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Vivere e morire
«L’espressione di quel volto pareva dire che tutto quanto si doveva fare era stato fatto; e fatto bene. Inoltre conteneva come un rimprovero o monito ai vivi.»
Vivere e morire. Vivere in uno stereotipo precostituito, con il volto di una famiglia e di una dimensione forse nemmeno davvero scelta e desiderata quanto frutto di un volere comune, di una impostazione predisposta da terzi, da una società che impone i canoni e i dogmi da seguire, con un volto che non appartiene. Ma il tempo passa e con esso il nostro esistere tanto che un giorno, come un altro, ci rendiamo conto che proprio quel tempo che ancora possiamo passare su questa terra con i nostri cari, con i nostri affetti, con i nostri obiettivi, sogni, desideri e impegni, ha le ore contate. La morte sopraggiunge implacabile con la sua falce, il dispiacere colpisce eppure proprio quelle persone che abbiamo accanto sembrano essere quelle che sotto sotto sono più sollevate e rincuorate. Perché sono sopravvissute, perché non è toccato a loro quella sorte funesta seppur inevitabile per tutti.
Passano ancora i giorni, passano le giornate, la morte avanza con il suo incedere cadenzato eppure chi come il destinatario della sentenza di condanna è vittima e preda delle conseguenze è anche il prossimo congiunto, la famiglia, chi quelle urla sente e subisce.
E questo è ciò che accade a Ivan che si renderà conto che presto morirà e che per la sua condizione non vi sono possibilità d’appello. Noi lettori lo seguiamo passo passo in questo percorso senza ritorno, in questa strada a senso unico che consente di rivivere il vissuto e al contempo di analizzarlo e scrutarlo in tutte le sue criticità. Forse quei valori in cui credevamo non erano altro che apparenze? Forse quell’esistenza basata su consuetudini e dogmi imposti ha distolto l’attenzione dal vero essere?
«Ivan Il’Ic resta sente che è lui ad aver comunicato loro quell’uggia e che non può dissiparla. Cenano e si separano, e Ivan Il’ic resta solo, colla coscienza che la sua vita è avvelenata e avvelena quella degli altri, e che questo veleno non cede, ma anzi sempre più penetra tutto il suo essere.»
Tolstoj ci conduce per mano in questo viaggio, ci porta a prendere consapevolezza del nostro tempo finito, di quel che abbiamo e di quel che possiamo apprezzare e amare. Ancora, ci fa riflettere su quel che davvero ha riempito la nostra esistenza e su quel che invece avrebbe potuto riempierla al posto di insignificanti ore susseguite da piaceri fatui.
Un lungo racconto che è un crescendo costante che non delude le aspettative e che al contrario invita il conoscitore a riflettere su un tema mai scontato e banale. Un titolo intriso di magnetismo e riflessione.
«Tutto questo non fu che un attimo per lui, ma il senso di quell’attimo ormai non poteva più mutare. Per i presenti la sua agonia durò ancora due ore. Qualcosa gorgogliava nel suo petto; il suo corpo macerato si scuoteva. Poi gorgoglio e il rantolo si fecero sempre più rari. “È finito!” disse qualcuno su di lui. Egli udì questa parola e se la ripeté nell’anima. ‘Finita la morte’, si disse. ‘Non c’è più, la morte’. Trasse il fiato, si fermo a mezzo, s’irrigidì e morì.»
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