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DA TOLSTOJ A ROSSELLINI
basterebbero forse le parole di Cajkovskij: "Ho letto la morte di Ivan Il'ic. Sono più che mai convinto che il più grande scrittore di tutti i tempi è Lev Nicolaevic Tolstoj". C'e' ben poco da aggiungere. Questo lungo racconto rappresenta uno dei vertici nell'opera del grande russo. Mai prima di allora, il tabu' della morte e l'orrore dell'uomo che, impotente, ne osserva l'avanzata inesorabile, erano state rese con tale potenza e verità. Essenziale, scarna, ma allo stesso tempo provocatoria e straordinariamente moderna, la prosa di Tolstoj colpisce direttamente alla bocca dello stomaco .
Il protagonista del racconto è un alto funzionario di quella incredibile macchina burocratica che paralizzava la Russia zarista. La sua condotta di vita, in perfetta armonia con le regole dettate dalla società e solidamente improntata all'insegna del decoro, tende continuamente verso agognati avanzamenti di grado nella pubblica amministrazione nonchè alla soddisfazione di piccoli e ben tollerabili capricci borghesi. Le scelte personali, il matrimonio, le amicizie e le frequentazioni obbediscono tutte a questa logica. La vita scorre placida senza che dubbi o contraddizioni di sorta possano scalfire la compiaciuta coscienza di Ivan Il’ic.
Poi accade l’imponderabile: un banale incidente domestico è all’origine di una lunga ed implacabile malattia. Con crudo verismo e profonda pietas, Tolstoj descrive il progressivo decadimento fisico e l'abbruttimento morale derivante dal perdurare del dolore, ma soprattutto rende con straordinaria efficacia quell'infinito senso di solitudine dell'uomo di fronte alla morte:"...quella solitudine in mezzo a una città piena di gente, e ai suoi innumerevoli conoscenti e alla sua famiglia, una solitudine più completa della quale non poteva esserci niente, da nessun’altra parte, né sul fondo del mare, né sottoterra ..."
Il lento e costante avanzamento del male e la consapevolezza della fine imminente costringono Ivan Ilic a fare i conti con la sua vita.
D’un sol colpo, il velo di menzogna ed ipocrisia che celava profonde ed eterne verità si solleva mostrando impietosamente la vacuità di una esistenza vissuta inutilmente. Il dolore stesso è funzionale a questo processo catartico. Con esso, i veri valori dell'uomo riprendono prepotentemente il loro posto e quel castello di misere sovrastrutture in cui la nostra debolezza trova rifugio, si scioglie come neve al sole. Al termine del suo calvario, una abbagliante luce, al contempo laica e divina, appare a Ivan Il'lic nel momento della riappacificazione con l’eterno.
Tolstoj è un autentico gigante della letteratura e questo libretto è di quelli che turbano le coscienze. Riecheggia in me la celebre battuta di Fabrizi/Don Pietro in Roma città aperta (citazione di un verso di Majakovskij?): “Non è difficile morire bene, è difficile vivere bene"