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Sogni e desideri
“All’ombra delle fanciulle in fiore”, parafrasando il titolo, è il volume dei “bocci”: giovani donne nel fiore dell’età e della giovinezza, i primi e sofferti amore dell’io narrante, atmosfere vaporose dell’estate, aria di vacanza.
Chi ha letto il primo volume, sa molto bene che i titoli sono indicativi: il contenuto torrenziale, dalla prosa ricca di volute, a trama quasi zero, è un fluire di ricordi, di suggestioni, di sensazioni, di riflessioni.
La lettura della Recherche, che sia il primo o l’ultimo volume, porta con sé sempre un po’ di smarrimento: ogni romanzo che la compone nella sua complessità è privo di quella struttura cui il lettore ha bisogno per orientarsi, per usare le parole di Carlo Bo, per “legare la risposta alla domanda, la soluzione al problema”. E invece con Proust tutti questi canoni saltano, vengono ribaltati e stravolti: ci troviamo di fronte ad una trama moltiplicata all’infinito.
L’opera riconferma dell’impareggiabilità di Proust, incoronata, stavolta, dal Premio Goncourt e anche dal plauso del pubblico.
Di fronte ai capolavori sublimi della letteratura mondiale, ogni commento entusiasta è pur sempre poca cosa.
La Recherche du temps perdu non è una rappresentazione della realtà, ma è una ricerca del passato , di quel “paradiso perduto” da far rivivere ogni volta dentro di sé, è una ricerca della verità. Una verità che però rimane pur sempre parziale e Proust lo sa e sembra -mi verrebbe quasi da dire - che ami lasciare il lettore in questa situazione di sospensione. Proprio come faceva al di fuori della finzione letteraria, stando a quanto testimoniato dalla governante del nostro scrittore, Céleste Albaret, nel libro Monsieur Proust.
Anche qui vi sono più centri e nuclei narrativi che si possono grossomodo ricondurre alle due parti che lo compongono: “Intorno a Madame Swann” dove l’io narrante si innamora della figlia di Swann, avuta da Odette, Gilberte, e dal capitolo delle vacanze a Balbec, dove impararerà ad amare Albertine.
Nella prima parte, quella che nel primo volume ci era sembrata una giovane cocotte scialba, ignorante è qui innalzata al ruolo di Madame Swann, donna matura, circondata da innegabile fascino e da immancabili corteggiatori. Lo scrittore ama mostrarci le sue toilettes, ci mette al corrente dei pettegolezzi scambiati con le sue ospiti nel grande salotto di casa Swann. Cura del dettaglio e studio delle impressioni: questa è una delle mille sfumature di colore che compongono la tavolozza del talento di Proust.
Il lettore non ha il tempo di sentire l’amaro in bocca per l’infelice matrimonio di Swann, che prova compassione per il povero Je narrante che si innamora, non ricambiato, di Gilberte. La prima parte, come anche nella seconda, include sempre un interessante spaccato sulla società che cambia, sull’aristocrazia che odora di stantio e che guarda con disprezzo e timore i parvenues, i nuovi ricchi così ben rappresentati nel primo volume dai Verdurin. Proust ce li fa conoscere senza raccontare in terza persona i personaggi più rappresentativi, ma attraverso il particolare dei loro vestiti, l’arguzia o l’imbecillità dei loro discorsi, la loro sensibilità verso l’arte, la natura, la bellezza, attraverso i loro discorsi. Sono personaggi che a volte sembrano avere vita propria anche al di fuori del romanzo stesso.
Ed è così. È innegabilmente così.
La seconda parte del romanzo è ancora più coinvolgente, più emozionante, probabilmente non ci saranno le stesse atmosfere nei volumi successivi: in Nomi di paese: il paese (da notare la variazione con il titolo dell’ultima parte del precedente volume) l’io narrante è con l’amata nonna a Balbec per respirare l’aria di mare benefica per la sua malattia, l’asma. Come nell’ultima parte del precedente volume, il richiamo all’Italia, al desiderio di vedere quei luoghi, coi suoi paesaggi coi suoi tesori d’arte fa da preludio al capitolo dedicato ai sogni, alla speranza di conoscere la bellezza, quindi al desiderio.
In questa parte l’amore e il legame con la nonna si mostra in tutta la sua necessità
“Una volta le dissi: “«Senza di te non potrei vivere. — Ma non bisogna, mi rispose con voce turbata. — Bisogna indurire il nostro cuore. Altrimenti, che ti succederebbe se io partissi per un viaggio? Spero invece che saresti molto ragionevole e molto felice. — Saprei essere ragionevole se tu partissi per qualche giorno, ma conterei le ore. — Ma se partissi per dei mesi... (a questa sola idea mi si stringeva il cuore) per degli anni... per...». Tacevamo tutti e due. Non osavamo guardarci. Eppure, soffrivo più della sua angoscia che della mia”.
E’ il romanzo della giovinezza, della “ridicola età, un’età per nulla ingrata, anzi feconda caratterizzata dallo stupore, dalla meraviglia, dagli errori di valutazione delle persone e quindi delle prime grandi delusioni. E’ il romanzo del sogno e del desiderio”.
“La pressione della mano di Albertine aveva una dolcezza sensuale in armonia, si sarebbe detto, col colorito roseo, leggermente mauve della sua pelle. Era una pressione che sembrava farvi penetrare nella fanciulla, nella profondità dei suoi sensi, come la sonorità della sua risata (…)”
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Superbo.
Grazie Emilio!
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Quanti scrittori successivi gli sono debitori, pensiamo ad alcune opere di M. Yourcenar, all'intera opera letteraria di Modiano o della nostra Lalla Romano, che intitolò "Una giovinezza inventata" un suo noto libro, "inventata" proprio in senso proustiano di colta poeticamente nella soggettività consapevole a distanza di tempo.