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«Questo groviglio mortale»
Nel saggio "L’eroe tragico moderno", Agostino Lombardo scrive che l’"Amleto" è un’opera così ricca e polivalente, così problematica, misteriosa e sfuggente – in una sola parola, così moderna – da non tollerare né la schematizzazione né una definizione e che qualsiasi discorso su di essa non può che essere una semplice introduzione. Il dramma e il suo protagonista presentano infatti i significati, le luci e le ombre che gli hanno attribuito tanto Shakespeare quanto i critici e i poeti successivi che si sono interrogati su di esso.
L’unica interpretazione che sembra in grado di abbracciare interamente l’opera è quella che la vede come immagine dell’uomo moderno posto di fronte al «misterioso labirinto del reale», un universo oscuro, sfuggente, problematico, da interpretare senza l’appoggio delle certezze medievali, crollate con l’avanzare dell’età moderna: l’affermarsi della visione copernicana dell’universo in sostituzione di quella tolemaica, l’espansione della Riforma, la scoperta di nuovi mondi, il lento crollo dell’ordine feudale ed aristocratico sotto la spinta degli “uomini nuovi”, l’incertezza politica determinata dalla morte imminente della regina Elisabetta, lo sviluppo della nuova scienza. Questi eventi cambiano profondamente la fisionomia del mondo medievale e danno vita ad una realtà davanti alla quale l’eroe tragico moderno e shakespeariano appare segnato da smarrimento, perplessità, cecità. Il tema dell’enigmaticità e della conseguente difficoltà di lettura del mondo percorre l’intero macrotesto shakespeariano, da Bruto ad Amleto, da Macbeth a Otello, ma trova proprio nell’"Amleto" la sua espressione più profonda e problematica.
Già il "Giulio Cesare", che precede immediatamente l’"Amleto" e ha un rapporto molto stretto con esso, offre un’immagine fortissima della fragilità umana e della relatività e mutevolezza del reale, diventato qualcosa di inafferrabile, sfuggente e osservabile da mille punti di vista. Il dubbio di Bruto davanti al dramma insolubile dell’uccisione di Cesare incarna il tormento dell’uomo moderno che non sa più quale strada intraprendere al cospetto di un modo radicalmente mutato.
Nell’"Amleto" la domanda di Bruto divampa e si amplia enormemente: non solo cosa fare e come comportarsi, ma anche cosa è il bene e cosa è il male, cos’è la vita e quali sono le sue ragioni, cos’è la morte e cos’è Dio, cos’è l’uomo e quali sono i suoi rapporti con se stesso, gli altri, la vita e ciò che lo aspetta dopo di essa. Come molti altri drammi di età elisabettiana, l’"Amleto" è un remake, rifacimento di uno spettacolo precedente, e la differenza più importante tra il testo shakespeariano e il suo modello è proprio l’aggiunta al personaggio di Amleto della dimensione del pensiero, della consapevolezza, della coscienza morale, totalmente assente nel dramma e nelle altre fonti dalle quali Shakespeare ha preso ispirazione.
Amleto è emblema dell’uomo moderno consapevole della nuova, difficile realtà, «disjoint and out of frame» (indebolita e fuori di sesto), che gli si presenta quando l’ordine tradizionale scompare e impegnato nel tentativo di decifrarla e chiarirla a se stesso e agli altri anche per mezzo del teatro. Come Bruto, Amleto dibatte angosciosamente sul proprio comportamento, si pone domande continue, non dà nulla per scontato e nulla accetta dall’esterno o dall’alto, ma tutto vuole personalmente sondare, verificare, sperimentare, capire. Scrive Agostino Lombardo che il dubbio e l’interrogazione diventano così «la condizione permanente» della modernità.
Il dramma si apre con una domanda, quasi fosse una vera e propria scelta di metodo. «Essere o non essere – questa è la domanda» riflette Amleto nel celebre monologo all’inizio del terzo atto. Tutti i personaggi si pongono interrogativi che sono il corrispettivo formale dei loro dubbi e assumono a turno il ruolo di inquisitore e di informatore, nessuno ha certezze e a tutti la realtà non offre che misteri e ambiguità: gli uomini sugli spalti si chiedono il motivo del loro fare la guardia, il re e la regina si interrogano sullo strano comportamento di Amleto (che dunque è soggetto e oggetto della domanda al tempo stesso), Polonio indaga sul comportamento del figlio Laerte a Parigi e poi interroga Ofelia per sapere quali siano esattamente i rapporti tra lei e il principe Amleto. Domande particolari e allo stesso tempo universali, solo in apparenza legate a una situazione specifica, ma in realtà derivanti dalla mancanza di certezze esistenziali e metafisiche: Amleto è sì in dubbio su uno specifico atto da compiere, la vendetta, ma lo è perché della vita intera coglie il mistero, l’ambiguità, la contraddizione. Lo stesso meccanismo del teatro nel teatro, che occupa la scena centrale del dramma e svela la colpevolezza di re Claudio, è finalizzato a dare una svolta decisiva alle indagini di Amleto: il teatro è strumento privilegiato di comprensione del reale. L’opera assume quindi la forma di una serie di inchieste, indagini e contro indagini parallele su «questo groviglio mortale», come Amleto definisce, nel monologo all’inizio del terzo atto: l’intricato nodo di contraddizioni che sono la realtà e le azioni umane.
La domanda più importante fra tutte quelle che aleggiano nel dramma è forse cosa sia lo spettro che appare a mezzanotte sugli spalti del castello di Elsinore affermando di essere il fantasma del padre di Amleto e chiedendo vendetta per il proprio assassinio. È una questione cruciale, poiché l’azione di Amleto, o meglio, la sua riluttanza ad agire, dipende proprio dalla corretta identificazione della vera natura di questo personaggio: il principe vuole una prova della colpevolezza di Claudio e non intende uccidere solo perché spinto da una misteriosa entità sovrannaturale. La natura dello spettro, però, è destinata a restare sconosciuta e indecifrabile fino alla fine e tale incertezza è forse la manifestazione più sconcertante dell’enigmaticità dell’universo in cui sono immersi i personaggi della tragedia.
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Sicuramente un'opera "ricca e polivalente, così problematica, misteriosa e sfuggente". Cinque aggettivi che ne rappresentano tutta la complessità e il fascino. Per me, il capolavoro dei capolavori del grande drammaturgo inglese.