I Buddenbrook I Buddenbrook

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Emilio Berra  TO Opinione inserita da Emilio Berra TO    11 Marzo, 2023
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Borghesia in declino

Libro splendido scritto da T. Mann appena venticinquenne, praticamente un ragazzo già dotato di un talento sbalorditivo, considerate la bellezza e la profondità di scrittura evidentissime.

E' la storia, in tre generazioni, di una famiglia di commercianti di Lubecca, città borghese dell'autore stesso. Vari aspetti d'altronde rendono questo romanzo particolarmente immerso nell'humus autobiografico.
Il tema dominante del contrastato rapporto fra mentalità borghese e spirito artistico è assai ricorrente nelle opere del grande scrittore. Certo non casualmente.

La grande agiatezza conduce questa famiglia ad uno stile brillante e sontuoso. Ma ciò che contraddistingue la vecchia generazione è una certa 'innocenza' che le consente di sentirsi in armonia fra attività commerciale ed etica borghese.
Non sarà più così per quella successiva, di più raffinata formazione, nel destreggiarsi tra interessi capitalistici e il bell'ornamento della cultura.
Nell'ultima generazione infine, quando arte e vita tenderanno a coincidere, allora dimensione artistica e attività borghese come potranno essere conciliabili?

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Valerio91 Opinione inserita da Valerio91    02 Settembre, 2021
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Passione vs. Ragione

Considerato uno dei più grandi romanzi del Novecento tedesco (e probabilmente di tutta la relativa letteratura), “I Buddenbrook” è un romanzo che volevo leggere da tantissimo tempo ma che ho affrontato solo di recente, nella preparazione del primo esame di letteratura tedesca.
Che dire, è un romanzo che risponde propriamente ai canoni naturalisti: carico di dettagli, che descrive ambienti e personaggi nei minimi dettagli, mettendone soprattutto in risalto determinate peculiarità che aiuteranno a identificarli e rappresenteranno un leitmotiv, in pieno stile wagneriano. Questa profusione di dettagli, a volte, può rendere la lettura meno scorrevole, più lenta, sebbene di una lentezza diversa rispetto a quella riscontrata per esempio ne “La morte a Venezia”, in cui la lentezza è dovuta a un’elevata complessità e al ricorrente simbolismo. Qui la realtà è descritta nei minimi dettagli, con assoluta precisione e concretezza, e questo mi ha portato a pensare a come Thomas Mann sia un autore stilisticamente molto versatile, sebbene tra me e lui non sia ancora scoccata la scintilla.
Parlando dei Buddenbrook in particolare, è un romanzo che si focalizza sulla decadenza di questa famiglia alto-borghese: una decadenza del tutto incentrata su motivazioni psicologiche: la decadenza dei Buddenbrook sta infatti nella “decadenza psicologica” delle generazioni che si susseguiranno (ben quattro). Centrale è infatti il contrasto tra passione e ragione, che molto deve alla contrapposizione apollineo-dionisiaca di Nietzsche. I discendenti del nonno Johann Buddenbrook - di stampo umanista e illuminista, uomo che incarna il perfetto equilibrio psicologico che tiene in piedi le sorti della famiglia - sono personaggi che cominciano a mostrare inclinazioni che non riescono a mantenersi equidistanti tra gli eccessi di razionalità (rappresentati da Thomas) e irrazionalità (Christian) e dunque generano una serie di eventi che porteranno la ditta familiare a una graduale decadenza, che praticamente coinciderà con la fine vera e propria della famiglia. Molto interessante è considerare come a questo decadimento sociale corrisponda perfettamente il decadimento psicologico dei protagonisti, in un senso o nell’altro.
Tuttavia, se devo esprimere un parere del tutto personale, è un romanzo che non è riuscito a farmi innamorare di Thomas Mann e molto probabilmente mi ha permesso di apprezzarlo un pochino in più solo per mezzo dell’analisi necessaria allo svolgimento dell’esame. Potrebbe anche essere vero il contrario, ovvero che una lettura più spensierata e slegata dallo studio mi avrebbe fornito una maggiore soddisfazione, ma il fatto che io ne abbia apprezzato più l’analisi letteraria credo sia piuttosto indicativo. C’è da aggiungere che i romanzi familiari non sono i miei preferiti e che quindi il tutto è un po’ inquinato dalle mie preferenze letterarie, che nulla tolgono al grande valore dell’opera né alla mia volontà d’approfondire l’autore.
“La montagna incantata” e “Tonio Kröger” sono già lì che mi aspettano.

“Ho tanto pregustato queste gioie, ma come sempre, l’immaginarsele è stata la parte migliore, perché il bene arriva sempre troppo tardi, diventa realtà troppo tardi, quando non si è più capaci di goderne.”

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La Lettrice Raffinata Opinione inserita da La Lettrice Raffinata    27 Giugno, 2020
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Piccione e pane bianco per tutti!

"I Buddenbrook" è un romanzo familiare incentrato su una dinastia di commercianti borghesi di Lubecca, città natale dello stesso Mann, dei quali seguiamo i momenti di maggiore gioia come anche i rovesci di fortuna, nel corso di quattro generazioni.
Pur mettendo al centro delle vicende l'intera famiglia, la storia è maggiormente focalizzata sui due figli maggiori del console Buddenbrook, la volubile Antonie "Tony" e il pragmatico Thomas, nonché sull'unico figlio di quest'ultimo, il cagionevole Johann "Hanno". Si tratta di tre personaggi dalla caratterizzazione ben distinta, dei quali il lettore percepisce chiaramente la crescita personale, sia dal tono adottato nei dialoghi sia nel modo di affrontare le situazioni con l'avanzare della storia.
La trama è praticamente inesistente, trattandosi appunto di una saga familiare dove gli eventi più importanti sono dati da nascite, morti e matrimoni, ma anche il lato economico gioca un ruolo chiave nella narrazione, soprattutto per merito dell'attività svolta dai Buddenbrook stessi. La loro natura di commercianti viene continuamente evidenziata nel romanzo, con battute farcite di riferimenti al denaro e al valore di immobili o di altri beni; un mondo dove la paura maggiore non è il lutto, ma qualcosa di ben più terreno.

«[...] "bancarotta"... era più atroce della morte, significava disordine, sfacelo, rovina, onta, vergogna, disperazione, miseria...»

Da notare come le influenze economiche vadano ad estendersi ad ogni aspetto della vita di questa famiglia, composta anche da alcuni oculati risparmiatori che potrebbero far scuola ad Ebenezer Scrooge stesso. Le relazioni sentimentali diventano quindi qualcosa da stabilire sulla base del puro vantaggio economico, cercando di trattare sulla cifra da corrispondere per la dote di una figlia o di sposare il membro di una famiglia di rango elevato.

«"Sì, sì, sì, ma tanto è lo stesso. Quello che conta è il guadagno. E per quanto riguarda il fidanzamento, è un affare ineccepibile. Julchen diventerà una Möllendorpf e August avrà una bella posizione..."»

Questa vera e propria venerazione del denaro sarà uno dei fattori chiave per attivare la catena di eventi negativi che, come suggerito dal sottotitolo dell'opera, poteranno in pochi decenni alla scomparsa della famiglia. Altro elemento chiave è la considerazione che i Buddenbrook hanno della loro dinastia, parte di un'alta borghesia che guarda con un misto di invidia e desiderio alla vecchia nobiltà; lo vediamo molto bene dalle riflessioni di Tony,

«Pur non rendendosene conto, era convinta che ogni peculiarità del carattere, [...], facesse parte dell'eredità, fosse una tradizione di famiglia e di conseguenza una cosa da venerare, a cui portare in ogni caso rispetto.»

che considera le proprietà immobiliari alla stregua di tradizioni familiari, e come tali qualcosa da preservare rispetto alle influenze esterne.
Questo ruolo semi-nobiliare dei Buddenbrook si scontra con due realtà vicine ma molti diverse; in primis con la classe dei piccoli borghesi, i nuovi arricchiti, che vengono idealmente incarnati dalla famiglia Hagenström. Ciò si palesa sin dai primi capitoli, ma giunge alla sua massima espressione nella scena dell'elezione del nuovo senatore -quando Thomas viene eletto per meriti non solo suoi-

«Il prestigio di Thomas Buddenbrook era di altro genere. Egli non era solamente se stesso; in lui venivano parimenti onorate le indimenticate personalità del padre, del nonno, del bisnonno [...] egli era il depositario di una fama cittadina secolare.»

e nel momento della vendita della vecchia casa nella Mengstraße, che per una crudele ironia passa proprio alla famiglia rivale e diventa per la terza volta il simbolo del benessere acquisito, in questo caso dagli Hagenström.
Ben più netto, seppur meno accentuato, è il contrasto con le classi più umili che trovano voce nelle parole ispirate e fin troppo idealistiche di Morten Schwarzkopf:

«"Noi, i borghesi, il terzo stato, come ci hanno chiamati finora, vogliamo che esista soltanto un'aristocrazia del merito, noi non riconosciamo più la nobiltà nullafacente, noi respingiamo l'attuale ordinamento dei ceti sociali... [...]."»

Questo è solo uno dei molti riferimenti storici presenti nel testo. Durante i cinquant'anni coperti dalla narrazione possiamo vedere eventi epocali, come la Rivoluzione del 1848 o le guerre della Prussia contro l'Impero Austriaco prima e la Francia di Napoleone III poi.
Pur apprezzando la storia nel suo complesso, specialmente per i personaggi estremamente realistici nei loro difetti umani, ho riscontrato alcuni tratti stilistici discutibili, forse causati dalla relativa inesperienza dell'autore. Mi ha infastidito la presenza di tanti personaggi secondari, a volte poco più di comparse: per ognuno di loro Mann spende righe su righe nelle descrizioni per poi farli sparire dalla storia; questo aspetto è ridicolo soprattutto nella parte finale quando impiega oltre una pagina per introdurre il professor Mantelsack quando è evidente che -dopo quella scena- non lo vedremo più.
Negativo anche l'inserimento di lunghe subordinate ad interrompere le frasi principali,

«[...] ci si procura nella moglie del principale una sostenitrice nel caso, da evitare con ogni sforzo, ma pur sempre possibile che si verificasse un errore sul lavoro oppure che la soddisfazione del principale per questa o quella ragione non fosse completa.»

che riprendono solo cinque righe di testo dopo, facendo perdere al lettore il filo logico di quanto sta leggendo. Un elemento molto positivo è invece l'edizione Mondadori che, pur avendo un prezzo abbastanza alto, presenta un'ottima qualità nel flessibile ed una traduzione recente e accurata.


NB: Libro letto nell'edizione Mondadori

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ferrucciodemagistris Opinione inserita da ferrucciodemagistris    17 Giugno, 2019
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Decadenza e pessimismo

Un poderoso e profondo romanzo scritto, a soli ventisei anni, da colui che è poi diventato pilastro portante per la letteratura del novecento tedesca e internazionale.

Ambientato a Lubecca, città anseatica tedesca, tra il 1835 e il 1877, descrive dell’ascesa e del declino di una agiata famiglia di commercianti di cereali appartenenti all’alta borghesia locale attraverso quattro generazioni.

L’impianto del romanzo è tipico dell’ottocento comprensivo del quadro storico correlato ma che influenza solo in maniera marginale l’ambiente familiare.

Con uno stile appropriato e complesso, si narrano tutti gli accadimenti e le vicissitudini di tanti personaggi che fanno da cornice ai protagonisti principali che si identificano con Thomas (Tom) Buddenbrook, appartenente alla terza generazione insieme alla sorella Antonie (Tony).

La narrazione è particolareggiata e va a fondo delle variegate psicologie dei personaggi mettendo in luce le diverse visioni di pensiero e gli atteggiamenti individuali in relazione a scelte indirizzate a salvaguardare la ditta di famiglia. Il virtuosismo, il rancore, il senso di superiorità, il pessimismo, l’onorabilità sono sentimenti che si intrecciano e convivono insieme a forme di rilassatezza e desideri di cambiamenti sostanziali di vita.

Una nota che mi ha colpito è l’interessamento da parte di Tom verso il pensiero di Schopenhauer, al fine di dare risposta ai suoi dubbi sul’insicurezza e alla visione pessimistica del futuro.

Come già scritto, il romanzo è molto dettagliato, le descrizioni sono profonde e accuratamente articolate; le molteplici forme caratteriali forniscono una visione d’insieme dell’albero genealogico dalle attività del capostipite iniziate nel 1835 fino alla decadenza per l’ultima generazione nel 1877.

Un romanzo corposo ma utile e anche affascinante negli aspetti dei rapporti interpersonali.

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CRISTIANO RIBICHESU Opinione inserita da CRISTIANO RIBICHESU    09 Aprile, 2019
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faticoso ma necessario

Parentesi classica che mi concedo periodicamente. Questo romanzo a forte carattere autobiografico, fu il primo grande successo letterario, scritto nel 1901, all’età di 26 anni, da un autore considerato in seguito tra i maggiori di sempre nella letteratura mondiale.
Il sottotitolo “Decadenza di una famiglia” fa presupporre, a ragione, che si tratti di una saga famigliare. Il periodo storico va dalla prima metà dell’ottocento fin quasi al termine del secolo. L’ambientazione è nel nord della Germania, una nazione dai confini geopolitici differenti rispetto al presente, tanto da far considerare stranieri gli abitanti di Monaco di Baviera ancor più dei residenti a Copenaghen. Più precisamente ci si trova a Lubecca, cittadina in prossimità del Mar Baltico, in cui nacque l’autore nel 1875.
Lasciando a margine il riassunto di una trama che non ha nulla di sconvolgente poiché sono narrate le vite dei membri di un’importante e rispettata famiglia di commercianti, generazione dopo generazione, evidenziando l’influenza esercitata sulla comunità cittadina e le funzioni sociali svolte con zelo e abnegazione, ritengo sia utile soffermarsi sull’eventualità della presenza di un latente messaggio che l’autore ha voluto far giungere al suo pubblico di lettori.
Che la decadenza sia economica è evidente, ma ancor più manifesta è l’incapacità di adattarsi al progredire di nuovi ideali e stili di vita. La rispettabilità della famiglia, la continua attenzione alla custodia delle apparenze, l’imprescindibile ereditarietà nella gestione dell’azienda famigliare, il dare importanza unicamente agli aspetti materiali della propria esistenza, fin quando non intervenga il tarlo di una fine imminente che riattiva la fede e le speranze più mistiche, sono narrati con senso critico e a volte ironico.
La lettura è alquanto ostica a causa dello stile ampiamente descrittivo, tipico dell’epoca, che possono giudicare soporifero coloro che amano i colpi di scena e trame comunque più avvincenti.
Personalmente ho trovato deliziosi alcuni capitoli, in particolare quello in cui si narra della morte della nonna Elisabeth e di come vive quel triste evento il nipote. Sconsiglio invece di approcciare altre parti del romanzo in ore serali, dopo una pesante giornata di lavoro, con l’unico supporto di una flebile luce.

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kafka62 Opinione inserita da kafka62    21 Gennaio, 2019
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DECADENZA DI UNA FAMIGLIA ALTOBORGHESE

“I Buddenbrook” si situa, anche cronologicamente (è stato pubblicato nel 1901), nello spartiacque tra il classico romanzo ottocentesco e il moderno romanzo del Novecento. La saga della famiglia Buddenbrook, raccontata nell’arco di quattro generazioni (dal 1835 al 1877), non ha ancora quella forza allegorica che caratterizzerà più avanti “La montagna incantata”, eppure non c’è dubbio che, seppur muovendosi entro stilemi narrativi consolidati (ampie e dettagliate descrizioni di personaggi e ambienti, rigoroso punto di vista dell’autore, narrazione cronologica degli eventi, dei quali sono privilegiati quelli più rilevanti come nascite, morti e matrimoni), esso lascia intravedere alcuni piccoli, quasi indistinti eppure inequivocabili segnali di crisi e di inquietudine di un mondo destinato a tramontare di lì a pochi anni. Già la scelta di iniziare il romanzo con l’inaugurazione della prestigiosa abitazione nella Mengstrasse non è casuale. La famiglia Buddenbrook è ritratta all’apice della sua fortuna, nel momento di massimo splendore, ed è inevitabile che, sia pure tra alti e bassi (tra i primi, la fortuna politica di Thomas, che fa da parziale contrappeso alle disavventure matrimoniali di Antonie e al fallimento esistenziale di Christian), la sua storia descriva una parabola di lento, impercettibile ma inesorabile declino. In questo itinerario, il mondo dei Buddenbrook è descritto come un gigantesco Monopoli, dove doti coniugali, quote ereditarie e matrimoni di interesse informano le strategie dei personaggi-giocatori e dove ogni nuova generazione è un tiro di dadi che può aumentare o al contrario scompaginare la fortuna accumulata, la quale si sostanzia in case che si costruiscono o che al contrario passano di mano, per segnare, in quanto segni esteriori ma necessari di prestigio sociale, la vittoria e la sconfitta. In questo gioco ci vuole tanta testa e poco cuore, tanto rigore, ragionevolezza e decoro e poca istintività e passione: questa è l’alta borghesia mercantile descritta da Mann, ossessionata dalla sopravvivenza in un mondo spietato, in cui darwinianamente vanno avanti solo i migliori e in cui arte, amore e religiosità rappresentano piuttosto degli ostacoli e degli impacci che dei valori positivi. In questo senso, la caduta dei Buddenbrook può essere spiegata, anziché da cause esteriori, dalle predisposizioni spirituali dei suoi componenti maschili: se il vecchio Johann è un granitico uomo d’affari che non si lascia mai tentare da nulla che non siano i doveri imposti dal suo commercio e dalla vita pubblica, suo nipote Thomas soffoca fin da giovane (e con tardivo rimpianto) le sue inclinazioni meno prosaiche per diventare il logico erede della Ditta, mentre l’ultimo nato, Hanno, è la dimostrazione che una sensibilità esageratamente acuta (come quella di un artista) è incompatibile con il successo nella vita sociale, oltre che – come sempre in Mann – con la vita stessa. A un livello più generale, quello della società nel suo complesso, a una maggiore raffinatezza estetica e intellettuale, non supportata da adeguati valori etici e – soprattutto - dalla incondizionata fiducia nel proprio futuro, corrisponde – sembra dire lo scrittore – un’ineluttabile resa dei conti con la Storia (così è stato, per fare due soli esempi, per la Roma antica e per l’Impero austro-ungarico).
La ragione dell’interesse de “I Buddenbrook” non è difficile da trovare: più che da motivi psicologici (che sono marginali, perché i personaggi non evolvono praticamente mai e fin dal loro apparire si presentano con i tratti i quali, con minime varianti, li accompagneranno per tutta la vita) il romanzo trae il suo senso profondo e la sua morale dal lento lavorio della vita che, come il mare forma nel tempo nuove spiagge e ne distrugge altre, così, con la stessa imperturbabilità e la stessa indifferenza, innalza agli altari o getta nella polvere i suoi protagonisti. Protagonisti che Mann riesce, con la sua impareggiabile perizia letteraria, a rendere figure indimenticabili, da Elizabeth Kroger, che chiude gli occhi di fronte a qualsiasi contrattempo e lo allontana con un elegante “assez”; a Christian, l’irregolare della famiglia, il viveur dal fragile equilibrio nervoso e dalla debole volontà; giù giù fino ai personaggi minori - quali Klothilde, Sesemi Weichbrodt e le Buddenbrook della Via Larga - la cui persistenza negli anni dei rispettivi caratteri, assume quasi una connotazione caricaturale. Su tutti spiccano ovviamente Thomas e Antonie. Il primo, autorevole e oculato difensore del nome della famiglia, nasconde dietro la sua infaticabile attività e il suo rigido senso del dovere una mancanza di veri e propri interessi e una aridità dello spirito che col tempo lo consumeranno come una malattia. Egli, pur apparentemente così sicuro di sé, è sempre cosciente della situazione in cui versa la famiglia, e quando cita il proverbio turco “Quando la casa è finita, arriva la morte” prefigura pessimisticamente (così come aveva già fatto inconsciamente il piccolo Hanno quando “profana” il prezioso libro di famiglia) l’estinzione della casata. Ma è Antonie, la sventurata Tony, il personaggio più toccante del romanzo: una ragazza viziata, orgogliosa e infantile, che però, infantilmente, riesce a sopportare le più crudeli avversità della sorte e che un provvidenziale pianto consolatore di fronte a ogni tragedia familiare sa rimettere in carreggiata per continuare a portare a testa alta (perché “non bisogna dimenticare che il nonno andava in giro con un tiro a quattro”), anche quando è ormai rimasta tristemente sola, l’onore della famiglia.

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"Il Gattopardo" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa
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siti Opinione inserita da siti    14 Settembre, 2016
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IL GIOVANE MANN

Il romanzo , corposo, ancorato ai moduli narrativi tipici della prosa ottocentesca , caratterizzato da un registro stilistico elevato, è anche una godibilissima opera da leggere con vivo trasporto. Scritto a soli 25 anni diede grande fama all’autore e gli permise di rappresentare, attraverso la decadenza di una dinastia di Lubecca, il conflitto vissuto in prima persona quando ruppe con gli schemi borghesi della sua ricca famiglia di commercianti abbandonando gli studi per dedicarsi esclusivamente all’attività letteraria.
La narrazione segue le alterne vicende della famiglia Buddenbrook incentrandosi prevalentemente sul destino della piccola Antoine e dei suoi due fratelli Thomas e Christian. Abile l’autore a farci affezionare ai tre, seppur così diversi, a farci vivere il loro modo di leggere la transizione da un’epoca all’altra o l’incapacità di farlo. Suscita immediata tenerezza Tony/ Antoine, costretta alla politica matrimoniale di rango e totalmente asservita ad essa, lei rigidamente impostata sul blasone che non può scolorire, sull’incedere a testa alta per preservare il buon nome della sua famiglia. È ammirevole l’abnegazione di Thomas che si scontra col mutare dei tempi e con i solidi modelli del nonno e del padre ormai poco opportuni. È comprensibile il disorientamento del fragile Christian e la sua naturale dissipatezza.
I vecchi muoiono, i giovani soccombono. Triste romanzo, lucido, sapientemente descrittivo, anticipatore di temi cari al grande autore tedesco: il crollo del mito borghese, lo scontro fra ideale e reale, i grandi interessi culturali (in questo caso la fa da padrona la musica nella parte finale), l’amore omosessuale, la decadenza, i dilemmi dello spirito. Opera da leggere , ha il pregio di tenere vivo l’interesse del lettore fino all’ultima pagina stampando nella memoria di lettura scenari, ambientazioni, tipi umani difficilmente dimenticabili. Invoglia anche ad una visita alla città di Lubecca, nota per la conservazione del suo centro storico medievale, e alla casa natale dell’autore, aperta al pubblico e ispiratrice delle splendide descrizioni dell’opera.

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FrancescoMirone Opinione inserita da FrancescoMirone    11 Settembre, 2015
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Apogeo e decadenza

Il romanzo narra la storia dei Buddenbrook,una famiglia di commercianti,attraverso cinque generazioni.Lo scrittore si concentra principalmente sulla quarta generazione focalizzando la narrazione su Thomas,Christian e Tony Buddenbrook. Il protagonista sembra essere Thomas,nel quale s'incarna la figura del tipico borghese,ma egli è borghese solo in apparenza,poiché il suo animo è caratterizzato da un tumulto continuo,dal disgusto per la materialità che compone il mondo borghese. Thomas si sforza dunque si essere un borghese,perché sarebbe un disonore se il figlio maggiore non portasse avanti l'azienda di famiglia,egli dunque lavora senza sosta per aumentare il prestigio dei Buddenbrook.Thomas entra spesso in crisi data la sua bipolarità,ma le preoccupazioni si moltiplicano a causa del fratello Christian e della sorella Tony,la quale contrae molteplici matrimoni suscitando sdegno nei concittadini. L'abilità dello scrittore sta tutta nel rendere piacevole la lettura di questo romanzo dalla notevole mole,inoltre la sua attenzione per i particolari e la strabiliante caratterizzazione di alcuni personaggi fa sì che questi ultimi rimangano impressi nella mente del lettore,con tutti i loro pregi e difetti. Tutto ciò denota una vastissima conoscenza della società del diciannovesimo secolo.Vi è anche una forte componente autobiografica,poiché la maggior parte degli eventi si svolgono a Lubecca,città natale dell'autore. Questo capolavoro della letteratura tedesca fa sì che il lettore percepisca e si renda conto del precario equilibrio che vige tra la vita e la morte(la malattia sembra essere quasi esaltata,attraverso meticolose descrizioni),tutto ciò è dovuto allo spirito decadente che domina il romanzo dalla prima all'ultima pagina.Vi è una regola che l'autore sembra aver scoperto nel corso della vita,ovvero: dopo il raggiungimento della vetta (il massimo successo) vi può essere solo una discesa, sia essa rapida o tremendamente lenta (la decadenza); ciò che manda in crisi il protagonista(oltre alla decadenza fisica) è l'aver percepito che il prestigio della propria famiglia,nonostante tutti i suoi sforzi,dopo aver raggiunto il culmine è destinato a diminuire,fino a rasentare il nulla; è evidente l'influsso che la filosofia di Schopenhauer ha avuto su Mann,sembra che la vita dei protagonisti sia dominata da una volontà irrazionale,che li pone di fronte a eventi drammatici e tali avvenimenti sono inevitabili.Dunque cos'è l'uomo dinanzi a questi eventi? O dinanzi alla morte? Nulla .

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annamariabalzano43 Opinione inserita da annamariabalzano43    14 Marzo, 2015
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Tra Nietzsche e Schopenhauer


Possiamo ragionevolmente considerare “I Buddenbrook” di Thomas Mann l’opera più rappresentativa della crisi esistenziale dell’uomo borghese dei primi del novecento. L’inconciliabilità tra il mondo dell’arte e quello del profitto e dell’interesse era già stata rappresentata al massimo livello espressivo dai personaggi di Dorian Gray (Wilde - Il ritratto di Dorian Gray), Des Esseintes (Huysmans - A rebours) e Andrea Sperelli (D’Annunzio - Il piacere), in quel periodo che in letteratura viene comunemente conosciuto come Decadentismo. L’umanità descritta da Mann, tuttavia, pur consapevole del dissidio interiore che l’ affligge, non riesce a ripudiare il mondo a cui appartiene e di cui ammira in fondo le qualità di concretezza e praticità.
In ogni personaggio esiste una sorta di scissione interiore, anche in quelli che sembrano aderire con più convinzione ai valori borghesi tradizionali. È questo il caso di Tom, che da giovane rinuncia ad un amore sincero perché consapevole del compito che dovrà assumersi un giorno nella direzione dell’attività commerciale iniziata dai suoi avi e che in seguito dovrà accettare numerosi compromessi contrari alla sua natura e alla sua coscienza. La stessa Tony, incapace di accettare l’irrimediabile decadenza della famiglia, dopo aver sciupato la sua giovinezza contraendo matrimoni sbagliati, sempre con l’illusione di perpetuare quel benessere e quegli agi ai quali era abituata, trascorrerà gli anni del declino in un continuo e triste ricordo del passato. I personaggi però che meglio rappresentano la crisi d’inizio secolo e soprattutto la crisi dell’artista e dell’intellettuale sono Christian e Hanno. Il primo trascina la sua esistenza nell’incapacità di svolgere qualsiasi attività, attratto solo dalla musica e da tutto ciò che intorno a lui viene considerato superfluo e inutile. Paranoia e ipocondria lo accompagneranno per tutta la vita. È Hanno, però, il figlio di Tom, la vera vittima di questo mondo che emargina chi fa della propria sensibilità un modus vivendi. Hanno è un adolescente quando prende coscienza d’essere attratto più dalla musica che da ogni altra cosa. Il suo dramma si materializza nel momento in cui capisce che ciò è inconciliabile con il ruolo che gli è predestinato. Egli non ha una sufficiente carica vitalistica , una volontà morale abbastanza forte che possa aiutarlo ad affermare i suoi valori. Hanno, in quanto personaggio incapace di lottare per far emergere le qualità straordinarie di cui è dotato, anticipa “L’uomo senza qualità” di Musil. Hanno ha in sé quel desiderio di autodistruzione, di cupio dissolvi, che porta al definitivo tragico crollo.
Se Mann critica la chiusura della mentalità borghese nei confronti dell’arte e di tutto ciò che attiene allo spirito, egli tuttavia, diversamente dagli artisti decadenti, di essa ammira la concretezza e la solidità materiale capaci di procurare e mantenere il benessere. Mann, stesso, dunque, come uomo e come artista conosce e vive un drammatico dualismo: egli è a un tempo rispettabile borghese e “avventuriero dello spirito”.

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silvia71 Opinione inserita da silvia71    11 Novembre, 2014
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Storia di una famiglia

Impegnativo eppure affascinante seguire la storia della famiglia Buddenbrook.
Quattro generazioni scorrono sotto gli occhi del lettore pagina dopo pagina, tra immagini di fastose dimore, di saloni damascati, di acconciature perfette, di abiti raffinati, di caminetti accesi che sprigionano dolci profumi.
Una vita agiata, orgogliosi di appartenere all'alta borghesia cittadina, entrate floride nelle casse dell'impresa di famiglia, rispettabilità ed onore legati al proprio nome.
Matrimoni studiatamente convenienti perché l'amore viene dopo il prestigio nella scala dei valori.
Eppoi dopo l'apice, lo sgretolamento, la caduta inarrestabile, la disgrazia e la sfortuna, la malattia e la morte bussa alla porta della famiglia di Lubecca.

Come è normale che sia si tratta di un romanzo dal tipico impianto stilistico ottocentesco, a tratti pomposo e rigoglioso, specchio della società del tempo, ritratta senza veli e ipocrisie da Mann.
Un mondo che soffre del mutamento dei tempi, degli usi, dell'economia, dell'avvento di arie politiche innovative.
Ciò che distingue l'opera di Mann dal prototipo di romanzo prettamente sociale è l'efficacissimo approfondimento psicologico di tutti i personaggi; una penna che sente la necessità di scavare nell'animo, di coglierne aspirazioni, contraddizioni, angosce e drammi.
Grazie a ciò il contenuto di per sé ottimo, si ammanta di intensità e di calore umano, scalzando la nota fredda della lontananza nel tempo degli eventi narrati.
Impossibile non entrare in comunione con questi uomini e con queste donne, anche se gli ideali professati odorano di stantio e ci inducono a qualche sorriso.

Una lettura che si porta sulle spalle un secolo, che immortala un'epoca, ma è destinata a rimanere testamento letterario.

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Ale96 Opinione inserita da Ale96    29 Dicembre, 2013
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Adieu '800

Il XIX si rivela essere un secolo ricchissimo da un punto di vista letterario e storico: abbiamo il neoclassicismo con Napoleone, il romanticismo con i moti liberali e il '48. Ma soprattutto abbiamo il trionfo del romanzo, strettamente connesso al trionfo del capitalismo, della borghesia, dell'imprenditorialità. Ed è proprio il romanzo a celebrare, a intrattenere questa nuova egemonica classe sociale e al tempo stesso a criticarne l'egoismo, l'avidità e la meschinità: da qui il naturalismo francese, il romanzo sociale inglese e il romanzo russo in cui irrompe magistralmente la psicologia, l'anima dei personaggi.
Tuttavia il XIX si rivela essere anche il secolo della decadenza della borghesia, con quell'incrinarsi degli ideali fondanti di decoro e rispettabilità che esploderanno in tutta la loro potenza devastatrice nel XX secolo, con le sue guerre mondiali, i suoi stermini, i suoi totalitarismi.
Credete possibile ritrovare tutto ciò in un unico libro? Condensare queste due matrici opposte in un numero limitato di pagine? Non dando vita a un insipido minestrone ma a un prelibato piatto d'alta cucina? Be' sì, è stato possibile per un incredibile scrittore del '900, il tedesco Thomas Mann (1875-1955) e i suoi Buddenbrook, storia dell'ascesa e del tramonto di una famiglia dell'alta borghesia mercantile di Lubecca in un ampio arco temporale (1835-1877).

Per la Mengstraße è giorno di festa: nell'enorme casa dalla facciata rococò la ricca e potente famiglia Buddenbrook celebra con succulente prelibatezze, risate e vino a fiumi il suo fastoso trasferimento: vi sono il vecchio Buddenbrook, gioviale ed estremamente pragmatico, sua moglie Antoinette, il loro figlio Johann, tipico esempio di austero e dignitoso commerciante luterano, l'elegante consorte Betsy e i loro 3 figli: la vivace e graziosa Tony, il silenzioso, intelligente e imprenditoriale Thomas e il buffo e comico Christian. In questo momento splendido è bandita ogni tristezza, ogni apprensione per il futuro, ma nel profondo aleggia la preoccupazione: un morbo ha attecchito nella famiglia, particolarmente nel dignitoso Tom: è una malattia impalpabile, subdola e disperata: cresce molto lentamente con delle eccitanti febbri che porteranno il giovane al culmine del successo economico e politico, per poi con una rapidità, prima impensabile, attaccare ogni valore, ogni certezza che avevano incoraggiato il giovane Buddenbrook: il pragmatismo, l'intraprendenza ,l'entusiasmo, l'iniziativa su cui si fondano gli affari. Tom sente come disgusta il mondo viscido, maligno, corrotto del commercio, sente come sia differente da suo padre e da suo nonno, sente come sia solo, perso, incompreso. Allora si crea una maschera, una estenuante maschera di decoro e rispettabilità, che gli dissipa ogni forza, ogni energia. Tale terribile morbo è la decadenza che ha imputridito e annientato la sua vita, la sua famiglia, la sua ditta. Da tutto questo marcire, soffrire, patire nasce, però, Hanno, giovane creatura fragile, sensibile, che disprezza ogni meschinità, ogni convenienza sociale, dedicando tutta la sua candida e timida anima alla musica, quel mondo puro, superiore, a lungo rimasto incompreso dalla sua “stirpe” presa solo da granaglie, numeri e azioni. Hanno è riuscito a superare il padre, a superare la società anseatica in cancrena, a superare l'egoismo e la malignità di questa vita orripilante. Hanno è la rottura, Hanno è la novità, Hanno è il 900...

Oltre al carattere enciclopedico di questa opera d'arte, a colpire incredibilmente è lo stile: l'apice del genere del romanzo difficilmente raggiungibile di nuovo. Una sinfonia armonica, perfetta, dove ogni nota, ogni strumento, ogni variazione è talmente unica, sublime, divina da non poter essere mutata. Con i suoi leitmotiv wagneriani, con la sua equilibrata raffinatezza che non si annienta mai in noia, ma scorrevolmente e al tempo stesso delicatamente compie crescendi ironici, diminuendi malinconici, allegri, forti, fortissimi, si priva dei pesanti virtuosismi, e nella sua purezza, nel suo splendido candore, eleva spiritualmente, innalza al mondo celeste.

Per questa sublime perfezione, per questa unicità, per questa forza imprescindibile che ammalia, incanta, strega il lettore, vi invito con tutta l'anima a leggere questa perla, quest'unicum della letteratura, se proprio non volete esagerare, europea, ma io sarei più propenso per quella mondiale. Buona lettura!

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pirata miope Opinione inserita da pirata miope    04 Luglio, 2012
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ELEGIA

“Si ricorda questa o quella persona e ci si chiede come starà, ed ad un tratto ci viene in mente che essa non passeggia più sui marciapiedi, che la sua voce non risuona più nel concento universale” inizia così il capitolo primo della parte undicesima de “I Buddembrook”. La storia della famiglia di agiati commercianti di Lubecca è già andata avanti: molte cose sono già avvenute, nascite, traslochi, matrimoni, divorzi, morti e molte pagine del diario di famiglia, custodito come una sacra reliquia, sono già state riempite. Ormai il romanzo si avvia alla conclusione e l’autore a questo punto svela al lettore la musa ispiratrice, ciò che trasforma una comune cronaca familiare in dolente elegia: l’azione corrosiva del tempo. Ogni morte dei componenti della famiglia è un passo avanti verso il baratro del nulla: il primo atto del dramma è la morte del nonno, il console Johann, colui che privo di dubbi esistenziali, ha reso gloriosa la ditta; l’ultimo è il decesso per tifo dell’adolescente Johann, detto Hanno, più artista che uomo d’azione, prototipo dei tanti inetti che caratterizzano la letteratura del ‘900. Con Hanno la caduta è irreversibile, ma la decadenza si avverte già chiaramente nei conflitti interiori che caratterizzano suo Padre Tom: egli soffoca i suoi dubbi nel silenzio, cerca risposte in Schopenauer, litiga con il fratello e con il figlio, per sostenere di fronte al mondo un immagine di uomo forte che in realtà non ha. Il buon nome borghese è l’imperativo morale in nome del quale i Buddembrook, uomini e donne, rinunciano ai sentimenti: la crisi scaturisce nel momento in cui il passare degli anni ne rivela l’inconsistente anacronismo. La sola ancora di sopravvivenza è l’energica superficialità di Tony: essa si consola per i matrimoni falliti, i suoi e quelle della figlia, per la scomparsa precoci dei cari, con lo sfogo del pianto a dirotto. La lunga saga nient’altro ha insegnato, a lei e a noi: asciugarsi le lacrime sulla guance cascanti un istante prima che scenda il buio.

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MCF Opinione inserita da MCF    29 Aprile, 2012
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Ascesa e decadenza di una famiglia.

“I Buddenbrook” è ambientato a Lubecca e narra la storia di una facoltosa famiglia di commercianti durante mezzo secolo; nella scena iniziale, tre generazioni sono riunite nella nuova casa della Mengstasse, ampia e signorile, adatta al loro nuovo tenore di vita dovuto al prosperare degli affari.

Così conosciamo il vecchio Johann B. con “la sua faccia rotonda, bonaria, rosata, alla quale con la migliore volontà non riusciva a dare un’espressione maligna, incorniciata dai capelli bianchi come la neve.” Il figlio con il suo fanatismo religioso, la nuora Elisabeth, con “la sua figura estremamente elegante” e i nipoti: la piccola Tony, vivace e simpatica; Thomas dalla figura estremamente elegante come sua madre e serio e laborioso come suo padre e suo nonno; infine Christian, dal naso adunco, bravissimo a imitare le persone; diventerà la pecora nera della famiglia e sposerà una prostituta che lo rovinerà completamente.

L’autore è bravissimo a caratterizzare i personaggi:

“Elisabeth, nata Kroger, rideva alla maniera del Kroger, incominciando con uno scoppiettio delle labbra e premendo il mento sul petto. La caratteristica di quel volto dal naso un po’ troppo lungo e dalla bocca minuta era che tra il labbro inferiore e il mento non c’era nessun incavo. Come al solito, due o tre braccialetti d’oro le tintinnavano ai polsi.”

“Tony possedeva il bel dono di sapersi adattare ad ogni situazione con abilità, disinvoltura e un vivo gusto per le novità. Si compiacque ben presto della sua parte di vittima incolpevole, si vestì di nero e portò i bei capelli biondo cenere pettinati lisci come da fanciulla.” Incantevole con il labbro superiore leggermente sporgente, è orgogliosa di appartenere ad una famiglia così abbiente da cui non riuscirà mai ad allontanarsi.

“Hagenstrom aveva sposato una donna dai capelli scuri straordinariamente folti che portava alle orecchie i più grossi brillanti della città.” Questo signore è il concorrente principale della famiglia nell’attività commerciale ed è il primo corteggiatore di Tony.

“Hanno saliva in carrozza con il padre, e nei salotti sedeva muto al suo fianco, osservandone quietamente il contegno disinvolto, pieno di tatto, e così ben graduato e variato. Al tenente colonnello che, al momento del commiato, asseriva di apprezzare l’alto onore di quella visita, lo vedeva stringere un attimo le spalle con amabile sgomento; in un altro luogo accogliere serio e tranquillo un’analoga dichiarazione, mentre in un terzo se ne scherniva ribattendo con un complimento ironicamente esagerato … “.

Bellissime le descrizione degli stati d’animo di Thomas quando, arrivato all’apice del successo, non riesce più a gestire la situazione: gli affari vanno male, la moglie non lo ama, il figlio lo delude, la salute comincia ad abbandonarlo e i suoi nervi cedono. Moltiplica le cure del suo aspetto in modo maniacale per nascondere questo sgretolamento interiore che lo sta annientando. Ma la sua intelligenza lo avvicina alla Verità e, come leggeremo più tardi nei libri della filosofa Roberta De Monticelli, si trova di fronte all’enorme e incredibile felicità che l’uomo prova avvicinandosi all’infinito e a Dio:

“Ed ecco, improvvisamente fu come se le tenebre si lacerassero davanti ai suoi occhi, come se la parete vellutata della notte si squarciasse rivelando un’immensa, sterminata, eterna vastità di luce. “Io vivrò.” Disse Thomas Buddenbrook quasi a voce alta. Che cos’era la morte? La risposta non gli fu data con poche e presuntuose parole: egli la sentì, possedendola nel profondo di sé. La morte era una felicità così grande che solo nei momenti di grazia come quello la si poteva misurare. Era il ritorno da uno sviamento indicibilmente penoso, la correzione di un gravissimo errore. Fine, disfacimento? Che cosa si dissolve? Null’altro che questo corpo … questa personalità e individualità, questo goffo, caparbio, grossolano, detestabile impedimento a essere qualcosa di diverso e di migliore.”

Un libro appassionante, bellissimo.

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