesorabilmente da giudice ad accusato per finire in una favolosa e terribile follia, fatta di cupi eventi riemersi dal passato e dalla prigione del suo presente.
Compare anche il tema dell’amore, inizialmente idealizzato nella figura di Mercedes ma è un amore del passato, di un altro tempo. Ed è stato bellissimo per me leggere che il protagonista, dopo tutte le sue sofferenze, ha capito una cosa che non osava più credere, che al mondo c’erano due Merecedes, e che poteva ancora essere felice. Personalmente ho tratto da ciò un insegnamento importante.
L’identificazione del lettore con il protagonista è immediata, l’unico momento che potrebbe far dubitare il lettore del suo percorso di vendetta è quando egli stesso affronta un dibattito interiore, ma nulla altro vi svelerò.
Consiglio la lettura di questo romanzo che avidamente ho affrontato e che vi assicuro, non vi deluderà.
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IL CLASSICO DEI CLASSICI
Finalmente terminato il Conte di Montecristo, posso condividere con voi la mia opinione perchè sicuramente trama e contenuti sono noti a tutti.
Non mi dilungherò perchè tutto quello che posso dire è che sicuramente questo famoso e importante classico della letteratura è ricco in tutti i sensi: di personaggi, di contenuto, di stile e di pathos.
Devo anche aggiungere che per leggerlo tutto mi ci sono voluti due mesi (nel frattempo ho letto anche qualche altro breve romanzo) ed è uno dei libri che ho impiegato più tempo a leggere in tutta la mia vita.
Sicuramente la mole del romanzo e il linguaggio forbito non hanno aiutato a renderlo scorrevole, e a mio parere alcune parti si potevano benissimo leggermente tagliare senza nulla togliere al romanzo.
Rimane il fatto che in tutta la sua complessità e spessore è un racconto che lascia il segno, i personaggi sono delineati in maniera magistrale e sopratutto il protagonista Dantés, l'uomo dai molti volti, subisce un percorso interiore che entra anche dentro di noi, vorremmo quasi supportarlo nel suo periodo di prigionia ed essere la mano della sua vendetta.
Le ultime 200 pagine per me sono un capolavoro e la conclusione che immaginavo diversa, mi ha lasciato piacevolmente appagata.
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Di tutto e di più
Questo notissimo titolo di Alexander Dumas padre è stato il prototipo del perfetto romanzo d’appendice, un racconto lungo di avventure varie edito in puntate, che richiamava puntualmente schiere di appassionati in religiosa attesa, fedeli al consueto appuntamento con l’uscita della puntata successiva.
E a ragione, perché mai come in questo racconto, un altro capolavoro dell’autore dei “Tre moschettieri”, si realizzava in pieno quel meccanismo letterario detto della fidelizzazione del lettore.
Questo rappresenta la soddisfazione maggiore di un autore, quello di sapere che i suoi lavori contano su uno zoccolo duro di amatori, che seguono con fedele e intensa partecipazione la sua storia.
I fedeli lettori si concentrano sulla lettura con attenzione degna di miglior causa, trepidano per le avventure del loro eroe riversato sulla carta, solidarizzano con questo, ne seguono letteralmente con il cuore in gola le sue alterne fortune.
Restano immancabilmente, e sempre, proprio sul più bello, delusi per la fine della puntata, perché ansiosi di seguire l’evoluzione degli avvenimenti, pertanto in febbrile attesa dell’uscita successiva, per riprendere il ciclo emozionale che tanto li gratifica.
Di tutto questo fu maestro Alexander Dumas, in virtù dell’abilità descrittiva, semplice ed efficace insieme, incisiva pur se espressa con prosa fluida ma scarna, che conta su pochi tratti elementari, delineati tenuto conto della platea dei lettori.
Inoltre, a questa si univano la sua fervida fantasia e l’indubbia capacità di suscitare “suspense”, la spasmodica attesa nel lettore, tenendolo in qualche modo direttamente coinvolto nei risvolti morali delle vicende descritte.
“Il conte di Montecristo” non è pertanto di per sé un classico, o un capolavoro della letteratura d’avventura, è contemporaneamente qualcosa di meno nella forma e qualcosa di più nel contenuto. Lo stile della scrittura non è colto o forbito, poiché il testo è indirizzato a una varietà di utenti differenti tra loro per motivi di censo, di cultura e di capacità di lettura, comunque non certamente un lettore erudito, secondo i canoni classici, più spesso erano lavori graditi dalla piccola e media borghesia e dal popolino con un minimo di capacità di lettura.
La sua fortuna sta tutta nel contenuto: esso è una summa, un condensato di elementi letterari di vario genere, un contenitore di tutto e di più tale da accontentare qualsiasi tipo di lettore.
Non solo; proprio per questo coacervo di generi, suscita sensazioni diverse, talora contrastanti: commuove e indigna, entusiasma e deprime, avvince ed esalta.
Questo è un romanzo di brave persone e di buoni sentimenti; è una storia d’amore filiale e di passione per la propria donna; è un racconto di giustizia e di tradimenti, di beghe politiche e differenze sociali; tratta di tesori, di ricchezze, di arricchimenti leciti o truffaldini, di suicidi e avvelenamenti, d’inganni e travestimenti, di duelli e di assassinii, d’infanticidi e amori proibiti e omosessuali.
E ancora, e oltre, e ancora oltre: di amore e di morte, di tutto e di più, non c’è lettore che non ne esca soddisfatto dalla sua lettura, perché rinviene inevitabilmente elementi narrativi che solleticano la corda giusta adatta a tutti.
Trovano soddisfazione qui chi ama il mare, gli amori inebrianti, l’epopea napoleonica; i castelli e le segrete, le fughe e le evasioni, i misteri e i tesori nascosti.
La ricchezza e la possibilità di cambiare vita, crearsi ex novo una nuova storia ed una nuova identità, porre rimedio alle ingiustizie e ricompensare i buoni, nascondersi e camuffarsi, sorprendere e rivelarsi, innamorarsi di nuovo e rifarsi un’esistenza lieta dopo tanto patire.
Il protagonista Edmondo Dantes è il prototipo della persona perbene, serio, onesto, lavoratore indefesso bravo e competente, figlio devoto e perdutamente innamorato della sua fidanzata.
Un giovane in procinto di spiccare il volo, di dare un costrutto rilevante alla propria esistenza umana e professionale, allorchè per una palese e crudele macchinazione ai suoi danni, è ingiustamente privato del suo onore e della sua libertà, perde tutto, dagli affetti alla reputazione, e ridotto in catene nella più tetra e inoppugnabile fortezza.
Dalla quale riesce, ovviamente in maniera rocambolesca, che libro di avventure sarebbe, se no, ad evadere, e diventa ricchissimo grazie ad un classico tesoro nascosto.
Da questo momento in poi si comporta come si comporterebbe chi, ai nostri giorni, venisse baciato in fronte dalla fortuna azzeccando una vincita multimilionaria al superenalotto.
La nuova condizione finanziaria gli permette una svolta epocale, come sogniamo tutti.
Si rifà un’esistenza, a suo piacimento, nel fisico e nell’origine, come i mezzi gli permettono.
Si vendica dei suoi nemici e accusatori, e nei modi più fini ed indicati all’uopo, in una sorta di legge del contrappasso, premia e ricompensa coloro che in epoca non sospetta erano dalla sua parte.
Come si vede è contemporaneamente giudice e giustiziere, angelo del bene e nemesi spietata, come farebbe piacere a chiunque esserlo nei confronti dei vicini prossimi della propria esistenza.
Chi di noi non ha mai sognato di togliersi qualche sassolino dalla scarpa, se solo la dea fortuna si decidesse a volgere il suo sguardo benevolo su di noi?
Attorno a questo nucleo centrale, Dumas si sbizzarrisce a creare intrighi, intrecci, personaggi vari e differenti, racconti e avventure dentro la storia principale, fa sfoggio di tutta la sua abilità di letterato, crea infine un romanzo che è la metafora dell’eterna lotta del bene contro il male.
Un romanzo solo per questo quindi da definire eterno e inesauribile, che riguarda e coinvolge tutti, ognuno trova qualcosa che gli piace in questa lettura.
Per questo, continua a essere letto. E riletto, che non è cosa che vale per tutti i libri.
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Quando la vendetta supera l'offesa
Libro monumentale, che va letto con molto calma e pazienza.
La prima parte è una montagna russa tra noia e avventura.
Se da una parte la scena del matrimonio può risultare a tratti di un tedio quasi mortale, quando si giunge nelle scene del carcere si respira finalmente il genio visionario dell'autore.
La seconda parte del libro è dedicata alle vendette che il nostro eroe attuerà verso coloro che hanno rovinato la sua esistenza e quella delle persone amate.
Anche qui si rischia di non finire l'opera, poichè molte scene sono assai prolisse e ripetitive, con personaggi anche abbastanza irritanti.
Ma la fatica di proseguire la lettura è proprio quando si giunge a leggere le varie meravigliose vendette che ci mostrano quanto odio possa annidarsi nel cuore di una persona.
La vendetta calerà con tanto impeto e dolore che lo stesso protagonista ne viene colpito e prova anche dei sensi di rimorso.
Diciamo subito che molti potrebbero paventare una sorta di clemenza, di perdono verso chi ha compiuto dei gesti gratuitamente cattivi, eppure io durante tutta la lettura del romanzo non attendevo altro che leggere come il protagonista avrebbe portato a compimento i suoi diabolici piani.
E' difficile poter giudicare una persona e i suoi comportamenti se non si è vissuto sulla propria pelle certe esperienze. Credo che il grande pregio dell'autore in questo monumentale romanzo, sia quello di riuscire a far immedesimare completamente il lettore nella scena e negli stati d'animo dei vari protagonisti. Quindi non risulterà troppo difficile giustificare i meccanismi psicologici che portano il Conte di Montecristo a fare piazza pulita di tutti coloro che si sono anteposti tra lui e la felicità.
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Romanzo ottocentesco ma contemporaneo
Ecco il conte di Montecristo
Inutile descrivere la conosciuta storia di Edmond Dantes.
Parto dal fatto che il libro è da consigliare a chiunque.
È stato scritto nel 1844 ma Dumas e’ capace di renderlo incredibilmente moderno.
Perché consigliarlo a chiunque?
Ebbene, contiene tutto ciò che un lettore può desiderare da un libro, incalzante, ricco di suspance, porta con sè tutti i generi letterari.
Precursore del genere thriller, giallo, noir, è
un romanzo d’avventura dove il lettore incontra briganti, pirati, marinai, re e pascià, per non parlare dell’isola di Montecristo con il suo immenso tesoro.
Ti accompagna attraverso sfarzosi carnevali romaneschi e le più varie località del mondo, Marsiglia, Roma, Parigi, Medio Oriente assieme ad Haydeè, la bellissima principessa greca.
Una infinità di emozioni intrecciate a moltissimi colpi di scena.
Iniziando con L’Amore per il padre e la fidanzata, la solitudine ed il dolore costantemente presenti nella prigione del castello D’IF, la rabbia, talmente tanta da portare allo sfinimento, la corruzione, corrotto è il sostituto procuratore del re Gerard de Villefort, per poi passare alla rassegnazione, speranza, fede e avidità. È la vendetta però l’epicentro di tutta la storia.
Ma basterà al conte di Montecristo, soddisfare la sua anima accecata di vendetta?
Questo racconto porta con sé significativi insegnamenti, e sta proprio a voi lettori coglierli e farne tesoro.
Io credo che dovreste assolutamente leggerlo per percepire questo vortice di emozioni che lascia!
E se ci fosse qualcuno che dice che questo libro è brutto, probabilmente o non l’ha finito oppure si basa sul film con Gerard Depardieu.
Nonostante la mole del volume
(1300 pagine), alla fine, credo un po’ a tutti
dispiacerà salutare i protagonisti.
Almeno per me così è stato.
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Aspettare e sperare
Edmond Dantès è un giovane marinaio, il 24 febbraio 1815 sta tornando nel porto della sua città, Marsiglia, a bordo della nave dove lavora, il Faraone. Il ragazzo è bravo, industrioso, energico e ha buoni sentimenti. Ha pochi affetti a cui è legatissimo: il padre anziano e la fidanzata, Mercedes. La vita sembra sorridere al buon giovane: stimato dal proprietario del Faraone, quasi sicuramente ne diventerà il nuovo capitano, visto che quello precedente era appena morto e sposerà l'amatissima Mercedes, prima di riprendere la via del mare, dovuta alla carriera di marinaio.
Ma c'è bisogno che continui a riassumere, se pure a grandi linee, gli elementi costitutivi della trama di questo celeberrimo romanzo? Io stessa prima di iniziare la lettura li conoscevo già. Chi non conosce la storia del conte di Montecristo? La storia di Edmond Dantès, ingenuo perchè incapace di provare i sentimenti cattivi di cui rimane purtroppo vittima, cioè l'invidia, la gelosia, l'avidità, che viene tradito nel modo più vile da alcuni conoscenti e, nel giorno che avrebbe dovuto essere il più felice della sua vita, viene arrestato e condotto nel tenebroso Castello d'If, dove venivano rinchiusi i prigionieri politici.
All'inizio Edmond sembra perdere ogni speranza, passano i giorni, i mesi e gli anni e la prospettiva di trascorrere tutto il resto della vita in isolamento lo fa pensare concretamente al suicidio. Inaspettatamente riuscirà però ad entrare in contatto con un altro essere umano, un altro prigioniero, Faria, che viene considerato da tutti un pazzo ma che in realtà è un uomo eccezionale. Egli inizierà Edmond alla cultura, gli insegnerà le lingue, la filosofia, le scienze, lo farà tornare a sperare, gli rivelerà che esiste uno straordinario tesoro e che lui conosce il luogo in cui esso è sepolto. Edmond ricomincia ad aver voglia di vivere, ma grazie agli insegnamenti di Faria riesce a capire finalmente perché si trova in quel luogo, pur essendo innocente, si rende conto di è stato a tradirlo e a lasciarlo consumarsi nell'oscurità di una cella sotterranea del Castello d'If. In quel momento Dantès cambia, il suo animo luminoso si spegne per dare spazio quasi soltanto ad un irresistibile desiderio di vendetta. Il Caso, il Destino o la Provvidenza lo faranno evadere dalla sua prigione e da quel momento lo scopo della sua vita sarà trasformarsi in una specie di angelo vendicatore.
Devo ammettere che fino al momento dell'evasione la lettura di questo libro mi ha dato molta soddisfazione: mi sono emozionata ed immedesimata nella tremenda sorte del buon Edmond, la narrazione mi ha coinvolto, essendo scorrevole e piena di colpi di scena. Dopo, sinceramente, ho iniziato a trovarla un po' pesante: sono descritte tutta una serie di macchinazioni, intrighi, travestimenti e cambi d'identità che mi sono sembrati eccessivi. L'autore si inoltra in una serie di divagazioni, presentazione di personaggi secondari, esposizione di storie nella storia che in seguito saranno tutte spiegate, ma che personalmente non amo. Il romanzo è infatti uno dei capostipiti del famoso genere del feuilletton, che apprezzo fino ad un certo punto.
Inoltre mi sono sembrati inverosimili molti, troppi particolari. A livello sociale, ad esempio: quasi tutti i personaggi principali (a partire da Dantès, che ha trovato il tesoro) da semplici popolani, pescatori, marinai, al massimo di condizione piccolo-borghese, nel giro di una decina d'anni si ritrovano milionari, nobili straordinari, Pari di Francia... Un po' strano nella società ottocentesca. Ed anche molti altri particolari spiccatamente inverosimili, che adesso non voglio rivelare per non spoilerare troppo, tutti tipici del romanzo d'appendice.
Quindi, in conclusione, sicuramente un libro che sono contenta di aver letto, poiché è un classico che fa parte del bagaglio culturale del lettore medio, un grande capolavoro ottocentesco che riscosse all'epoca tantissimo successo e che lo riscuote anche al giorno d'oggi. Pensavo però che avrei amato di più questo libro prima di iniziarne la lettura, che per buona parte del romanzo è stata più faticosa del previsto.
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Simbad il marinaio
"Montecristo" è una grandiosa, entusiasmante avventura prodiga di stupefacenti colpi di scena, carica della vitalità dei racconti che trasportano fuori dal tempo e dallo spazio che ci danno consueta dimora.
Questa storia affascinante, senza esigere necessariamente complesse riflessioni e analisi, offre una straordinaria oasi letteraria in cui rinfrancarsi dal quotidiano, concedendosi una salubre evasione dalla realtà.
Lo svolgersi degli accadimenti si ramifica in lungo e in largo come un vasto, intricato disegno, di cui la risolutezza degli uomini e i capricci della Provvidenza si dividono la paternità e che per la sua complessità può esser colto solamente quando l’occhio ha la possibilità di abbracciarne una parte consistente. È qui che la meravigliosa macchina ideata da Dumas trae le sua forza vitale, instillando nel lettore l’attrazione per cui lo scorrere delle pagine vince sulla mole insormontabile a prima vista.
Il ritmo è sostenuto dalla predominanza delle sequenze dialogiche e grazie all’espediente del costante riepilogo dei fili dell’intreccio operato dal narratore in terza persona onnisciente (tipico ottocentesco), le vicende si lasciano seguire agilmente, traendo virtù da quelle che nacquero verosimilmente come esigenze della pubblicazione in forma di feuilleton.
A patto di portare pazienza per i passaggi in cui la ridondanza del manierismo nei gesti e nelle conversazioni si fa un po’ stucchevole, il racconto strega il lettore, avvolgendolo in un’atmosfera drammatica (lontana dall'ironia familiare ne “I Tre Moschettieri”), in cui la vendetta è sovrana della scena, ultimo arbitro degli equilibri sconvolti dalle diverse peripezie e dai molteplici intrighi.
Risparmio qualsiasi cenno alla trama vera e propria, grato come sono stato io stesso, alla fortunata combinazione che mi ha tenuto completamente digiuno dalle celebri riproduzioni televisive e cinematografiche, conservandomi intatto il piacere della scoperta di questo bellissimo romanzo.
“Per i cuori che a lungo hanno sofferto,
la gioia è simile alla rugiada sulle terre essiccate dal sole.”
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L’atavica diatriba tra vendetta e perdono
Immaginate di essere ad un passo dal realizzare i vostri desideri, dall’affermarvi nel lavoro, dal legarvi per sempre alla persona amata, dal poter dare tranquillità ai vostri cari. Immaginate che proprio nel momento più bello della vostra vita i vostri castelli crollino all’improvviso senza un motivo comprensibile e voi vi ritroviate con un pugno di mosche in mano, soli e senza prospettive. E’ proprio quello che succede a Edmond Dantès, protagonista di questo favoloso romanzo di Alexandre Dumas. Il nostro eroe infatti vive un momento magnifico, sta per sposare la sua bella catalana Mercedes e per essere nominato capitano del Pharaon, la nave su cui presta servizio da anni. Ma, è risaputo, i successi di un uomo possono suscitare invidia e avversione nella persone che lo circondano e che vedono, proprio a causa del trionfo altrui, capitolare i propri sogni e le proprie aspettative. Ecco quindi che il povero Dantès diviene vittima di un complotto ordito dai suoi rivali e aggravato dalla malafede di un magistrato. Senza neanche sapere di cosa è accusato, il ragazzo viene arrestato e rinchiuso nel Castello d’If, una famigerata prigione in mezzo al mare dalla quale, una volta entrati, non si esce più. La rabbia, l’impotenza, l’impossibilità di conoscere le cause che lo hanno portato in cella producono in Edmond un comprensibile turbamento che lo porta ora ad allontanarsi da Dio, ora a cercarvi rifugio, ora a desiderare la morte, ora a voler vivere nella vana speranza di essere liberato. La solitudine, lo sconforto, la frustrazione attanagliano l’animo del malcapitato, finchè un giorno entra in contatto con un altro detenuto, un abate ritenuto pazzo, che cambia completamente la sua vita. Tra i due nasce un’amicizia fortissima e il frate, persona di grandissima cultura e intelligenza, trasmetterà al giovane tutto il suo sapere, gli darà l’occasione per evadere e le indicazioni per trovare un tesoro favoloso. Dopo quattordici anni di detenzione, Dantès riuscirà a lasciare il Castello d’If e tornerà nel mondo civile ricco, colto e assetato di vendetta. La voglia di rivalsa, la rabbia per ciò che ha perduto, il desiderio di farla pagare ai responsabili della sua malasorte, faranno sì che Edmond, che da ora in poi si farà chiamare Simbad il marinaio o Conte di Montecristo, si sentirà investito da una sorta di potere divino e si trasformerà in un ambasciatore della Divina Provvidenza, pronto a restituire il bene a chi lo merita e a punire chi, fin qui, non ha fatto altro che seminare il male. Ma nel compiere la sua opera, il protagonista si renderà conto di quanto illusorio, evanescente e inutile sia il senso di appagamento che deriva dalla vendetta e si troverà costretto a confrontarsi, in un impietoso faccia a faccia, con la propria coscienza. Alexandre Dumas architetta una trama intricata quanto avventurosa, proponendo una storia mozzafiato ricca di colpi di scena, di situazioni drammatiche e di parentesi poetiche. Numerose sono le citazioni letterarie e i riferimenti storici, notevole l’introspezione psicologica del protagonista ma anche degli svariati personaggi che entrano nella storia. Il machiavellico piano di vendetta del Conte viene svelato solo alla fine e solo allora tanti particolari che apparivano di poco conto, tante storie che fino a quel punto potevano sembrare minori e fuori dal contesto, tanti personaggi ritenuti marginali dimostreranno tutta la loro importanza. L’autore inoltre traccia un preciso ed interessante ritratto storico di una Francia di inizio Ottocento ancora scossa dagli strascichi della rivoluzione e divisa tra illuministi, sostenitori della Restaurazione e nostalgici bonapartisti, puntando il dito sui vizi, i peccati e l’avidità della società dell’epoca, società da cui lo stesso protagonista prende ripetutamente le distanze preferendo richiamarsi ad una cultura orientale diametralmente opposta a quella francese, cui si avvicina soltanto per realizzare il suo piano di vendetta e da cui subito dopo si discosta. Avvelenamenti, fughe, duelli, dissertazioni filosofiche, amori traditi e amicizie indissolubili, niente manca a quest’opera che da circa due secoli appassiona e tiene con il fiato sospeso milioni di lettori e che, al di là del lato avventuroso, ha il merito di accendere un dibattito morale sul sottile confine che divide il concetto di giustizia dal desiderio di rivincita, nonché di proporre una profonda riflessione sull’atavica e perenne diatriba tra vendetta e perdono che da sempre divide e affligge l’animo umano.
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Longevo
E' quasi inutile aggiungere una nuova recensione a questo colosso che tiene la classifica da circa duecento anni. Se i nostri avi, hanno avuto la facoltà di leggerlo a puntate, a noi è permesso leggerlo tutto di un fiato, in tomo di ragguardevole entità. Chi non l'ha letto, almeno l'ha sentito nominare e se molti si lasciano scoraggiare dalle numerose pagine, altrettanti si avventurano nella lettura anche solo per il gusto del sentito dire, attratti dall'aura che lo circonda.
Il malcapitato si accorge subito delle innumerevoli ripetizioni di scene, delle parole riempitive, in breve del “brodo allungato” al fine di aumentare il profitto. Si narra che non furono le muse a ispirare Dumas durante “Il Conte di Montecristo”, ma il desiderio di trarne il maggior guadagno imponendo alla scrittura più pagine possibile.
Nasce cosi, uno scritto prolisso e ripetitivo, capace però di affascinare per generazioni. Intrighi, vendette, feste di palazzo, veleni, carrozze, castelli, ripetuti e descritti più volte, attanagliano e producono un romanzo sfavillante, chimerico e mistificatorio.
Il trucco? Sicuramente l'aver centrato il romanzo su un angelo vendicatore.
Edmond Dantes non è che un poveraccio ingiustamente colpito, che non soccombe sotto le scudisciate del potere ingiusto e pilotato, si rialza, risorge e si vendica.
Marsiglia, Parigi, Roma passando per la verdeggiante Montecristo fanno da sfondo alle vicende di un bravo marinaio destinato a una vita semplice, al massimo comandante di vascello, ottimo figlio, bravo fidanzato, devoto futuro marito colpito dalla giustizia fasulla, dal potere subdolo che lo trasforma nel Conte di Montecristo, uomo di potere, schifosamente ricco, plasmatore di vita e di società a proprio piacimento. Dantes e Montecristo, due facce di una stessa medaglia: ecco il protagonista, l'unico, il solo, il trascinatore delle scene. Personaggio in crescendo, sempre capace con i suoi comportamenti di stupire, da grezzo uomo di mare a sofisticato signore, mago del “bon ton” e dell'eleganza, da sempliciotto a freddo calcolatore. Messo di Dio, fautore delle trame della divina Provvidenza fino all'ultima atroce vendetta nei confronti di chi ha dato inizio alla sua sfortunata vicenda.
Metamorfosi dall'acqua, dal mare davanti al Castello d'If alle corti parigine per colpire i cattivi e allo stesso tempo scoprire di non essere più se stesso, di non poter trovare soddisfazione per il tempo passato inadeguatamente. Sconcertato, subisce, grazie all'amore, una nuova trasformazione tornando ad essere Edmond Dantes, sicuramente più vecchio, ma al contempo libero dal rimorso, perdonato da Dio, semplice, ma franco .
Enorme la vastità psicologica dell'essere umano raccontata attraverso questo attore da un Dumas psicologo, il cui operato crea anche altri attori ragguardevoli, sicuramente di contorno rispetto al protagonista, ma di ottima fattura come il vile Villefort, il subdolo Danglars, la debole Mercedes e altri ciascuno esaltato dalla propria caratterizzazione, sfaccettati nel proprio profilo.
In due parole un romanzo complesso, scritto male che non invecchia e costantemente ammalia i suoi lettori!
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Multiromanzo
Quel che di norma si conosce delle vicende narrate in questo voluminoso librone (l’innocente tradito, la prigionia, il Castello d’If, l’abate Faria, la fuga) occupa circa centocinquanta pagine scritte piccole: per la preparazione e la realizzazione della vendetta ce ne voglio altre ottocento stampate nello stesso minuscolo carattere e anche solo da questo si può capire (oltre a quanto poco sia davvero conosciuto) come il romanzo faccia seguire alla brillante narrazione a effetto dei primi capitoli un andamento esagerato, dispersivo, ridondante. Del resto, Dumas, che forse neppure scriveva tutto di persona, veniva pagato un tanto a riga e doveva far quadrare i conti di casa: nel succedersi dei capitoli si sprecano i fremiti, i sudori diacci, le grida e i pugni innalzati al cielo (per non dire degli svenimenti femminili), che si aggiungono all’inevitabile esigenza di riassumere l’accaduto in un’opera in origine pubblicata a puntate. Oltre a divagazioni che a volte si perdono nel nulla, di tanto in tanto si incontrano dei veri e propri racconti che potrebbero avere vita propria (Franz a Montecristo, il bandito Vampa, Bertuccio e Benedetto, i fatti di Giannina) mentre il lungo episodio romano è una sorta di romanzo nel romanzo: eppure, anche se può apparire incredibile a chi giudichi dall’esterno, questo continuo dilatare i tempi – utilizzando pure lunghi dialoghi che fanno parere tutti i protagonisti dei gran chiacchieroni – contribuisce ad accrescere la tensione attraverso il prolungamento dell’attesa per i momenti culminanti che possono così intrigare l’animo del lettore anche se quest’ultimo sa benissimo che lì si andrà a parare. Insomma, Dumas conosceva bene come solleticare il suo pubblico, ma – seppure ben lontana dal ritmo de ‘I tre moschettieri’ – la sua narrazione funziona allo stesso modo presso una platea più smaliziata che finisce per accettare di buon grado gli eventi miracolosi (la ricchezza che piove addosso a Dantès) e la suddivisione manichea dei personaggi, generosi o perfidi senza vie di mezzo: l’unica, vera eccezione riguarda proprio il protagonista che, col passare degli anni, vede il suo desiderio di vendetta messo via via più in discussione dai dubbi sul compito che si è fissato, sulle conseguenze che ne scaturiscono e, soprattutto, sul proprio ergersi a giudice supremo. Il modo migliore per godersi libri come questo è dunque abbandonarsi al flusso della narrazione che, al netto dei passaggi zoppicanti, è pur sempre capace di districarsi fra gli oltre trenta personaggi e relative linee multiple di racconto senza mai portare il lettore a smarrirsi: le pagine che si susseguono lo trasportano idealmente nella Francia della prima metà dell’Ottocento, con un breve sguardo sugli ultimi bagliori napoleonici e una lunga permanenza nel bel mondo parigino sotto Luigi Filippo, restituito nei suoi riti e nelle sue manie con un sottile filo di ironia. All’effetto contribuiscono anche gli arcaismi e il linguaggio inevitabilmente anticato della traduzione ‘Emilio Franceschini’ – nome convenzionale per quella anonima ottocentesca - utilizzata per l’edizione in mio possesso: anch’essa con molti difetti (dalla ‘semplificazione’ di numerosi paragrafi a Faria che non è mai chiamato ‘abate’) ma in un certo senso funzionale alla capacità di coinvolgimento del romanzo.
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Un mosaico vivente
Il “Conte di Montecristo” è un libro maestoso ed imponente, non solo dal punto di vista dell’altezza e delle pagine (è un bel malloppo), ma anche e soprattutto dal punto di vista della costruzione narrativa e della tensione emotiva.
La vicenda inizia nella Francia della Restaurazione, nell’ampio porto di Marsiglia dove il fresco e giovane capitano Edmond Dantès attracca con la nave mercantile dell’armatore Morrel. Una volta disceso a terra Edmond non perde tempo e decide di convolare a nozze con Mercedes, la bellissima catalana, contesa con lo spagnolo Fernand. Durante la festa Edmond viene arrestato con l’accusa di bonapartismo e rinchiuso, su disposizione dell’ambizioso Villefort, nel castello d’If, una prigione di massima sicurezza arroccata su uno scoglio al largo della costa marsigliese.
Gettato in una cella buia e umida, il giovane Edmond maledice i suoi aguzzini e giura a sé stesso che quando uscirà da quella cella compirà la tanto attesa vendetta. Da questo ferreo proposito scaturisce il resto del romanzo che si configura come un crescendo di manipolazioni, racconti, inganni, amori e tragedie, totalmente gestito dalla invisibile quanto potente mano del conte di Montecristo che si erge a icona in vita della mano di Dio.
Gli elementi che fanno di questo libro un testo acclamato e trasversale sono la complessità della trama, la bravura acclarata di Dumas a tirare le fila dei personaggi per pagine e pagine senza incappare in grossolani errori (“I tre Moschettieri” ne sono un ulteriore esempio), l’abilità di costruire dialoghi pregni di senso che somigliano a moderne sceneggiature di telefilm e lungometraggi ma soprattutto la conoscenza profonda che l’autore sembra avere di tutte le sfaccettature dell’animo umano.
Il volume è una Bibbia, un compendio, una vera e propria enciclopedia dei sentimenti e delle pulsioni umane, comuni a più personaggi del racconto. Non esiste infatti un personaggio unicamente avido, né tantomeno uno unicamente buono; non esiste la netta contrapposizione tra bene e male in quanto la natura umana non è ontologicamente monolitica ma è frammentaria, vaga, varia e anche contraddittoria. Dumas fluttua in questo maelstrom di emozioni, calcoli di interesse, sensazioni come fosse un navigatore esperto, proprio come quell’Edmond Dantès capitano del Pharaon ancora ignaro del proprio destino.
I personaggi del romanzo assumono la forma di voci di vocabolario, plasmate dall’autore: il procuratore del re Villefort rappresenta contemporaneamente e paradossalmente la rigidità e l’inflessibilità di fronte alla legge, salvo poi piegare la stessa ai propri interessi; il barone Danglars incarna l’egoismo, l’avidità e il calcolo; il conte de Morcerf il tradimento e la tendenza alla manipolazione; Benedetto l’arrivismo e l’irriconoscenza; il giovane Maximilien Morrel la leggerezza e l’amore spassionato; la misteriosa Haydée il mistero della bellezza; Bertuccio e il servitore Alì la fedeltà e l’obbedienza; il bandito Vampa la cortesia, la cultura e l’interesse economico.
Il libro è quindi un vero e proprio mosaico vivente, un affresco a cui si dovrebbero aggiungere altre tessere, prima tra tutte quella del conte di Montecristo, il vero mattatore della storia, l’uomo dai mille volti e dalle infinite vie, il vendicatore, la mano della Provvidenza ma la complessità e la storia di questo personaggio sono così ricche e particolari che l’unico modo per comprenderlo è leggere il romanzo.
Una lettura unica, forse a tratti prevedibile, ma che regala pezzi di letteratura senza uguali, giustificando il suo posto nella categoria dei classici senza tempo.
FM
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La speranza è l'ultima a morire
“In quanto a voi, ecco tutto il segreto della condotta che ho tenuto verso voi: non vi è né felicità né infelicità in questo mondo, è soltanto il paragone di uno stato ad un altro, ecco tutto. Quegli solo che ha provato l’estremo dolore è atto a gustare la suprema felicità. Bisognava aver bramato la morte, per sapere quale bene è vivere. Vivete dunque e siate felici, figli prediletti del mio cuore, e non dimenticate mai che, fino al giorno in cui Iddio si degnerà di svelare all’uomo l’avvenire, tutta l’umana saggezza sarà riposta in queste due parole: Aspettare e sperare.”
Del libro “Il Conte di Montecristo” ne ho sempre sentito parlare e mi sono sempre imbattuta nella sua copertina. Tuttavia, fino a poco tempo fa, lo conoscevo solo tramite i numerosi film che ne sono stati tratti. Questo romanzo è un colosso (sono quasi 1000 pagine!!!!) che spaventa i lettori più accaniti, persino come me, ma proprio perché sono devota alla lettura, era impensabile non leggerlo.
Ergo, eccomi qui, ad esprimervi anche la mia modesta recensione su di un libro che, di recensioni, critiche e commenti, ne ha ricevute tantissime (il libro ha avuto tante edizioni, adattamenti cinematografici ed è persino stato protagonista di fumetti).
Dumas è stato capace di raccogliere nella sua penna tutta l’arte, lo stile ed il contenuto più elevato di tutti i tempi. Non per niente “Il Conte di Montecristo” ha duecento anni ma non li dimostra, perché è un romanzo che non ha epoca ed il cui fascino appassiona ogni anima e cuore.
Il libro narra la storia del giovane Dantes, un ufficiale della marina di indole buona, che tradito dai suoi falsi amici, viene strappato alla sua vita e soprattutto, ai suoi affetti più cari (il padre e la sua amata fidanzata) e condannato al carcere. Il dolore e lo sgomento per ciò che gli è accaduto è devastante e le possibilità di uscita sono nulle, ma la Provvidenza o il destino sono mutabili, ed ecco che offrono al giovane Dantes una “rinascita”. Grazie all’amicizia nata in carcere con l’abate Faria, Dantes conoscerà la verità sui motivi che l’hanno portato alla prigionia, scoprirà dove trovare la ricchezza, come usarla, ma soprattutto acquisterà una cultura che gli sarà utile per la sua vendetta.
Una volta uscito di prigione Dantes, che non è più un ragazzo ma un uomo maturo (dato che sono passati quasi 20 anni) diviene, principalmente Il Conte di Montecristo, spietato giustiziere, ma interpreterà anche altri personaggi affinché la vedetta contro i suoi nemici si possa compiere. Così come compirà la vendetta, il Conte si preoccuperà di coloro che gli sono sempre rimasti fedeli, e farà in modo di proteggerli e di ricompensarli.
La vendetta è lenta, ben progettata e non è fisica, ma consiste nella degradazione della persona, in questo caso delle tre persone che hanno contribuito alla reclusione di Edmond Dantes: il Conte De Morcef (che ha sposato la sua fidanzata Mercedes), il procuratore De Villefort, il barone Danglars. I nemici del Conte non perdono la vita nel senso fisico, ma perdono ciò che gli è più caro: il potere, l’onore ed il denaro.
Un romanzo straordinario ed avvincente in ogni sua parte, con un finale degno di plauso e che “toglie” il fiato ai lettori, rendendoli tristi nel voltare l’ultima pagina del libro. Pieno di insegnamenti (ne è degna prova la citazione in testa alla recensione), “Il Conte di Montecristo” ci insegna che la speranza è l’ultima a morire e che, finché crediamo, la vita ci riserba sempre un’altra possibilità: nei momenti più bui e tristi, dobbiamo essere noi stessi i fautori della luce della speranza. Chissà magari nell’attesa, potremo sorprenderci di ciò che il destino ci riserba.
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La Speranza...
"...fino al giorno in cui Iddio si degnerà di svelare all'uomo i segreti dell'avvenire, tutta la saggezza umana sarà riposta in queste due parole: aspettare e sperare". Si chiude pressappoco così il grande capolavoro di Dumas; e con queste poche parole (che sono rimaste impresse nelle mia mente) si può facilmente riassumere tutta l'opera. Quando il mondo è crollato addosso ad Edmond Dantès, l'unica cosa che lo ha salvato è stata la Speranza che tramite l'intervento della Divina Provvidenza, presentataglisi sotto il nome di Faria, è divenuta l'occasione che aspettava per il suo riscatto con la propria amata, con i propri amici ma soprattutto con i propri nemici. Speranza che poi si trasforma in Vendetta. Un proverbio dice che la vendetta è un piatto che va servito freddo ed è stato così per Edmond che, con la sua astuzia e con le sue immense conoscenze, è riuscito con una destrezza e con una pazienza inequiparabili a vendicare il suo onore. Un viaggio all'interno delle passioni, dei vizi e delle virtù dell'uomo, il tutto pervaso da una forte fede cristiana. è inutile dilungarsi troppo perchè l'unica cosa da fare di fronte ad un'opera come questa, è aprire il libro, cominciare a leggere e perdersi nei meandri di un mondo così complesso, quale è la vita di ognuno di noi.
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Il numero trentaquattro
Marsiglia, un giovane ed onesto marinaio si appresta a coronare il suo sogno d'amore, il banchetto della festa di fidanzamento accoglie gente allegra e note a festa. Edmondo Dantès e' amato dai suoi uomini, sara' forse il piu' giovane capitano al comando del Faraone.
Invidia, cupidigia, ambizione.
Non e' giustizia di Dio , e' odio di uomini.
Cala il bisbiglio a soffocare la musica, le manette stringono i polsi, zittito dal freddo metallo della baionetta Edmondo si accascia su una piccola barca. Nell'oscurita' i remi affondano tra lo sciabordio ovattato delle acque, i gendarmi non rispondono alle domande del disgraziato che avvicinandosi a terra distingue la nera roccia del Castello d'If.
I passi delle sentinelle lo seguono fino alle segrete del castello, per poi abbandonarlo nelle tenebre di muri gelidi e umidi, nel silenzio, nella solitudine, nella fame e nella malattia per quattordici infiniti anni. Per tutta la giovinezza del detenuto numero Trentaquattro.
La pietra, le maree, la misera e riconoscente umanita' cenciosa di questa prigione scorteranno un uomo nuovo verso il piu' impetuoso anelito di giustizia, quella compiuta dal Conte di Montecristo: " l'uomo propone e Dio dispone".
Ambientato all'inizio dell'Ottocento, il romanzo di Dumas si snoda prevalentemente tra l'Italia e la Francia, in uno scritto in cui la bellezza dei luoghi rimanda al contemporaneo Hugo e la passione del dramma trafigge al pari del memorabile Shakespeare. Sebbene l'opera sia massiccia, la scrittura lievemente ampollosa si rivela di una scorrevolezza amabile, lo stile valorizza l'opera come la piu' astuta delle coreografie d'epoca.
Trama ricchissima e avvincente, l'idea di Dumas di dare vita all'esaltazione della vendetta si articola in un piano certosino, di rara tattica e bellezza. Del resto puo' forse la fulminea lama di una ghigliottina ridare giustizia a colui che per quattordici anni fu illegittimamente sepolto vivo?
Benche' non sia affatto impresa facile, Il Conte di Montecristo ha tutti gli attributi che gli permettono di accedere al leggio d'oro, lassù nell'Olimpo dei libri piu' belli che io abbia letto.
Profondo, misterioso, affascinante, intelligente. Per questo mi chiamo Vendetta.
Buona lettura.
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Nel nome della Vendetta
Chi non ha mai sentito parlare del famosissimo Conte di Montecristo? Di quel personaggio pittoresco che dedicò la propria vita ad un disegno vendicativo giungendo alle vette più alte della società per battere i suoi nemici nel loro stesso campo? Credo che pochi siano coloro che non conoscono anche solo per sentito dire questo nome, anzi quest'opera. Infatti, questo famosissimo romanzo ha saputo impregnarsi nell'immaginario collettivo a tal punto da essere riconosciuto come un vero e proprio capolavoro della letteratura.
Vari sono stati gli adattamenti cinematografici - e non solo, vi fu anche una serie a fumetti - giunti nel tempo per cercare di replicare -per quanto possibile- la bellezza della storia scritta dal grandissimo Alexandre Dumas, per donarla ad un pubblico sicuramente più variegato, ma confesso che non ho mai avuto dei forti interessi nei confronti di questi adattamenti. Dunque, questa è stata una lettura totalmente inedita per me e, mi pare inutile sottolinearlo, assolutamente importante. Importante per il lettore che è in me ovviamente, poiché mi ha avvicinato ai cosiddetti "classici" che, a causa di qualche pregiudizio, avevo sempre evitato per paura di restarne annoiato, credendo erroneamente che fossero libri troppo complicati, pesanti da digerire, vecchi e addirittura lenti nella narrazione... ed invece mi sono dovuto ricredere.
Quello che colpisce de "Il Conte di Montecristo" e che, al di la degli anni che si porta dietro (ha oltre 150 anni), quest'opera dimostra di essere ancora attuale, quasi come fosse stata scritta non troppo tempo fa, apparendo immortale - come è giusto che sia per ogni grande classico e capolavoro che si rispetti.
Questo libro è davvero un testo unico e completo negli argomenti esposti e sviluppati. Qui, come in poche altre opere, si affronta l'essere umano in ogni suo sentimento ed emozione, sviscerando la sua più profonda natura, passando dalla gelosia all'invidia, dalla perfidia all'odio. Ci viene narrata una storia fatta di ascesa, caduta e rinascita, donandoci una trama anch'essa completa di tutto ciò che garantisce un'autentica epopea, abbellita per altro da emozioni crescenti e da vari colpi di scena.
Inoltre questo libro è dotato di un ritmo abbastanza spedito, mai veramente noioso grazie anche al numero non povero di personaggi che incarnano molto bene le debolezze e le virtù umane (come dimenticare il saggio Faria?).
La sua natura da "romanzo d'appendice" lo porta ad essere un libro molto gustoso, avvincente ed inevitabilmente entusiasmante, seppure potrebbe risultare troppo lungo per alcuni palati, tanto da scoraggiarne la lettura. Tuttavia consiglio, come molti altri prima di me, di non lasciarsi intimorire dalla mole perché la lettura vale assolutamente tutte le mille e passa pagine che la compongono.
Lo stile di Alexandre Dumas si mostra poetico ed evocativo e le descrizioni profonde fanno comprendere perfettamente, a mio dire, le emozioni interiori e gli stati d'animo dei personaggi. Tra tutti non posso non menzionare l'intero periodo in cui Edmond si ritrova imprigionato nel claustrofobico Castello d'If, un momento questo in cui l'autore raggiunge vette davvero elevate, dove ci fa ben comprendere il dolore interiore del giovane, la solitudine e tutti quegli oscuri e giustificati pensieri che portano la mente a certe tragiche risoluzioni.
In tutto questo, quello che ho trovato davvero riuscito, è il dualismo netto che Alexandre Dumas ha saputo donare al suo protagonista. Se all'inizio della storia ci troviamo davanti ad un Edmond pimpante, gagliardo, ingenuo e fresco della sua giovinezza, ecco che poi ne ritroviamo un’altro che pare un'altra persona: abbandonando cosi non semplicemente l’identità passata, ma proprio il suo essere, lasciandone il posto ad un uomo totalmente nuovo, rinato, plasmato e temprato nell'odio dei suoi nemici. Trovo questo dualismo davvero ottimo per il semplice fatto che si può ben riconoscere la netta distinzione psicologica e morale di Edmond da “l'Edmond ragazzo” a “l'Edmond uomo”. Questa divisione si tocca con mano, a tal punto che sembra di ritrovarsi dinnanzi a due personaggi completamente diversi, non solo di nome, ma anche di fatto. Non credo sia cosa facile da realizzare, per tale motivo ho voluto segnalarla. Anche il motivo trainante di tutta la storia, ossia la vendetta, la quale viene trattata sicuramente bene dall'Autore, mostrando come possa colpire tremendamente dopo anni di pianificazione tanto da far valere il famoso detto "la vendetta è un piatto che va servito freddo". Ma, a parte questo, ci viene fatto capire come vivere solo in nome della vendetta, credendosi quasi la mano di Dio o della giustizia divina, possa portare un uomo a dimenticasi della felicità e dell'amore, divenendo quasi un'ombra ossessionata solo dal suo sanguinoso (seppur legittimo) desiderio. In questo, trovo evocativo e ben riuscito il finale, malinconico e quasi commovente.
Insomma, non mi sarei mai immaginato di leggere nella mia vita un classico e di rimanerne peraltro cosi colpito da volerne leggere altri ancora. Se cercate un libro epico e che sappia appassionare, credo proprio che “Il Conte di Montecristo” faccia al caso vostro, tanto più se amate i classici e i romanzi ottocenteschi appartenenti specialmente alla letteratura francese.
Piccola nota: dovrete necessariamente ritagliarvi un po’ di tempo per la lettura di questo librone, perché mille pagine non si leggono in un baleno. Per questo mi sento di consigliare a tutti voi, di trovarvi un periodo sgombro da qualsivoglia impegno e di godervi questo libro pienamente, come si merita.
Buona lettura!
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La vendetta è fredda e indigesta
Provate a immaginarvi in questa situazione. State per sposarvi con la donna che amate, state per raggiungere l’apice della vostra carriera, avete una famiglia e tanti amici che vi amano e vi stimano. Bello no? Immaginate ora che dei nemici silenziosi, invidiosi della vostra felicità, innamorati della vostra futura sposa, ordiscano contro di voi un complotto per strapparvi a tutto ciò che avete. Dalla felicità vi butteranno ingiustamente nell’oblio, facendovi marcire per 14 anni nelle segrete di una prigione, a patire la fame, la solitudine, il buio, e cosa peggiore, convivendo col pensiero che tutto ciò che avevate di buono al mondo, va avanti senza di voi.
Se siete riusciti ad immedesimarvi in questi pensieri, avrete non poca empatia nei confronti di Edmond Dantès, protagonista di questa opera storica, giustamente posta tra i migliori classici mai scritti. Una raccomandazione, non lasciatevi assolutamente spaventare dalla mole del libro, pensate che invece di leggerne due, ne leggete uno, ma ne varrà sul serio la pena. Inutile dire che la scrittura di Dumas rende chiaro l’abisso che c’è tra la cultura degli scrittori dei suoi tempi, rispetto agli scrittori attuali. Dumas ed i suoi contemporanei erano dei veri intellettuali, oggi invece chiunque sia in grado di impugnare una penna crede di poter scrivere un libro. Ma questo è un altro discorso, passiamo alle emozioni che il libro suscita.
Edmond Dantès, arricchito culturalmente ed economicamente dall’abate Faria, suo compagno in prigione dall’immensa saggezza, fugge per consumare la sua vendetta lenta e perfetta nei confronti di coloro che gli hanno rubato l’amore della sua vita, che hanno lasciato morire di fame il padre e che ora vivono una vita di lusso e ricchezza nonostante le loro cattive azioni. Sorprende il cambiamento che Edmond mostra, diventando il Conte di Montecristo, una figura quasi divina, dotata di un sapere e una ricchezza immensi. Il Conte è spietato, silenzioso, talmente potente che egli stesso crede di poter essere lo strumento di Dio per attuare la sua giustizia, mano a mano che la sua vendetta si compie. Ma Edmond è ancora vivo nelle profondità del conte, prova ancora amore, anche se non vuole ammetterlo, pietà per coloro sui quali la sua ira si abbatte implacabile, perché in fondo, è molto diverso da loro, ed il modo in cui vuole distruggerli uno ad uno, lo fa sentire allo stesso livello di questi ultimi, provocandogli non pochi rimorsi. Edmond rappresenta alla perfezione l’animo umano, che una barca malmessa buttata alla deriva da una tempesta di sentimenti. Siamo spettatori delle ansie di tutti i personaggi, che assumono ognuno la propria personalità ben distinta e definita, ne amiamo alcuni, ne odiamo altri, Dumas è molto bravo a renderne chiari i tratti. Inutile dire che la storia è affascinante, ed ogni pezzo del puzzle piano piano va ad incastrarsi alla perfezione.
E’ un libro che da tanto spunto di riflessione sui temi più svariati, l’amore, la vendetta, l’amicizia, l’onore, e ci fa vedere stampata su carta la mentalità, le usanze, le idee che si avevano in quel periodo storico, così lontano da noi non solo per il tempo che è passato.
Inutile dirlo, è un libro assolutamente da non perdere.
“Non v’è né felicità né infelicità a questo mondo, v’è la comparazione tra una condizione e l’altra, nulla più. Solo colui che ha conosciuto l’estrema sventura è in grado di provare l’estrema felicità. Bisogna aver desiderato morire, per sapere quanto sia bello vivere.”
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L’amaro sapore della vendetta
Non si può restare indifferenti di fronte a un romanzo che sembra incarnare lo spirito di rivincita di chi ha sempre subito. È uno di quei testi talmente ben congegnati che mi viene da definirlo il capostipite di tante fiction che con ormai con quotidianità ci vengono propinate dalle varie reti televisive.
La vicenda di Edmond Dantès, incarcerato ingiustamente e che, fatta la conoscenza con un vecchio prigioniero (l’abate Faria) riesce a evadere grazie a uno stratagemma, arricchendosi con un favoloso tesoro trovato sull’isola di Montecristo è già di per sé densa di accadimenti e di emozioni, ma se poi vi si aggiunge la vendetta perpetrata sotto falso nome (appunto conte di Montecristo) porta il lettore a uno stato di tensione del tutto particolare e rilevante. Ma l’abilità di Dumas non sta solo nella sua capacità di aver articolato una trama così ben congegnata, ma anche nell’attenta analisi psicologica dei protagonisti, una cura tale da rendere ben avvertibili le atmosfere. Scrivere però del solo conte di Montecristo sarebbe un errore imperdonabile, perché l’autore, affinché i lettori dell’epoca potessero comprendere appieno tutta la storia e si entusiasmassero quindi ad essa, fa rivestire altri panni a Edmond Dantés, e così abbiamo Lord Wilmore, un nobile inglese prodigo di buone azioni, Sinbad il marinaio che salverà la famiglia Morrel dalla bancarotta e infine l’abate Busoni, a cui ricorrerà per far valere la reverente autorità religiosa. Insomma, Edomond Dantes diventa un antesignano di Fregoli. In breve dico solo che il protagonista riuscirà a guadagnare la fiducia di quei nemici che l’avevano fatto incarcerare, distruggendo poco a poco le loro vite e le loro famiglie, senza che gli stessi arrivino a nutrire il benché minimo sospetto, almeno fino al colpo di scena finale.
Ma la vendetta lascia sempre con l’amaro in bocca e il vero valore dell’opera emerge quando Dantés si renderà conto che i quattordici anni trascorsi in galera e gli altri utilizzati per cercare di placare il suo odio sono irrimediabilmente trascorsi e che nessuno potrà più restituirglieli; preso atto di una sostanziale sconfitta perché la vendetta non può mai sanare quanto patito, subentrerà il desiderio di ritornare a essere l’onesto e semplice Edmond Dantes di prima della condanna e l’unica via con cui è attuabile è stravolgere quel fuoco che prima gli bruciava dentro e che ora già accenna a smorzarsi. Il rilevare d’essere sceso al livello dei suoi rivali, anzi addirittura anche più in basso è un risveglio della sua coscienza. Quindi, per poter tornare a vivere secondo la sua originaria personalità l’unica via percorribile è quella del perdono e della redenzione, ed è quello che farà.
E così si chiude un cerchio in cui vengono affrontati, secondo un ordine rigorosamente logico, temi basilari in un essere umano quali la giustizia, la vendetta, il perdono e la pietà.
Benché, per certi aspetti presenti le caratteristiche dei romanzi popolari dell’epoca, è proprio il modo con cui Dumas affronta queste tematiche che finiscono con il renderlo un’opera ancora attuale, facendolo rientrare nei grandi classici che non avvertono il trascorrere del tempo.
Mi pare ovvio che, per stile, per contenuti, per struttura, per svolgimento della vicenda stessa la lettura de Il conte di Montecristo sia sen’altro da raccomandare.
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C come Classico e Capolavoro
Classico.
Questa semplice e spesso usurata parola descrive un romanzo che ha saputo vincere la sfida del tempo, che continua a vendere copie, a stuzzicare la fantasia di migliaia di lettori, rimanendo, nonostante siano trascorsi anche secoli dalla sua pubblicazione, attuale, moderno e godibile.
Tutte queste caratteristiche appartengono appieno al "Conte di Montecristo", una delle più celebri opere di Dumas.
Edmond Dantès, marinaio di Marsiglia, all'apice della gioventù e del successo è assalito dall'invidia e gelosia di alcuni suoi compaesani e, accusato di un inesistente reato politico, viene imprigionato ingiustamente per 14 interminabili anni nel castello d'If.
Prima che le porte della cella si chiudano, Edmond , disperato, domanda " che sia imbastito un giusto processo" ed è dalla mancata risposta a questa doverosa e naturale richiesta che trova luce il motore delle oltre mille pagine del romanzo: la vendetta.
E' questo sentimento a far sopravvivere Dantès agli anni di prigionia e ad aiutarlo, miracolosamente evaso, ad abbattere uno ad uno, con caparbietà, sagacia e astuzia tutti coloro che hanno contribuito a distruggere la sua giovinezza e la sua vita.
Dantès, divenuto Conte di Montecristo, sceglie di applicare la sua personale Legge del Taglione, e gli esiti sono mirabili.
Dumas crea un racconto complesso in cui numerose trame e temi si intrecciano tra loro: la politica, la storia, il diritto, l'amore, l'avidità, la religione. Come tutti i grandi romanzieri egli da forma ad un coacervo di riflessioni, ora toccanti, ora comiche, sulla natura umana, creando un grande affresco della società del XIX ma , oserei dire, di ogni epoca.
Con occhio attento si indagano le convenzioni sociali, i rapporti fondati sull'opportunismo, così come gli sprazzi di affetto sincero e di onestà. La varietà della trama del romanzo è notevole, numerosi sono i livelli di lettura che è possibile trovare nel testo. Ci si può limitare a godere delle avvincenti avventure del Conte di Montecristo o si possono cogliere le infinite riflessioni di cui ogni dialogo, ogni azione si fa custode.
Io mi sono trovato molte volte ad ammirare la poesia di alcuni periodi o l'intelligenza di alcune frasi, cosa che, devo dire, accade piuttosto di rado con i romanzi contemporanei.
Il Conte di Montecristo non è certo una lettura facile, dato anche il volume delle pagine, ma una volta vinta la titubanza iniziale non potrà che meravigliare, anche solo se si vuole una lettura di intrattenimento.
Come ho detto, non è un caso se è divenuto un classico.
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Il mondo in un romanzo
Credo che questo sia un romanzo monumentale. Magari non è all'altezza di Tolstoj o altri grandi del suo secolo, questo non lo so, non sono un'esperta. Però in questo romanzo ho trovato una completezza che nessun altro romanzo mi ha trasmesso finora.
Qui c'è davvero tutto: emozioni in quantità e ogni genere di sentimento umano. Quella che spicca su tutte è la vendetta. Vediamo la meticolosità con cui Edmond costruisce la sua vendetta: la sua trama viene ordita cosi perfettamente che tutte le sue vittime (ma sarebbe meglio dire i suoi aguzzini) ci cascano senza rendersi conto di nulla di ciò che sta accadendo intorno a loro. Cadono nella tela del ragno uno dopo l'altro, senza nemmeno rendersene conto, innalzando a livelli celesti il genio di Edmond, che costruisce tutto questo.
Ma vediamo anche l'altra faccia della medaglia: ovvero ciò che anche la vendetta più perfetta non porta. Certo, vendicarsi di chi ti rovina la vita può essere soddisfacente, ma non porterà mai la felicità. Questo è il centro tematico che impregna ogni pagina di questo libro, a volte indirettamente, a volte tramite le riflessioni di diversi personaggi, fino ad arrivare al finale, in cui questo tema viene snocciolato apertamente, mostrando nei fatti cosa accade ai personaggi, Edmond in primis.
E poi ci sono tutte le altre emozioni e gli altri stati umani: ci sono l'amore, il desiderio, il potere, l'eterno conflitto tra ricchezza e povertà, la magnanimità, l'odio e via dicendo... tutte tematiche affrontate più o meno approfonditamente e potentemente da Dumas.
Meravigliose le ambientazioni del romanzo: dalla villa francese, al villaggio di inizio romanzo, fino al colosseo romano e alla fortezza della prigionia, Dumas riesce a rendere questi luoghi estremamente vividi nella mente del lettore, che li immagina e, soprattutto, li vede. Le ricchezze nell'isola di Montecristo non sono solo evocate o descritte, ma mostrate cosi vividamente che il lettore se le ritrova davanti agli occhi, dimenticando di star leggendo un libro.
Credo che sia un libro da non perdere, quando si entra nel tunnel del conte di Montecristo non se ne esce più, garantito!
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UN BELLISSIMO LIBRO
Mi sono lettermente bevuto le 1.200 pagine di questo libro in 15 giorni (.. o meglio notti) e l'ho trovato meraviglioso.
E il mio stupore è stato ancora più forte perchè non me lo aspettavo. Nel Conte di Montecristo c'è semplicemente tutto ... nelle 200 pagine di avventura pura, fino alla fuga del carcere e nelle 1000 nelle quali Edmond Dantes disegna, costruisce ed attua la sua vendetta.
Ci sono i luoghi minuziosamente descritti ,,,, Marsiglia (con il Castello d'If ... che voglia di andarlo a visitare!), la Roma ottocentesca, Parigi e, naturalmente, l'isola di Montecristo.
C'è la storia, con lo sfondo del conflitto tra realisti e bonapartisti.
E poi tutti, ma proprio tutti i sentimenti e le debolezze umane ... l'invidia e la voglia di potere, l'amore e la vendetta, la meschinità d'animo e la ricchezza, l'abbandono e la povertà, la rabbia e il perdono .... E per ogni parola che ho scritto c'è un personaggio nella mia mente ...
E poi scene di assoluta comicità, brani da vero romanzo poliziesco, l'hashish, i briganti, i contrabbandieri, le esecuzioni, i veleni, i suicidi, gli omicidi ... Non manca nulla.
Peccato solo per il finale, per quell'ultimo capitolo ... non mi è piaciuto. Ma questo è un problema mio....
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Edmond Dantès
Tra i romanzi più conosciuti di Dumas, "Il conte di Montecristo" è un capolavoro assoluto.
Vendetta, perdono, misericordia, intrigo, amore...si mescolano in un libro carico di situazioni e colpi di scena che corrono rapidi tra le pagine.
La trama è un capolavoro per struttura ed intreccio. I personaggi si mescolano in situazioni coinvolgenti e la vendetta di Edmond cade a valanga lungo i capitoli sopra i suoi aguzzini. Comunque è un'opera di Dumas e, come le precedenti, mi ha stregato ed emozionato!
I personaggi sono, non dico tanti, ma abbastanza vista la struttura del libro. Non ve li citerò tutti ma sappiate che Dumas li presenta tutti e come il nostro eroe, Dantès, imparete ad amarli o ad odiarli. In questo senso grande è stato il lavoro dello scrittore.
Non si può non citare il protagonista però, il camaleontico Edmond che tradito sembra perduto per poi innalzarsi a Provvidenza. Un conte stravagante ed uno scienziato capace. Un samaritano e un vendicatore. Ah vi sentirete parte di Edmond e Dumas ci farà conoscere appieno l'animo del personaggio cosicché entrete nell'intreccio di quest'opera come giudici per Edmond che si eleva a Provvidenza ed a vendetta.
Lo stile è ottimo, il libro è scorrevole e non ci sono parti pesanti o spiegazioni noiose; anche perchè la trama è così ricca di eventi che non serviva proprio all'autore dilungarsi su argomento secondari.
Il conclusione un romanzo imperdibile, tal taglio moderno e dai contenuti forti ed entusiasmanti.
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La madre delle fiction intriganti!
Premetto che è un libro che non ha bisogno di presentazioni, commenti o recensioni per spulciare cose o pensieri che ormai non sono stati detti da secoli. Il mio è un appunto per confermare che il piacere della lettura ha bisogno di essere rinnovato, stimolato e questa avventura epica per me è stata appagante e riconciliante.
Grazie Dumas!
E' una delle più belle storie mai raccontate, "Si ama sempre ciò che nuoce."
Edmondo Dantes è l'uomo che è facile amare ed è difficile odiare, incarna quello che in fondo noi vogliamo, la perfezione.
"Mi dovevo svellere il cuore il giorno in cui decisi di vendicarmi!"
"Non vi è né felicità né infelicità a questo mondo, è soltanto il paragone di uno stato ad un altro, ecco tutto!"
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Monsieur le Comte
Camaleontico, bizzarramente e verosimilmente camaleontico; un romanzo d'avventura nato dalla penna di un maestro, un romanzo capace di coinvolgere ogni singola emozione. E' bastato questo a Dumas perché m'innamorassi di lui. A lettura compiuta posso tranquillamente inserire il conte di Montecristo tra i miei romanzi preferiti.
Marsiglia, 1815: Edmond Dantès, secondo della nave Pharaon, potrebbe diventare presto capitano della stessa, in quanto abilissimo marinaio.
Ma una tale bravura e tanta onestà umana non possono far altro che suscitare invidie e risentimenti; così Dantès, innocente e ingenuo, si ritroverà fra le insidie della (in)giustizia francese, e sarà costretto in prigione per tanti anni della sua vita, finché Dio non gli ridarà la libertà e gli concederà vendetta.
Parto dal dire che lo stile di scrittura di Alexandre Dumas è uno dei migliori che io abbia mai incontrato: lineare, chiaro, né troppo sintetico né prolisso, dialogato quanto basta e senza una virgola fuori posto; il lessico non è eccessivamente impegnativo né scontato,la lettura non cade mai in banalità o in appendici inutili. Ora, se ha questo stile perfetto aggiungiamo una dose di esilerante avventura, di oscuri intrighi e una casta vena romantica, si può immaginare quale capolavoro possa venirne fuori.
Ho potuto apprezzare ogni singola vicenda, ogni disparato sentimento, ogni vario paesaggio, perché le descrizioni che l'autore ci fornisce riguardo ogni singolo avvenimento sono precise, dettagliate e facili da comprendere; i personaggi sono vividi, pieni d'umanità e d'istinti, protagonisti indiscussi del romanzo, e questo non solo per quanto riguarda il celebre conte, ma anche per i suoi affetti, i suoi antagonisti e gli altri personaggi secondari.
Le ambientazioni delle vicende sono davvero realistiche, un punto enorme a favore dell'autore che dimostra così anche di conoscere in modo eccellente i luoghi che non appartengono alla sua patria (i benefici del viaggiare molto) ma di cui conosce usi e costumi. Così, in un romanzo che doveva presentarsi in uno sfondo prettamente francese, ritroviamo la bella Roma italiana, cibi orientali e tanti altri luoghi descritti con perizia e affidabilità.
Non saprei davvero cosa chiedere di più ad un libro.
Ciò che ho potuto scrivere non è che la minima considerazione riguardo ai meriti di questo testo; ad ultimo, aggiungo soltanto che Il Conte di montecristo, con la sua dolcezza, la sua bontà, ma anche con il suo cuore duro e con le sue fredde ricchezze, mi ha estremamente commosso, adirato, fatto battere il cuore e tenuta col fiato sospeso fino alla fine.
E se non l'avete fatto, questo è il mio unico consiglio: leggetelo, leggetelo, leggetelo!
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Il romanzo della mia vita
Il conte di Montecristo, di Dumas, è senza dubbio il libro più bello che abbia mai letto. La storia di Edmond Dantes è un viaggio nei sentimenti più contrastanti dell'uomo. C'è tutto in questo romanzo: l'amore, la gelosia, la felicità, l'odio, il desiderio di vendetta, la furbizia, l'avidità, la passione, la sofferenza, il rancore, l'intelligenza, il perdono, la fede. Dumas è capace di dar vita a figure destinate a rimanere nella storia della letteratura (l'abate Faria tanto ad es.). I personaggi, infatti, vengono tratteggiati in modo preciso e diventano familiari al lettore. La storia è ricca di colpi di scena e il finale è originale.
Lo stile narrativo di Dumas è perfetto, merito anche di un ottima traduzione. La storia non perde ma d'intensità e una volta iniziata la lettura si fa fatica a chiudere il libro.
Un classico da leggere a tutti i costi.
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Un capolavoro!
Quando la bibliotecaria mi ha detto “le ho comprato il Conte di Montecristo” sono stata veramente contenta, però quando ho visto la “mole” del libro il mio entusiasmo si è spento, quasi 1300 pagine per un classico, libri che io generalmente non leggo. L’ho quindi iniziato con poca convinzione di riuscire ad arrivare alla fine , ma mi sbagliavo, è un libro che ti cattura subito e non riesci più a mollare, mi ero ripromessa di leggerlo solo alla sera e di non portarlo in spiaggia ma non ci sono proprio riuscita.
Sulla trama non mi soffermo, credo sia nota a tutti, Edmond Dantès giovane marinaio viene ingiustamente rinchiuso in carcere con l’accusa di bonapartismo, grazie a un complotto di alcuni uomini che lui reputava amici, una volta evaso dal carcere si dedicherà anima e corpo alla sua inesorabile vendetta.
Il libro è lento, ma del resto è un libro da assaporare pagina dopo pagina , ho a volte trovato la lettura un po’ tediosa, non a causa del linguaggio, che ho trovato moderno, ma a causa dei molteplici personaggi che popolano questo romanzo,conti, contesse, baroni…. c’è veramente molto affollamento e in alcuni casi sono dovuta andare a cercare quella o quel personaggio nei capitoli precedenti per cercare di ricordarmi chi fosse o cosa avesse fatto, ma questo probabilmente perché ne ho letto gran parte in spiaggia ed è difficile concentrarsi.
Ho letto molti libri ma non ho mai trovato un protagonista così interessante come Edmond Dantès, un uomo dalle molteplici sfaccettature. Quando entra in carcere è un ragazzino ancora pieno di speranze e fiducia nel prossimo, povero di cultura ma ricco di amore per la famiglia e la sua vita, e soprattutto privo di cattiveria e malizia, ne uscirà un uomo completamente diverso, ricco , infinitamente ricco, disincantato dalla vita, un uomo dai modi raffinati ,coltissimo, e assetato di vendetta per tutto quello che gli è stato tolto in quei terribili anni di prigionia. La trama della sua vendetta è tessuta con filo finissimo, invisibile,soprattutto agli occhi delle sue vittime, nulla è lasciato al caso, ogni azione o discorso del Conte hanno uno scopo, capita di leggere dei capitoli e non capire il perché di certe cose che succedono, ma ecco che appena qualche capitolo dopo tutto assume un significato.
Il testo è veramente ricco di dialoghi diretti, e questo secondo agevola la lettura ,teniamo conto che è un romanzo del 1844, ho trovato anche curioso il modo in cui l’autore ci fa dei brevi riassunti all’inizio di certi capitoli, come se durante la stesura del libro avesse immaginato che ci saremmo persi in alcuni punti .
Bellissimo libro che non si può fare a meno di consigliare, una lettura edificante che regala molte emozioni.
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Fantastico
Parto col dire che, per gusti personali, non sono un grandissimo appassionato dei "classici", ho provato a leggere diverse opere del passato e molte le ho trovate in qualche modo noiose, anche se spesso il tessuto narrativo era ben fatto.
Non è il caso di quest'opera, che è davvero un capolavoro. La dimensione del libro può spaventare (sono più di novecento pagine), e, conseguentemente, anche la mole di tempo che è richiesta per leggerlo (ho impiegato circa un mese per terminarlo), ma trovo che ne sia valsa veramente la pena; perchè la storia è avvincente, capace sempre di incuriosire il lettore su cosa accadrà nelle pagine successive; i personaggi affascinanti e variopinti, con il conte di Montecristo unico nel suo genere; lo stile, sebbene il romanzo risalga a più di centocinquanta anni fa, scorrevole e pulito (con i limiti che può avere un libro scritto così tanto tempo fa). Inoltre un finale memorabile, con le ultime 200 pagine che non lasciano davvero nulla di incompiuto, ma danno un senso pieno a tutti gli eventi avvenuti nella parte precedente del libro.
Da sottolineare la meravigliosa trasformazione di Edmondo Dantes, giovane innocente nella prima parte del libro che diventa quasi una sorta di "divinità manipolatrice" per gli altri personaggi principali nella parte centrale, fino a ritornare umano nella parte finale del libro.
Se si vuole trovare un piccolo neo a quest'opera è forse l'eccessiva presenza di parti in cui si parti in si parla di speculazioni economiche, crediti, rendite e affini, che ho trovato scarsamente interessanti all'interno della storia; poca cosa comunque all'interno di un simile capolavoro!
Bravo Alexandre Dumas, uno capace di inserire all'interno del suo romanzo nozioni di medicina, scienze naturali, storia, geografia, letteratura, nonchè di citare giganti come Dante e Shakespeare!!
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Vendicarsi con ferocia...
Storia indimenticabile di altri tempi...ma attuale per il contenuto, perchè chi non ha mai conosciuto il tradimento e la cattiveria degli pseudo-amici? Io stessa ne ho avuto amare esperienze.
Ovviamente qui la vicenda è amplificata: un marinaio viene imprigionato il giorno delle nozze, imprigionato a Marsiglia ed accusato di crimini non commessi da tre falsi amici, vi rimane confinato per 14 anni.
Riuscito a fuggire con uno strattagemma, tornerà con un altro nome e diventato ricco, inizierà a saldare i conti con i suoi persecutori. La sua vendetta sarà terribile, ma proporzionata alle ingiustizie e angherie subite.
Indimenticabile lo sceneggiato televisivo con Andrea Giordana del 1966, perfettamente attinente al libro...
Per le situazioni avventurose, per la morale della vicenda e per il suo finale che rappresenta la rinascita di un uomo colpito dalla sventura, consiglio questo libro a tutti, ma in particolare ai lettori amanti dei classici.
Consigliato.
Saluti.
Ginseng666
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Il Conte di Montecristo
Opera che il grande Dumas terminò di scrivere nel 1844, in cui si narrano le vicende del marinaio Edmond Dantès, ambientate in un arco temporale che va dal 1815 e il 1838.
Io lo definerei un testo precursore del genere giallo e della suspance, perchè pagina dopo pagina i colpi di scena e gli accadimenti incollano il lettore al racconto.
Se per un verso è la storia incredibile della cattiveria umana, dell'immoralità, dell'ingordigia, dall'altro lo è della rabbia, di una vendetta, della morte e rinascita di un uomo.
E' un romanzo intriso di sentimenti e stati d'animo profondi che caratterizzano così finemente i personaggi da renderli vivi e palpitanti davanti al lettore.
Mi ha commosso profondamente, sia per la vicenda narrata sia per il pathos.
Per quanto concerne la lingua e lo stile adottato dall'autore, sono straordinariamente moderni; romanzo strutturato prevalentemente sul dialogo diretto tra i personaggi, con pochissimi excursus descrittivi, così da consentirne una lettura rapida e avvincente, mai noiosa.
In conclusione è un testo stupendo che consiglio a tutti.
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La vendetta è un piatto che va servito freddo
Si tratta senza ombra di dubbio di uno dei capolavori assoluti della letteratura. Un romanzo che non può non essere letto.
Il giovane Edmond Dantes si sta per sposare con una ragazza di cui è innamoratissimo, sta per diventare capitano di vascello, insomma la vita gli sorride. O almeno così sembra. Purtroppo per lui falsi amici e finti confidenti trameranno una congiura, nata quasi per scherzo e finita in tragedia, facendolo accusare di cospirazione e relegandolo a scontare l'ergastolo in prigione su un'isola. E' da qui che nasce il suo spirito di vendetta, che una volta evaso lo porterà a tessere una trama astuta e tremendamente cinica per ritrovare tutti i responsabili delle sue sofferenze e ripagarli della stessa moneta.
Una storia avvincente, ricchissima di personaggi affascianti(soprattutti quelli "interpretati" da Edmond stesso), che solo apparentemente è priva di qualsiasi sentimento di pietà.
Non fatevi spaventare dalla mole, la lettura scorre via che è una meraviglia!!!
Uno dei più bei libri che abbia mai letto.
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