Dettagli Recensione
Oh Thérèse!
“Quando il futuro è privo di speranze, il presente acquista un'ignobile amarezza.”
Thérèse Raquin, 1867, fu un titolo che sin da subito portò al gridare dello scandalo e della pudica ripugnanza, riprova ne è già la prefazione all’opera, scritta dallo stesso Zolà e dalla quale si evince un profondo risentimento verso quei tempi e quegli uomini di cultura che evidentemente non sono stati in grado di cogliere il senso di uno scritto profondo quando complesso. Un titolo catalogato per molti ai limiti del pornografico e a cui come anzidetto rispose lo stesso Zolà evidenziando l’ipocrisia benpensante dell’epoca quando a lui altro non interessava che studiare la natura umana tanto dal punto di vista psicologico che naturale. L’opera è totalmente e completamente intrisa di realismo, osserva in modo accurato tanto le persone quanto gli ambienti, ne delinea i caratteri e nulla risparmia ai lettori. Proprio per questo nulla risparmia e nulla cela al suo interno.
“Qui sono tutti ciechi perché non sanno amare...”
La trama nel suo essere ci narra di una storia di tradimenti ove ad essere presente è la classica triangolazione, per taluni un cliché, fatta di lui, lei e l’altro. Tuttavia, a una trama semplice si aggiunge uno sviluppo affatto lineare. Non mancano le assonanze, che sopraggiungono quali naturali, con Madame Bovary, Thérèse come Emma sembra volersi sottrarre a un qualcosa, a un fardello, a un peso e più precisamente al peso di una famiglia che è vissuta come una forma di prigionia, di dolore, di sofferenza. Un contesto famigliare, il suo, dove ella ha sempre dovuto obbedire e mai ha potuto esprimere il suo pensiero in libertà o alzare la testa. Mai ha potuto opporsi alle decisioni della zia, la merciaia madame Raquin. Ma Thérèse, a differenza di Emma non brama lussi e orpelli, è vissuta accanto al malaticcio cugino Camille e al contempo è stata schiava della vita di provincia quando la sua indole e tempra erano vitali e vive.
“Lei ha un difetto imperdonabile che le precluderà qualunque porta: non può chiacchierare due minuti di fila con un imbecille senza fargli capire che è un imbecille.”
Camille e Thérèse si sposano per volere della zia. La zia desidera che il figlio non sia lasciato solo e soprattutto che il figlio sia accudito da una moglie-madre. Per farlo, quale occasione migliore del matrimonio con la ragazza? Quest’ultima dal suo canto non è attratta da quest’uomo poco appetibile a livello sessuale e che oltretutto sa da sempre di malattia, puzza proprio di malattia. Il tradimento è per questo vissuto come una sorta di riscatto, un riscatto in primis verso la vita. Amante della donna è Laurent, impiegatuccio e artista senza futuro e con scarso passato, ma uomo vigoroso e sessualmente appetibile. Egli mira non solo ad essere amante di Thérèse ma desidera anche essere amico di Camille e scapolo sulla piazza. Tre cose al tempo stesso. Casa Rquin è il luogo perfetto per un parassita come lui e Thérèse, seppur relativamente bella, nel suo essere innocua almeno in apparenza, è perfetta. Il carattere remissivo, l’indole, il suo essere apparentemente inoffensiva, la rendono la preda perfetta. Ma cosa potrebbe accadere se la donna, al contrario, rivelasse una profonda e insostenibile indole carnale atta a causarne dipendenza? Quale strada percorrere se non quella della vedovanza? Laurent è un uomo ambizioso, incontentabile, è un uomo che auspica al raggiungimento di molti progetti che però non tengono conto di altri aspetti della realtà.
"Lui ci metteva il sangue, lei i nervi; vivevano l'uno nell'altra e avevano bisogno dell'amore fisico per regolare il meccanismo dei loro corpi."
Un romanzo ricco di descrizioni, profondo nella sua struttura, corposo nel suo divenire. Un libro che non manca di riguardare relazioni fisiche e mentali, di far riflettere il lettore, di farlo interrogare su tanti aspetti che riguardano il rapporto umano, i legami ma anche quegli aspetti più reconditi del vivere. Ecco allora che Camille è più presente da morto che da vivo, che è una presenza fissa tra loro dopo il suo annegamento, che porta liti furenti e furibonde, che portano a vivere il rapporto come un vero e proprio inferno. Da legame bramato e agognato si rivela essere un’ennesima e rinnovata prigione a cui si somma anche la malattia della paralitica madame Raquin che osserva placida.
Sullo sfondo una Parigi priva di luci e sfarzi ma lugubre per uno scritto accompagnato da una prosa ricca, corposa, intramontabile. Trapela l’inquietudine, trapela l’indifferenza, l’insoddisfazione, il pessimismo, la prigionia, l’incapacità di un riscatto e di una rivalsa, un desiderio distorto per un vivere altrettanto malsano.
“Thérèse Raquin” è un romanzo che non può essere definito osceno e ancor meno pornografico, è al contrario un libro che spinge il lettore a riflettere e a meditare, a interrogarsi, che sprona a guardarsi dentro, a ponderare sui sentimenti che spesso ci accompagnano, che invita a guardare all’interno del cuore e dell’animo umano, è un libro complesso nella struttura e nell’evoluzione, un libro da non dare per scontato e da non minimizzare nei suoi termini. Un romanzo che sorprende anche nel suo epilogo, un libro che non perde di forza nemmeno con il passare dei secoli.
“Non c’è niente di più dolorosamente calmo di un crepuscolo autunnale. I raggi impallidiscono nell’aria che pare rabbrividire, i vecchi tronchi si spogliano delle foglie; la campagna, bruciata dai raggi ardenti dell’estate, percepisce coi primi venti gelidi l’inizio inesorabile della morte. Nel cielo l’aria si sposta con un gemito disperato e la notte, scendendo dall’alto, racchiude sudari nell’ombra cupa.”
Indicazioni utili
Commenti
2 risultati - visualizzati 1 - 2 |
Ordina
|
2 risultati - visualizzati 1 - 2 |
Per me è il miglior testo di Zola, forse con "L'opera". Certo che è una rappresentazione violentissima, in particolare nella seconda parte. Un finale sorprendentemente gestito, con l'immagine 'trionfante' della vecchia madre di cui solo gli occhi e la mente rimangono 'vivi'.