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Alla scoperta del proprio "io"
Hermann Hesse è un autore che con ogni sua opera lascia un segno indelebile, perché racconta del viaggio dell’uomo alla ricerca del senso della vita. Già con Il Lupo della steppa aveva trattato il tema del dolore di vivere, fornendo una soluzione logica, per quanto semplice: per superarlo, mai prendere troppo sul serio se stessi e i propri sentimenti, e ciò grazie a una salvifica autoironia.
Con Siddharta, il cui successo venne solo dopo il conferimento del Nobel, il tema dell’esistenza è più generale e finisce con il diventare in questo “romanzo indiano” una lezione di vita e proprio per questo al suo apparire entusiasmò la generazione dell’epoca. A distanza di tempo, comunque, il testo presenta ancora quell’interesse e nelle conclusioni resta di immutata validità.
Ambientato in India nel VI secolo a.C. narra di Siddharta, un ragazzo che cerca la sua strada, ambisce sapere quale è il suo ruolo e per far questo intraprende un viaggio che lo porterà alla sua verità attraverso una serie di esperienze, tipiche peraltro della realtà umana. In effetti si tratta di un lungo cammino all’interno di se stesso, in cui prova un po’ tutto quello che può essere colto nel percorso di una vita. Dall’esperienza mistica al piacere carnale, ma anche cerebrale dell’amore, il giovane invecchia, adottando sensi e scopi che poi magari rivelano un’insoddisfazione o comunque un mancato totale appagamento.
Ogni incontro, ogni esperienza sono un banco di prova, un confronto con il proprio “io” da cui trarre degli insegnamenti, e, se nell’apparenza sono solo gli eventi positivi atti a questa funzione, si comprenderà come anche quelli negativi entrino a far parte di quel grande patrimonio individuale che è l’esperienza.
Hesse nel raccontare questa metafora in fondo ci vuole dire che è necessario conoscere il mondo che ci circonda e, specialmente, quello interiore tramite un percorso materiale e spirituale che porta alla scoperta di noi stessi. Nel nostro intimo non c’è nulla di tutto buono o di tutto cattivo, esiste, è latente il peccato, frutto di un errore da cui trarre insegnamento, ma in fondo, purché si abbia voglia di vivere veramente, ci sono tante possibilità per ogni uomo di trovare una pace interiore che non sia solo di aspetto, ma che radichi in profondità. Tutto questo può e deve avvenire solo per mezzo della conoscenza, del dubbio, che deve essere una costante, e dell’esperienza, tutti elementi che arricchiscono dando la certezza di avere vissuto.
Il libro è quindi indubbiamente di assoluto interesse e in questa ricerca filosofica ha il suo effettivo pregio. L’unica nota negativa, se così può essere chiamata, è la costante pesantezza della narrazione, tipica del resto di molti autori di lingua tedesca del XIX e del XX secolo.
Comunque, proprio perché si tratta di un discorso filosofico, è inevitabile soffermarsi spesso sulle righe e quindi la complicazione nell’esposizione risulta meno fastidiosa.
Siddharta resta, a distanza di anni dalla sua pubblicazione, un libro di assoluto valore, una tappa fondamentale nella storia della letteratura ed è proprio questa inalterata qualità che lo fa rientrare fra i capolavori di ogni tempo.