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Una fiaba russa
Petrùša, figlio di un nobile che ha servito come maggiore nell'esercito, viene arruolato ancor prima della nascita. La sua infanzia e la prima adolescenza si svolgono allegre e spensierate, nell'ansiosa attesa del momento in cui finalmente andrà a Pietroburgo per entrare nella Guardia reale, un corpo specializzato nella protezione dello zar e della sua famiglia. Nulla di troppo impegnativo, quindi, solo il fascino della divisa e la piacevole vita mondana della capitale. Quando Petrùša compie sedici anni, però, suo padre decide invece di destinarlo alla sperduta fortezza di Belogórskaja, ai confini delle steppe cosacche, affinché la durezza della vera vita militare faccia di lui un uomo. Il giovane Petrùša, che è ancora poco più che un bambino, si ritrova così nel bel mezzo della rivolta del cosacchi di Pugacëv, che tenta di rovesciare la zarina Caterina II e impadronirsi del trono, sperimenta la guerra, l'amore, il tradimento, l'appassionata difesa dell'onore e perfino, al di là di ogni previsione, la labilitá delle categorie che dividono gli uomini tra buoni e cattivi, amici e nemici.
"La figlia del capitano", romanzo storico composto nel 1836, è una delle pochissime opere letterarie in prosa di Puškin. L'autore è una sorta di padre fondatore della letteratura russa e questo breve romanzo è considerato uno dei suoi capisaldi. Eppure questo è uno di quei casi in cui, giunti al termine della lettura, ci si ritrova un po' perplessi a chiedersi il perché. Certo, non è un brutto libro, anzi. Quella di Petrùša e Màša, la "figlia del capitano", è una storia che ha il sapore di una favola. C'è l'eroe positivo senza macchia, ma con una buona dose di realismo e praticità, e se all'inizio sogna la gloria dell'uniforme, è consapevole che sacrificarsi è «una spacconata inutile» e alla fine è felice di tornare a casa. C'è la fanciulla pura, ingenua e innamorata persa dell'eroe. C'è il perfido oppositore (che non è Pugacëv, al contrario di quello che ci si potrebbe aspettare) e gli aiutanti dell'eroe, alcuni dei quali decisamente insospettabili. I personaggi hanno quasi tutti un qualcosa che li fa restare impressi: "la capitana", moglie del capitano della fortezza di Belogórskaja, che comanda al posto d marito, o Savél’ic, cocchiere di Petrùša e suo comico e fedelissimo servitore, o lo stesso Pugacëv, con il suo curioso miscuglio di ferocia e compassione, sono indimenticabili. E indimenticabile è l'atmosfera russa che trasuda dalle pagine e avvolge completamente il lettore: il mondo contadino della Russia del Settecento è vivo, pulsante, come un antico ritratto a olio.
Purtroppo, forse anche a causa della brevità del testo, si ha l'impressione che una certa superficialità aleggi su tutto. I personaggi sono caratterizzati in modo efficace, ma piuttosto piatti e privi di profondità e l'unico che fa un po' eccezione è Petrùša. I temi del romanzo (le rivolte sociali, il significato dell'onore, la crescita di un individuo che passa dall'infanzia alla piena giovinezza, la questione del doppio incarnata dalla contrapposizione tra Petrùša e Švàbrin) sono interessanti, ma affrontati senza un autentico approfondimento, risolti in modo rapido, semplicistico, o grazie a un intervento dall'alto. In alcuni passaggi tutto accade talmente in fretta che quasi si perde il nesso tra un evento e l'altro. Forse con un centinaio di pagine in più, per approfondire problemi e personaggi e dare alla narrazione i tempi di cui aveva bisogno, "La figlia del capitano" sarebbe stato davvero quel grande classico celebrato dai manuali. L'impressione finale è che sia solo un buon romanzo, una lettura piacevole, romantica e avventurosa, assolutamente consigliata a chi ama le atmosfere russe, ma nulla di più.
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