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Umiliati e offesi
 
Umiliati e offesi 2022-02-15 23:59:38 abyssenoir
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4.8
Stile 
 
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Contenuto 
 
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abyssenoir Opinione inserita da abyssenoir    16 Febbraio, 2022
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umiliati e offesi, derisi e...vincitori. SPOILER

Guizza alla mente, lampante, una curiosità, quale tutti legano in seno; Quando, uno scrittore, davvero riporta la realtà oggettiva dello svolgimento dei felici o mesti accaduti? E' una domanda che, scaturisce timida, inopportuna, incredula.
Menarsi entro un'aia, di un magno torsolo di carta, sottende a svincolarsi ancora in altri piccoli atrii. Quanti morsi ci vogliono ancora per addentarlo? Nel frattanto che, sono sazio, sono saturato dal torsolo, come posso ancora renderlo tale ad un giulebbe? Forse, posso almanaccare qualcosa, e farne un crogiolo assai saporito. Rendere ambo i sapori autentici, interscambiarli. Un frutto così purgato come la mela, naturale, che vien poi detrito, dalle intemperie della mente che vuol che sì, quel pasto diventi quantomeno agrodolce.
Il numinosissimo mestiere di scrittore è questo, come biblicamente realizza un profeta; trasformare, mutare, surrealmente qualcosa, in un altra cosa sommariamente utile, o comunque presso a poco così. Dostoevskij scrive nel 1861 Umiliati e Offesi, un'opera 'rozza', una bozza scaramantica di quel che poi saranno tomi di gran spessore; Delitto e Castigo (1866) e L'idiota. (1869). Umiliati e offesi nasce a scatti, una trama che vien pubblicata a macchia di leopardo su 'Vremja', come d'altronde ogni manoscritto ancor in nuce nella mente del nostro autore. Un mero Feuilleton russo; Dostoevskij s'ispira ai romanzi di appendice francese, ciò infatti gli costò diversi elogi o massacri; gremito di colpi di scena, ingarbugli e guazzabugli, fili conduttori e fili recisi, digressioni o vicende lasciate a metà e poi raggiunte più innanzi.
I personaggi sembrano molto caricati; cadauno rimarca o scema il parossismo dell'altro. Le due storie sono assolutamente un pantano di coincidenze, di assoluta vicinanza, di cupezza, di melliflua tribolazione. La teoria del doppio, la diaspora dell'io, l'andirivieni del carnefice-preda, le attente meditazioni, descrizioni dell'animo umano permeano la narratio dostoevskiana, come altresì circoscritto nel massimo esempio di narrativa; L'idiota.
Il titolo nomato, è uno dei più incisivi tra tutto il corollario romanzesco dostoevskiano. Umiliati e offesi, da chi? da chi l'onta? l'umiliazione? la prosternazione avvilente? dal popolo lubrìco, il popolo agiato, la gente già di per sé vilipesa che infligge ancor più infime malefatte ai deboli. ai degenti, fra i ricchi e i vigorosi. Un golfo di intristita esposizione narrativa, quasi sofferente, dacché spunta fuori la secondaria vicenda della piccola Nelly, o Elena; orfana, indigente, viene accolta nella casa degli orrori della Bubnova. Tra schiaffi, pugni, calci e invettive, epiteti ingiuriosissimi, la piccola ammutolisce sempre. Più la ferocia dell'ubriacona è violenta, ancor più insolente è il silenzio di nelly, finché un Ivan Petrovic -Dostoevskij stesso- non s'incappa sinché un Ivan Petrovic -Dostoevskij stesso- non s'incapperà da quel frangente in poi, nel secondo filo narrativo della tragica storia Nelly/Smith/madre di Nelly. Ivan, è uno scrittore in erba, da poco immolatosi al corpus della letteratura; si possono decifrare meglio i crucci, i rovelli, e i rudimenti della scrittura dostoevskiana; allude sottilmente, alle prime cuciture del romanzo ‘’Povera Gente’’ il quale, riesce a sublimare l’autore aderendo al panorama circoscritto. Il teatro ‘scritturale’ messo in gioco, sdilinquisce l’autore stesso –egli interagisce, patisce per la sorte delle proprie creature, rivela- ; i personaggi come dei sosia diversi, passivamente subiscono il sudore della penna, sono delle marionette che attingono il proprio ruolo alla realtà ingarbugliata con il sogno. Tutto sembra prender forma sotto la pressione della penna, Dostoevskij fornisce di che conoscere sul proprio modus operandi; ultima i romanzi e li consegna all’editore-fiduciario entro due notti, disvela l’attaccamento verso i libri, e il suo trasporto, paragona il poeta o scrittore ad una sorta di persona ingenua, sciocca per sua la condizione franca, bonacciona, fors’anche gaglioffa. Trasmuta ansie, ricordi, lavoro letterario. Il carattere analitico-apprensivo-meticoloso lo ritroviamo in continue interpolazioni descrittivo-costruttive, il costeggiare delle opere-sogni è sempre una preterizione subdola. ‘'mi pareva che tutto ciò accadesse in un sogno” elemento chiave di tutta l’opera omnia; un tale riecheggio trasognante, lo ritroviamo anche nella tenerissima, controfattuale, rimordente amara conchiusione del romanzo. ‘’Vanja! Vanja!, non era che un sogno!’’... ripeté Natasa.
Natasa/Alesa/i genitori di Natasa/il principe o padre di Alesa è il primigenio intreccio narrativo, contrassegnato da cliché romantici, languide esposizioni di amore, il perir d’amore di una protagonista degna di eroismo romantico. Natasa, doppio di Nelly, è ben discrepata dall’attinenza fuggitiva della seconda. Ritroviamo una Natasa angusta all’interno di tuguri, pallida, meditabonda, ben indulgente con Alesa, che quasi masochisticamente –come Ivan- trovano una sorta di godimento nella propria condizione grama e insofferente. Alesa è designato come un bambino eterno, ingenuo, puerile, puro di sentimenti e intenti. Ama Natasa, ma è mal accoppiato con quest’ultima. Natasa ne è cosciente, segue difatti una lettura immersa in sfoghi sentimentali, di lacrime variopinte di quest’amore così malconcio, eppur sì forte; ella, si configura una ‘delirante’, una folle d’Amore per Alesa. Cela sovente il malcontento, la delusione, la tristezza, l’esosa ira dacché scopre gli innumeri tradimenti di Alesa; non solo carnali, bensì elettivi. Alesa ne è conscio, ma ambo i due amanti invizziti sembrano doversi pasteggiare, miscelare, confrontarsi per porre rimedio alle perpetue assenze, fuoriuscite e pantomime trite e ritrite amorose. Nelly, invece è l’estremo tangibile di Natasa; Si aggira per le strade Pietroburghesi, bighellona qua e là, fugge scappa e rifugge, dimentica della perigliosità del proprio eremitaggio. E’ solo una bambina, derelitta, una preda comune per tutte le persone assetate di un’intaminata anima, che alla sua età, ha già a usura scorto tanta umana ignominia. I prodromi iniziali, la scomparsa di Smith, la degenza dell’io narrante che presagisce una morte sicura, una vicenda apparentemente regolare che attivamente subisce delle deformità, congiungono all’avvento di fatti appurati, incidenti e scontri. L’elemento gotico permea quasi in tutto il discorrere su Smith; un vecchio decrepito, languido, schivo, infermo quale con il suo cagnolino Azorka –salvato dalla figlia di Smith dall’esecrante viltà di perfidiosi ragazzini-appare esser un cenobita terrificante, che infatti non riconosce la luminescente essenza del perdono. Ivan, dunque fa da spola, annaspa qua e là, è foriero di cattive e buone imbasciate ai genitori di Natasa (Nikolaj Sergeic e Anna Andreevna) la separazione, o abbandono della figlia non è affatto vissuta di buon animo. Il padre, un gomitolo di amore, di venerazione verso la figlia, si sente umiliato e offeso da quest’ultima; la maledice, proprio come Smith riversa a sua figlia, la quale scappa con l’avveniristico padre di Nelly, abbandonata poi, da questi in pregnanza. Natasa, altresì subisce la vessazione di figlia fedifraga, ingrata, indegna e così dice addio ai suoi, con lacrime sincere e nostalgiche di casa –legge la poesia di Polonskij, la sonagliera- sciorinando continui malanni, pallidume e affanni.
Ma la maledizione è troppo fiacca. Non ha effetti, seppur la causa grava. Le sorprendenti passioni umane delle quali D. incanta spassionato, riescono a diramarsi, a proliferarsi, cosicché ambo le due storie avranno due distinti destini. Alla ribalta, mi costerna farlo, eppure debbo; Il principe Valvovski è uno di quei personaggi statici, viene presentato esattamente così com’è, durante la narratio diverse volte, e in occasioni più o meno ambigue o indesiderate staglia una ludica, impudica, rude verità del parlare, l’antipode del morale, l’incresciosa caduta di stile dell’essere umano, insomma. Ciascheduno, ingloba una metamorfosi; Nelly si lascia affocare dal meridiano dell’amore, si scioglie pur provando temenza, vergogna, a quelle che sono le buone attenzioni, Natasa accetta, svilita ed esangue, l’abbandono di Alesa con Katja (i ben accoppiata) risospingendosi dai suoi, ritornando a far parte di quel nucleo familiare, quell’involucro che dapprima la opprimeva e che or ora la riammetteva, anche se deprivata della propria sessualità, quantomeno. Il principe Valvovski, allorché avrà adito all’incontro a cena con Ivan, ostenterà tutto quel barile di umana scelleratezza, nefandezza nera.
‘’-se potesse avvenire, dico, che ciascuno di noi fosse obbligato a rivelare i lati più nascosti di se stesso, ma in condizioni tali da non temere di far luce non soltanto su tutto ciò che non direbbe mai agli uomini...ma persino su ciò che non osa confessare a sé stesso, ebbene, in questo caso, nel mondo si spargerebbe un tale fetore da soffocarci tutti quanti.” Prosegue rivelando il grimaldello che il lettore, presumibilmente, avrà già indovinato qualche pagina fa. Parte terza, cap X. Interessante è l’incrinatura della morale, dissacrante e rudimentale è la voce della malvagità che rabbuffa ciò che oggi rinomiamo eticamente giusto, o moralmente sbagliato. L’auspicio, s’intende, è quello di ponzare, liquefarsi, arrovellarsi, contorcersi e porre nel cartellario cerebrale una duplice visione della realtà.
Fa da uccel di bosco anche il cibo; un’anoressia indotta percorre il racconto, tutti sembrano nutrirsi SOLO di bevande, minestre, e vivande alcoliche. La guantiera gremita di piatti opulenti, sembra esser sempre intonsa, mai presa d’assalto da alcuno stomaco
E Dostoevskij è un alacre persecutore della penna proprio in questo; rappresentare ogni fattezza umana in quel che è, non camuffare alcunché. Assommare nell’arcoscenico di scrittura i corrotti e i semifolli; tutti, annesso Maslobojev, vecchio compagno di studi di Ivan, che sebbene viva di espedienti, ragionamenti ostici e bagordi, è una sorta di agente che vien soggiogato dall’esborso di ingente danaro...
Umiliati e offesi è una pullulante risposta che senza batter ciglio, vuole escutere i propri lettori, in un certo modo vuole offender essi, li vuol pizzicare, li vuol tener legati a corde di canapa. Ognuno è asservito dal brutto vizio dell’universo: La nefasta condizione degli umili tirannica, intomba questi neofiti del male nel calvario dell’etanolo, del danaro, del puntiglio avamposto alla ragione, dell’orgoglio leso dinnanzi ai propri affetti, che non perdona, e che esima ricordare.

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Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
Ribadisco; quasi l'opera omnia Dostoevskiana.
Di certo, questa non è un'opera minore, come d'usanza si suol credere!
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Commenti

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Ciao Sabrina, davvero originale questa tua recensione in stile "gaddiano"! Sarei davvero curioso di vederti recensire il Pasticciaccio :)
In risposta ad un precedente commento
abyssenoir
16 Febbraio, 2022
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Ciao giulio! grazie per il tuo commento.
magari sì, perché no! :)
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