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"E ora era finita, doveva morire!"
Tutti sappiamo che dobbiamo morire, è un fatto conseguente semplicemente al fatto di essere nati. Ogni essere umano lo sa, ma trovarsi faccia a faccia con la morte è difficile, è un qualcosa che vorremmo negare in qualsiasi modo, rimandare o ignorare. Si tratta di un evento che è bene che stia il più lontano possibile da noi, sembra suggerire l’istinto di sopravvivenza.
Tolstoj invece ci consegna questo lungo racconto narrando – in una maniera notevolmente realistica e per questo, in alcuni punti, davvero toccante- gli ultimi mesi di vita di un uomo.
Ivan Il’ic è un giudice rispettabile, di mezza età, una persona perbene, onesta, ordinaria, che trascorre i suoi giorni appagando i suoi piccoli desideri quotidiani. Pensa di avere ancora molto tempo a disposizione e vive una vita tranquilla ma vuota e priva di significato profondo. Ivan Ilic potrebbe rappresentare chiunque di noi; forse è per questo che il testo risulta così scioccante nel suo realismo.
Infatti, un giorno come un altro, arriva la Morte. Arriva da lontano e lo prende lentamente, non in un colpo solo: egli raggiunge quindi in un modo straziante la consapevolezza che il suo tempo è scaduto. Ivan Il’ic si rende conto che presto morirà e noi lettori lo seguiamo nel suo percorso di riflessione, di disperazione e di abbandono finale. Lo seguiamo in quel passaggio che nessuno vorrebbe intraprendere e che sembra mettere in luce tutta la falsità e ambiguità che caratterizza la vita e le nostre relazioni. Con la chiarezza che ci dà la consapevolezza che il nostro tempo è finito, cosa possiamo apprezzare davvero? Ecco che tutto quello che prima sembrava riempire l’esistenza, il trascinarsi stanco di giornate laboriose ma insignificanti, i piccoli banali piaceri da accostarvi per alleggerirle, le relazioni basate sulla consuetudine e sulle regole ma prive di sentimento, tutto questo si rivela senza senso e rende il momento del trapasso ancora più doloroso.
In conclusione quindi, questa opera breve di Tolstoj può darci la possibilità di fare una riflessione scomoda e crudele ma anche credibile e, forse, necessaria.
“Gli venne in mente ciò che fino ad allora gli era parsa una totale assurdità, quella di aver vissuto la vita in modo sbagliato. Vide che questa poteva essere la verità. Gli venne in mente che i suoi timidissimi tentativi di ribellione contro ciò che la gente dell’alta società considerava buono, tentativi appena abbozzati, ch’egli si era sempre affrettato a reprimere, potevano essere quelli autentici, e tutto il resto, errore. Il suo lavoro, il suo modo di vivere, la sua famiglia, i suoi interessi mondani e professionali, tutto poteva essere stato un errore.”