Dettagli Recensione
Frammenti
Un vero peccato che Franz abbia deciso di dare alle fiamme buona parte della sua produzione letteraria. Questa triste decisione è quantomai evidente nella lettura di questa raccolta (edita Mondadori) di tutti i suoi racconti arrivati fino a noi; o meglio, di ciò che di essi è rimasto. Sì, perché quelli raccolti all’interno di questo libro - soprattutto all’inizio - sono molto spesso dei semplici frammenti che potrebbero appassionare un profondo studioso dello scrittore praghese, ma frustrare chi al loro interno voglia cogliere un senso. Di per sé, Kafka non è già uno scrittore semplice da affrontare, figurarsi quanto sia difficile seguire racconti spezzettati o senza conclusione. Devo ammettere che soprattutto la lettura della prima metà è quasi frustrante, tra racconti complessi e surreali fino all’eccesso (forse anche frutto di una scrittura ancora giovanile) e altri spezzettati e dunque incomprensibili.
La boccata d’aria si ha con “La metamorfosi”, che per la sua profondità personalmente considero non un racconto bensì un romanzo vero e proprio. Sebbene i racconti si facciano, col proseguire delle pagine, sempre più “integri”, devo dire che probabilmente Kafka dà il meglio di sé nei romanzi e nei racconti lunghi. Le storie lunghe una pagina o poco più sono per la maggior parte fine a sé stessi, senza una specifica profondità - a volte, non vorrei dire una blasfemia, addirittura senza senso - mentre quelli più lunghi permettono allo scrittore di sfoggiare tutta la maestria e la complessità di pensiero che lo hanno reso uno scrittore unico e inimitabile. Sono proprio queste produzioni, tra cui mi sento di citare “Nella colonia penale” e “Indagini di un cane”, a rendere questa raccolta di racconti degna di essere letta, anche se personalmente mi fionderei direttamente su queste storie e poche altre. La scrittura di Kafka è ostica, criptica, surreale, con un utilizzo scarsissimo di dialoghi che la rendono più lenta e difficoltosa (un esempio lampante di questo è il racconto “La tana”) ma estremamente soddisfacente quando se ne riescono a cogliere le sfumature di significato.
Ervino Pocar, nella quarta di copertina di questa raccolta, afferma: “I racconti stanno non solo a uguale livello, ma superano i romanzi: non esito a dire che un racconto come La metamorfosi vale certo Il castello”. Usare come metro di paragone un capolavoro come “La metamorfosi” non è proprio un gioco leale: non basta quello a risollevare tutto il resto. I racconti vanno considerati nel loro valore singolo, e mentre ce ne sono alcuni davvero degni di nota e dall’alto valore letterario, ce ne sono altri che lo sono molto meno. E se proprio volessimo indulgere in paragoni tra romanzi e racconti, quale di questi varrebbe un capolavoro come “Il processo”?
“Negli ultimi tempi ripenso sempre più alla mia vita, cerco l’errore decisivo, colpa di tutto, che potrei aver commesso, e non riesco a trovarlo. Eppure devo averlo commesso perché, se così non fosse e, nonostante ciò, con l’onesta fatica di una lunga vita, non avessi raggiunto ciò che volevo, avrei la prova che ciò che volevo era impossibile e ne seguirebbe il crollo di tutte le speranze.”