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Vita contraddittoria
Infondere la vita a un corpo inanimato, il mistero della creazione, un desiderio folle ed egocentrico di spingersi oltre l’ umano che sconfina nella follia e nella solitudine più vera.
Frankenstein , celeberrimo romanzo gotico di Mary Shelley, nato per giuoco, capostipite di una certa letteratura che può definirsi fantascientifica, è un lungo racconto polifonico che riproduce la vita di Viktor Frankenstein e del demonio da lui generato, un’ idea di eternità presto sprofondata in un abisso di finitezza, tra inquietudine, disperazione, sensi di colpa, silenzio, vendetta, ricatto, amore sottratto e negato.
La duplicità creatore-creatura rispecchia un’ alternanza che restituisce caratteri umani e demoniaci sovrapponendo un giuoco di ruoli che sconfina nell’ inverosimile.
Viktor e il mostro da lui generato, intrecciati indissolubilmente dal potere divino della creazione, separati alla nascita, conservano un legame a distanza, quel cordone ombelicale mai spezzato, eco di ripetuti misfatti, si cercano, si temono, si inseguono, ribaltando continuamente il ruolo di vittima e carnefice, in attesa delle mosse altrui, si servono del reale a fini personali, vivono nell’orrore ricoprendosi di vergogna.
L’uno non potrà svelarsi dopo avere annientato le vite dei propri cari in nome della personale sete di conoscenza, l’ altro respira la terribile condizione di chi ricerca l’ amore già sapendo di non essere amato, vittima di un desiderio di vendetta che possa mettere a tacere i torti subiti.
Opposti che si attraggono, accomunati da un attimo di eternità che sconfina in un egocentrismo folle e perverso, un racconto con un epilogo inevitabilmente tragico agli occhi di chi si ritrova spettatore dell’ incredibile narrazione.
Una creatura dal corpo deforme dotata di sentimenti e passioni rigettata dal proprio creatore, un demonio la cui barbarie ha svuotato il cuore per colmarlo del più amaro e inestinguibile rimorso.
Origine condivisa, lo stesso epilogo, strade opposte ma complementari, l’ amaro calice del rimorso nelle proprie ferite finché la morte non le richiuderà per sempre.
Un romanzo con i tratti di un lungo racconto, resoconto crudo, spietato, oggettivo, che tratta di scienza medica per sconfinare in riflessioni postume su una vita guidata da un divino fallimento, priva di senso in nome della vita medesima, inscenando un inseguimento dai ritmi serrati ai confini del mondo, braccati dalla propria ombra, guardandosi le spalle, accecati dalla disperazione e dalla sete di vendetta.
Riflessioni prolungate accompagnano le voci dei protagonisti, restituendo un’ umanità inquieta e corrotta nella propria ambivalenza, cieca nello sguardo, arida nei sentimenti, sottratta a qualsiasi illusoria romantica tenzone a cui vorrebbe donarsi.
“ Frankenstein “ restituisce una duplice valenza, simbolo della contraddizione umana schiava di un ideale da una parte votato al superamento dei confini naturali, sostituendosi al Sommo Creatore, dall’ altro impaurita dall’ orrore di un futuro retto da una progenie demoniaca.
L’ eterna lotta tra Bene e Male popola sogni e incubi, paure e incertezze, quell’ immaginario che pare confondersi e alternarsi nella constatazione della propria ineludibile finitezza fino all’ autoannientamento, unica via di ripartenza.