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Sodoma e Gomorra
Volume corposo, l’ultimo curato personalmente dall’autore al fine della pubblicazione, pare contenga il periodo più lungo in assoluto: novecento parole, non ho verificato anche perchè mi sembra in linea con lo stile del nostro; ad ogni modo è il vertice del periodare ipotattico che connota la prosa proustiana.
Volume complesso per la forma e per il contenuto, si apre con l’introduzione della materia principe: l’omosessualità che attraverso una metafora legata al mondo botanico diventa il mezzo che rende visibile un pensiero che oggi sarebbe definito omofobo. Il narratore compie infatti una serie di lunghe considerazioni che, oltre a essere percepite disturbanti oggi, prevale di gran lunga un’altra etica, determinano una nuova visione del medesimo. Alla voce autorevole e filosofica che finora ci ha accompagnati pare sostituirsi infatti un piccolo borghese che niente ha da fare nella vita se non spiare quella altrui, cogliendone i risvolti più intimi in puro assetto voyeuristico: assiste a un amplesso tra il barone Charlus e il vecchio farsettaio Jupien ed esprime le sue considerazioni sulla deriva morale dell’aristocrazia, facendo assurgere a simbolo di essa lo stesso barone, una delle figure più riuscite del romanzo.
Il quarto volume è però anche quello nel quale l’amore vissuto in prima persona viene rappresentato in maniera più esplicita: il narratore racconta di sé e di Albertine e soprattutto dei suoi sospetti che anche la ragazza abbia tendenze sessuali lesbiche, ciò gli fa vivere un sentimento di forte gelosia che lo fa agire in modo decisamente immaturo e indeciso. Un uomo bisognoso ancora del conforto materno, irrisolto e fondamentalmente infelice: perso tra il ricordo di luoghi vissuti e la riscoperta dei medesimi che si mostrano ormai mutati per sempre. Balbec non è più la stessa, le situazioni sono altre, sempre artificiose ma anche scadute in uno scenario al cui centro vi è un tentativo meschino di emulazione da parte di una nobiltà non paragonabile a quella cittadina dei Guermantes. Un mondo parallelo, ancora più ridicolo del precedente; una giustapposizione di vizi che non godono nemmeno del primato dell’originalità. In tutto questo, il narratore ancora ricorda la nonna e compiange un tempo che non tornerà.