Dettagli Recensione
NEKO SENSEI
Contrariamente a quanto riportato nei sottotitoli di copertina, non è un romanzo allegro e non ha per protagonista un gatto.
Il gatto più che altro si muove ai margini, in un ruolo al confine tra attore e spettatore di quella che è una storia dai tipici connotati giapponesi e che ruota attorno ad uno bislacco professore di inglese (alter ego di Soseki) a cui il gatto si lega così da assicurarsi vitto e alloggio. Poco importa se la considerazione che ne ricava è scarsa, tanto da non vedersi attribuito nemmeno un nome. Non è questo a minare l’identità e la fierezza del micio che non si lascia certo soggiogare da codici e sovrastrutture di cui abbisognano gli umani per riconoscersi.
E così dall’alto del suo serafico distacco, il gatto assiste e narra le vicende che vertono attorno al professore e alla sua bizzarra compagnia. Un manipolo di amici, familiari, vicini che tra il serio e il faceto cercano di evadere dal grigiore quotidiano delle loro esistenze, con maldestre velleità artistiche, sit-com amorose, battibecchi tragicomici, aneddoti surreali, elucubrazioni pseudo-filosofiche. Tra queste, spicca sul finale, la riflessione sull’asservimento dello spirito giapponese alla cultura occidentale che, imperniata attorno all’individuo e alla piena espressione del Sé, ne segna inesorabilmente la chiusura, l’avviluppamento attorno al proprio ombelico, la condanna alla solitudine, la salvezza nel suicidio. Preludio ad un finale che si snoda in una manciata di righe. Quanto basta per serrare un morso allo stomaco.
Commenti
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Mi ha invece lasciato un segno il finale, che pure non è una specialità dei giapponesi.
Una vera stoccata di fioretto: scarno, rapido, crudo, colpisce per la grazia. E con quella poi uccide.
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Apprezzo molto l'autore. Non so però se questo libro possa essere nelle mie corde.