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Waiting for God-ot
Samuel Beckett è uno di quegli autori la cui produzione può lasciare spiazzati, e il suo "Aspettando Godot" non è certo da meno, oltre ad essere la sua opera più conosciuta. Riguardo alla rappresentazione scenica non so esprimermi (sebbene voglia al più presto vederne una), ma immagino che l'impressione disorientante generata dal testo aumenti in maniera esponenziale, tanto che risulta difficile capire cosa abbia generato a suo tempo un successo così clamoroso. Certo, parliamo del Teatro dell'Assurdo, ma le battute scambiate tra Vladimiro ed Estragone lasciano per la maggior parte del tempo perplessi e, in fondo, tutto quel che leggiamo ruota intorno a null'altro che alla fantomatica attesa di questo figuro del quale conosciamo solo il nome: Godot.
E' probabilmente la pluralità di interpretazioni che affascina e mette in moto il cervello degli spettatori, e l'impossibilità di centrarne una in particolare lascia lo spettatore-lettore in un vortice di perplessità; una perplessità particolarmente concentrata sulla figura di Godot. Viene da chiedersi: possibile che lo stesso Beckett non sapesse dargli un'identità? o è semplicemente un modo dell'autore di alimentare il suo stesso mistero? Forse "Aspettando Godot" è una di quelle opere per le quali il lettore deve solo accontentarsi della propria interpretazione. C'è tuttavia un aspetto che porta a riflettere: come mai Beckett, parlando di Godot, ha detto di non sapere chi sia ma di sapere per certo che non sia la personificazione di Dio? Ho l'impressione che la sua sia una negazione che sa di affermazione, sempre nel tentativo di allontanare i suoi spettatori da un'interpretazione definitiva. Indipendentemente dai richiami stessi presenti nel nome (God significa Dio in inglese), è impossibile non identificare nell'attesa dei due vagabondi un'attesa della venuta del Signore, della sua salvezza, della rivelazione del senso ultimo di una vita ormai vuota e particolarmente cupa, che emerge come visione beckettiana prevalente della società e del mondo contemporaneo.
Le figure di Pozzo e di Lucky sono una forte accusa alle ingiustizie causate dalla prevalenza del modello di società capitalistica, è tuttavia evidente che la sfiducia di Beckett nella vita vada oltre i sistemi che dominano il mondo, perché allo sparire dei due personaggi l'assurdità della vita e dell'attesa non scompaiono, si fanno anzi più intense non avendo nulla con cui tenersi occupati, diventando soltanto un'attesa vacua di qualcosa che, in fondo al cuore, si sa non arriverà mai. L'uomo (rappresentato da Vladimiro ed Estragone) non è tuttavia capace di smettere di attendere: vorrebbe farlo, vorrebbe finalmente ammettere a sé stesso quanto la sua presenza nel mondo sia priva di senso e priva di speranza, ma non è in grado di farlo. Vorrebbe agire, ma cosa mai dovrebbe fare? Vorrebbe andarsene, ma dove?
Non resta altro da fare che continuare ad attendere, sperando che la compagnia di altri sfortunati nostri simili possa alleviare il percorso di questa vita vuota verso il proprio esaurimento. Questo, ovviamente, nella visione pessimistica del mondo dipinta dall'autore irlandese. Condivisibile o meno che sia, è innegabile che il fascino di questa rappresentazione sia il prodotto di un autore geniale.
POZZO: “Non piange piú. (A Estragone) In un certo senso, l'ha sostituito lei. (Pensieroso) Le lacrime del mondo sono immutabili. Non appena qualcuno si mette a piangere, un altro, chi sa dove, smette. E cosí per il riso. (Ride) Non diciamo troppo male, perciò, della nostra epoca; non è piú disgraziata delle precedenti. Ma non diciamone neanche troppo bene. (Pausa). Non parliamone affatto. È vero, però, che la popolazione è aumentata.”