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L'intelligenza in punta di penna
Tra le tante certezze che gli arguti quanto spinosi ritratti dei personaggi di Jane Austen ci forniscono, la prima, almeno in ordine di lettura, è quella di una percentuale di donne ignoranti, maligne, superficiali e meschine ben più alta rispetto a quella degli uomini. Lati della personalità che, seppur deprecabili, risultano più che giustificabili in quel mondo e in quell’epoca. Soprattutto viste le poche, se non nulle possibilità che il genere femminile aveva, allora, di studiare. Ed anche in casi specifici, come quelli di donne provenienti da famiglie con ampie disponibilità economiche, i soli insegnamenti ricevuti riguardavano qualche infarinatura di disegno, musica e danza, il tutto condito da ampie specializzazioni sul ricamo. Qualche fortunata cui Madre Natura aveva concesso una bella voce poteva cimentarsi nel canto. Ma raramente si andava oltre.
Ben più rari erano i casi in cui, ad una famiglia ricca, si aggiungeva un padre illuminato che possedeva e curava in modo razionale una biblioteca di famiglia e che permetteva alle figlie di usufruirne in maniera libera. Ma anche questo non bastava perché una donna colta e libera e con ampi mezzi rischiava di perdere la propria indipendenza economica con il matrimonio. Jane Austen di questo ha piena consapevolezza così come è perfettamente cosciente del fatto che quella che ai suoi tempi era una donna che si rispetti, non doveva abbassarsi a lavorare. E chi lo faceva era oggetto, nel migliore dei casi, di commiserazione.
Basterebbe questo per capire la volontà della Austen di non voler firmare i suoi libri. Nella piccola nobiltà di provincia come anche nella famiglia di un pastore anglicano, sarebbe stato troppo sconveniente. Ma sconveniente non era, invece, la piacevole sensazione di avere soldi propri, utili non solo per le piccole spese quotidiane ma anche come possibili risparmi da investire. Ed è in questo frangente che la Austen si rende conto del fatto che le necessità della vita e la volontà di una propria indipendenza economica non possono venire a patti con la ristretta visione di una società che imponeva alla donna il solo ruolo di angelo del focolare e custode della famiglia.
Una famiglia spesso troppo numerosa per permetterle non solo di avere una vita propria ma anche di ricoprire qualsiasi altra mansione. Un compito, quello di madre, tanto impegnativo da costringere a dover ricorrere all’aiuto di una domestica, anche nelle famiglie non certo benestanti. Indubbiamente la gestione di una casa e la totale assenza di quelle che per noi sono ovvie comodità (lavatrice, acqua calda e acqua corrente) rendeva il disbrigo delle faccende domestiche una vera e propria impresa fisica.
Ma proprio qui la grande Austen è capace di compiere la sua magia, quella, come ha notato più volte Virginia Woolf, di riuscire a dare dignità alle donne evitando il pericoloso veleno della rabbia. Un rischio evitato grazie ad un antidoto che non tutti sono in grado di comprendere ed ancora meno di gestire: l’ironia. Sottilissima. Talmente sottile che è spesso impalpabile ma sufficientemente forte da permettere ai suoi personaggi di camminare nel microscopico solco che la divide dalla banalità, per di più senza cadere nel cupo risentimento e nell’astiosa rivendicazione. Un percorso funambolico che la Austen riesce a fare con delicatezza e soprattutto con magistrale agilità stilistica.
Pur non volendo soffermarsi sulla trama, che risulta essere ad una prima, superficiale lettura, un vero ricamo caratterizzato da un perfetto ed equilibrato incastro degli eventi, non si possono dimenticare alcune caratteristiche specifiche dei personaggi. Il pomposo ed irritante Mr. Collins, ad esempio, è il classico archetipo di chi, vuoto di ogni valore e privo di ogni spessore caratteriale, vive celebrando pedissequamente le ricchezze altrui, incapace di distinguere la differenza tra le cose che hanno prezzo (da lui preferite) e quelle che hanno valore (da lui ignorate). Sulla stessa falsariga Mr Collins celebra anche quella che, nel caso di Lady Catherine De Bourgh, lui definisce generosità ma che, invece, altro non è se non squallido utilitarismo.
Con Mr Collins siamo di fronte ad un personaggio talmente meschino da arrivare ad avanzare una prima, tortuosa, proposta di nozze alla sventurata Elizabeth, per di più evidenziando il fatto che la povertà della sua famiglia le avrebbe evitato altri futuri pretendenti. Un discorso misero come chi lo pronuncia e durante il quale non si fa alcun riferimento a nessun tipo di sentimento. Nemmeno un minimo accenno dettato, più che da una reale presenza, per lo meno dalla necessità di salvare quelle apparenze di cui lui stesso tanto si cura. Ma sul fronte del matrimonio, spesso nucleo pulsante di tutte le eroine austeniane, neanche Elizabeth riesce ad essere perfettamente oggettiva. Infatti nel momento in cui scopre, o per meglio dire, le viene riferito da Charlotte Lucas del suo fidanzamento con Mr Collins, Elizabeth non può fare a meno di restare delusa ed amareggiata per quello che considera una atteggiamento meschino, solo parzialmente giustificato dalla necessità di accasarsi.
Diverso, invece, sarà il suo atteggiamento nel momento in cui si accorgerà che Mr Wickam ha iniziato a corteggiare una ragazza da poco divenuta ricca ereditiera. In questo secondo caso, forse offuscata da un sentimento ancora latente, Elizabeth non solo non trova alcun biasimo ma arriva addirittura a pensare che “anche i belli, come i brutti, devono trovare di che vivere”. Forse la nostra cara Jane, pur nella sua modernità, è ancora vittima del perbenismo dell’epoca?
Ma durante la lettura i motivi di critica non mancano per nessuno, nemmeno per quel padre che, in apertura, appariva così piacevolmente sarcastico ma che, con l’avanzare della storia, si rivela essere un uomo la cui progressiva indolenza in tutti i campi ha portato allo sfacelo sia economico che educativo della famiglia. Tutti i protagonisti e gran parte dei comprimari denotano mancanze e vizi. Gli unici ad uscirne senza macchia? I Gardiner, ovvero gli zii di Elizabeth, gli unici sui quali la Austen, forse per mancanza di tempo, si è dimenticata di spargere un poco del suo delizioso, catartico veleno.
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Un grande classico veramente.