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Un classico imperdibile del Novecento
Scritto tra il novembre del 1943 e il febbraio del '44, il testo satirico-allegorico “La fattoria degli animali” vide la pubblicazione in patria solo alla fine della guerra dopo la travagliata ricerca di un editore, mentre la prima edizione italiana comparve nel 1947. Fu lo stesso George Orwell, al secolo Eric Arthur Blair, a parlare della faccenda, e delle difficoltà incontrate nel proporre l'opera, in un breve saggio dal titolo particolarmente significativo, “La libertà di stampa”, che sottolinea più che altro i meccanismi di autocensura in un Paese libero e democratico come l'Inghilterra dell'epoca.
Il libro prende di mira, neanche troppo velatamente, il regime sovietico e non c'è da stupirsi del tirarsi indietro da parte degli editori inglesi interpellati, magari dopo essersi consultati con il Ministero dell'informazione, poiché Stalin era allora un alleato della Gran Bretagna nella guerra contro il nazismo. Come ben sappiamo, con la fine del conflitto mondiale le condizioni politiche mutarono. E se il primo ministro Winston Churchill pronunciò per davvero le parole “abbiamo ucciso il maiale sbagliato”, alludendo al fatto che, morto Hitler, il dittatore sovietico fosse il porco superstite, ci sarebbe da sorprendersi nel constatare come la categoria suina trovi ampio spazio all'interno di questa geniale narrazione orwelliana.
La trama in sintesi: la Fattoria Padronale del signor Jones si trasforma, attraverso un'improvvisa rivoluzione, in Fattoria degli Animali, libera dalla presenza umana e autogestista dalle stesse sue bestie. I capi indiscussi della rivolta sono due scaltri maiali, Napoleon e Palla di Neve; il primo finisce per fare le scarpe al secondo e da quel momento la rivoluzione inizia a prendere per davvero una bruttissima piega. Slogan, discorsi retorici e menzogneri, marce e parate, sempre più duro lavoro e razioni di cibo insufficienti per gran parte dei “compagni” che, per quanto “eguali”, non sono però eguali allo stesso livello di altri. A tutto ciò, si aggiunge a poco a poco il culto del leader, cioè del verro Napoleon che, dopo essersi sbarazzato a tradimento del potenziale avversario con cui non aveva intenzione di dividere il potere, impone un regime basato sul controllo e sulla paura, circondandosi oltretutto di fedeli cani ferocissimi. Infine, l'avvicinamento sempre più palese da parte dei maiali alle abitudini umane segna (in peggio) il destino della rivoluzione.
Una critica dissacrante, quella di Orwell, un'aperta condanna della società comunista e stalinista. La prosa è molto scorrevole e, inizialmente, strappa anche qualche risata che, però, lascia ben presto il posto a sorrisi piuttosto amari, sino a giungere all'epilogo a dir poco inquietante che rivela tutto il dramma di una realtà politico-sociale che, come la Storia ha dimostrato, non poteva che crollare ignominiosamente su se stessa.
“La Fattoria degli animali” è senz'altro un classico imperdibile del Novecento, adatto sia ai lettori più giovani sia a quelli meno giovani: ai primi offrirà una sorta di favola allegorica da cui trarre i giusti insegnamenti; ai secondi, invece, un ritratto impietoso di ciò che è stato e del totalitarismo che, a prescindere dal comunismo in sé, resta un pericolo sempre in agguato.
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