Dettagli Recensione
Tanti amori quanti cuori
"Anna Karenina" è stato il libro di svolta nella mia vita da lettrice. Come in una stazione di cambio, imbattendomi nella scrittura di Tolstoj ho intrapreso la lettura dei classici e in generale la lettura della buona letteratura. Mi facevano paura, li consideravo noiosi, preferivo Dan Brown a qualsiasi autore classico (con rispetto parlando di Brown che mi ha intrattenuta con piacere nei suoi libri) e che cosa mi perdevo. Infatti poi ho subito recuperato una buona parte di loro, e ora, dopo sei anni, all'improvviso ho sentito una gran nostalgia di questo mio primo amore. Ho ritrovato, con la rilettura, un'opera ancor più monumentale da come me la ricordavo e ora posso affermare che è uno dei libri più belli che ho mai letto e il mio preferito in assoluto di Tolstoj.
Un classico è un libro che non smette mai di dire quel che ha da dire e questa regola calza alla perfezione ad "Anna Karenina" e sono certa che, se ora lo ricomincerei a leggere per la terza volta, a fine lettura, avrò scoperto una nuova meraviglia e il libro mi avrà trasmesso una nuova freschezza. Infatti, nel futuro non escludo di farlo. Cosa ho scoperto ora? Innanzitutto ho scoperto di amare Anna, di comprenderla, di provare empatia verso di lei, e di odiare Levin, che prima avevo amato. Levin il bigotto, il moralista, il geloso e il misogino, mille volte meglio Vronskij, ed infatti è il più ambito tra le donne e Levin in fin dei conti, una seconda scelta per quanto gli si voglia dar profondità di sentimento a Kitty. Ho amato la struttura complessa del libro alla quale ho potuto prestare attenzione, tutti i presagi che accompagnano i capitoli portando all'epilogo finale, le magnifiche descrizioni sia rurale che cittadine, la complessità dei personaggi, che subiscono mutamenti, tranne Stiva che rimane il solito perditempo fedifrago ma con una sua onesta e dignità - in effetti non mi è dispiaciuto come personaggio, un buon amico che mantiene viva la festa. E Anna! Il personaggio principale -si fa per dire - che prima avevo odiato, ora ho amato follemente e se è stata abbandonata da tutti, incompresa, in me, lettore, ha trovato appoggio, compassione, perdono e tenerezza. Tolstoj ha tratteggiato questa figura in un modo così vivido e superbo che per me è decisamente, assieme a Edmond Dantes, il personaggio più affascinante della letteratura che ho letto fino ad ora. La contraddistingue eleganza, femminilità, amore materno, intelligenza, civetteria, passionalità e dedizione totale all'amante: alzo le mani davanti a lei e all'autore così bravo nel far ciò. Il suo monologo interiore nella scena che precede la sua fine, intriso di cinismo, disillusione, follia, disperazione e desiderio cieco di vendetta è stato per me il punto culmine dell'intera lettura e l'ho trovato molto moderno, quasi un flusso di coscienza perché i pensieri erano spezzati da altri come l'osservazione di una insegna o di un passante o di altro ancora.
Ho notato anche le sue varie idee comuni con altri libri come per esempio "Suonata a Kreutzer" e "La Confessione" - soprattutto per la parte finale dedicata a Levin e alla sua domanda sull'esistenza. Devo dire che la presenza di Levin l'ho trovata abbastanza ingombrante nel libro questa volta, seppur funzionale alla storia e al messaggio di Tolstoj, infatti Tolstoj è Levin e non Anna, che alla fine condanna, perché per quanto moderno rimane pur sempre un moralista di prim'ordine. Un libro cult per me che non smetterò mai di consigliare e che è impossibile non piacere.
"Ed ella aprì lo sportello. La tempesta e il vento le si precipitarono incontro e litigarono con lei per lo sportello. Il vento pareva che aspettasse soltanto lei: cominciò a fischiare gioiosamente e voleva prenderla e portarla via, ma ella con una mano si aggrappò a una fredda colonnina e, trattenendo il fazzoletto, scese sulla banchina e passò dietro la vettura. Il vento era forte sulla scaletta ma sulla banchina dietro alle vetture c'era calma. Con delizia, a pieni polmoni, ella spirava la nevosa aria gelata e, stando ritta accanto alla vettura esaminava la banchina e la stazione illuminata."
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Un libro letto e riletto. Grande romanzo, benché mi sia reso conto in rilettura di non entrare in alcuna empatia co Anna. Ne ho notato soprattutto i limiti, il suo doppiogiochismo verso la cognata amareggiata per il comportamento del marito, fratello di Anna. Un finale tragico per punire l'amante.
L'autore l'ha dotata solo di un fascino superficiale,. Evidentemente non gli piaceva. Nori in "I russi sono matti" recupera stralci di lettere dello scrittore che aiutano ad individuare quanto non vedeva l'ora di togliersi dai piedi la scrittura di questo romanzo.