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La guerra nella testa
Un uomo disteso, con l'orecchio e la bocca appiccicati al terreno con il sangue, un braccio che cerca a tastoni il compagno morto, l'altro braccio che sembra sparito ma che torna a rivelarsi attraverso un dolore lancinante. Una fame e una sete indescrivibili, la pioggia che sferza il corpo agonizzante, fermo lì da un tempo difficile da calcolare, con i testa rumori di guerra che non se ne andranno mai più. Tutto intorno orrore, distruzione e l'atroce fetore della morte. Ferdinand, unico superstite del massacro, si alza con immensa fatica e inizia a camminare, consapevole del fatto di essersi ormai "beccato la guerra nella testa", che la guerra gli resterà per sempre "chiusa nella testa", ma determinato a restare il più possibile attaccato alla vita, quella vita "enorme" in cui "ti ci perdi dappertutto". È questa la scena iniziale descritta da Céline nel manoscritto in questione, recentemente recuperato e dato alle stampe a sessant'anni dalla morte dello scrittore. Pagine stese in tutta fretta e che sembra non abbiano mai visto una seconda rilettura, una seppur superficiale revisione, con pezzi addirittura illeggibili, ma non per questo (o proprio grazie a questo) meno significative, impattanti, "céliniane". Pagine che parlano della mostruosità della guerra e delle ripercussioni che questa può avere sul corpo e sullo spirito di chi ne prende parte, ma più in generale del marciume che può emergere dall'esistenza umana e dai terribili recessi dell'animo. L'autore sembra urlarle con l'urgenza di chi vuole rendere il mondo partecipe del lerciume che gli è rimasto dentro e non bada ad alcuna forma, censura, edulcorazione nel farlo. I temi sono quelli a lui cari, che ricorrono anche nei suoi romanzi più famosi, così come tipici della sua scrittura sono lo stile scurrile e volutamente sgrammaticato, l'erotismo esplicito e aspro, la violenza delle azioni e dei pensieri, l'alternanza tra tragedia e comicità. La storia ha poi dei forti connotati autobiografici, perché Céline ha realmente vissuto l'esperienza del ferimento in battaglia e ne ha portato con sé le conseguenze per tutta l'esistenza. Sfinito, ferito, dolorante, Ferdinand si mette in cammino verso l'agognata salvezza, ritrovandosi poi in un letto d'ospedale dove inizia una lunga e rocambolesca convalescenza che lo vedrà ricevere una medaglia al valore, scontrarsi con medici vogliosi di fare esperienza sulla pelle altrui, diventare il pupillo di infermiere ninfomani, avere a che fare con compagni laidi, grotteschi, truci, tra cui spicca il bieco Bébert/Cascade (il personaggio cambia nome durante la narrazione), divenuto subito "compagno di merende" del protagonista. L'uomo si rivelerà ben presto nella sua essenza, un pappone violento e uno sfacciato imbroglione, pagando con la vita le sue malefatte ma lasciando al compare, oltre al vuoto per l'amicizia perduta, il legame con la moglie e prostituta Angèle, grazie alla quale, sempre per vie moralmente e legalmente discutibili, il nostro Ferdinand sembrerà trovare, alla fine del manoscritto, un lasciapassare verso l'Inghilterra e verso un difficile, quasi irrealizzabile, riscatto. "I due moli sono diventati minuscoli sopra ai cavalloni spumanti, strizzati contro il loro piccolo faro. Dietro, la città si è rattrappita. Poi si è sciolta nel mare. E tutto è precipitato nello scenario delle nuvole e l’enorme spalla del largo. Era finita quella porcheria, aveva sparso tutto il suo letamaio di paesaggio la terra di Francia, sotterrato i suoi milioni di assassini purulenti, i suoi boschetti, le sue carogne, le sue città multicacatoi e i suoi infiniti fili di calabroni miriamerde. Non c’era più, il mare aveva preso tutto, ricoperto tutto. Viva il mare! Non vomitavo manco più. Non ci riuscivo più. Dentro di me avevo tutte le vertigini di una nave. La guerra mi aveva dato un mare pure a me, solo per me, un mare rombante, rumoreggiante assai dentro la testa. Viva la guerra!"