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Il Tartufo maritato
LA SCUOLA DELLE MOGLI: no, non la commedia di Molière del 1662, ma il romanzo di ANDRÉ GIDE del 1929 ! (fuori catalogo in Italia)
DUE PAROLE PER INQUADRARE L’AUTORE. André Gide è uno di quegli scrittori che si definiscono “a cavallo tra l’800 e il 900”: nasce nel 1869 (Marcel Proust nasce due anni dopo) e muore nel 1951, cioè nasce quando Baudelaire è ancora in vita e muore avendo visto anche il secondo dopoguerra. La sua generazione precede dunque immediatamente quella di Albert Camus e di Jean-Paul Sartre. Gide conta tra i più importanti intellettuali francesi (Premio Nobel per la letteratura nel 1947) ma anche tra i più discussi (“sulfureux”, direbbe un francese) per aver combattuto contro tutti i tabù relativi alla sessualità, in particolare difendendo l’omosessualità. Ma non solo. Confesso che come prof solo una volta ho avuto il coraggio di far leggere alcune sue pagine in cui era chiaro il riferimento alla pederastia del protagonista (nell’Immoralista, del 1902). E d’altra parte se come prof di italiano parlassi ai miei allievi di Pasolini, farei fatica a far leggere loro Petrolio. Comunque, a prescindere da questo aspetto, di Gide secondo me si devono apprezzare almeno tre cose: l’aver tirato fuori la letteratura dalla palude del decadentismo iniettandole una buona dose di provocazione, la straordinaria acutezza dell’analisi psicologica, l’originalità di alcuni romanzi (penso a I sotterranei/ le segrete del Vaticano e a I falsari).
STRUTTURA DEL ROMANZO (è meno complicato di quanto non sembri leggendo quanto segue). L’opera consta di TRE PARTI: “La scuola delle mogli”, “Robert”, “Geneviève o la confidenza incompiuta” (incompleta/ parziale).
Come mai sono tre? Perchè come fa quasi sempre, Gide gioca col lettore, e d’altra parte non siamo più ai tempi per esempio di Zola, ma di “Ceci n’est pas une pipe” ...
1a parte. Gide finge di pubblicare il diario di una donna ormai scomparsa, scritto in due diversi momenti della sua vita (durante il fidanzamento e vent’anni dopo il matrimonio ...), diario inviatogli anonimamente dalla figlia che gli chiede di pubblicarlo casomai “possa essere profittevole per qualche giovane donna” e anche gliene suggerisce il titolo.
2a parte. Gide mostra il gioco di finzione (“Ceci n’est pas une pipe”) riportando la richiesta (vera? falsa?) dell’amico Ernest Robert Curtius di scrivere la “memoria” in cui il vedovo Robert (che peraltro si è risposato una volta scaduto il tempo del lutto ...) si difende dalle critiche contenute nel diario della moglie, che egli chiama Eveline.
3a parte. Gide finge infine di aver ricevuto e di pubblicare “l’inizio di una narrazione (un récit) in qualche modo complementare” inviatogli come manoscritto in un secondo momento sempre dalla stessa giovane donna di cui sopra, che dice a Gide di chiamarla Ginevra, anche se non è il suo vero nome :)
TEMATICHE. Il riferimento alla commedia omonima di Molière contenuto nel titolo complessivo dell’opera, non è casuale, non solo perché due secoli prima Molière ha reso ridicoli gli uomini che volevano dominare le donne imprigionandole nel cerchio della vita famigliare, così come pretenderebbe “Robert”, ma anche e soprattutto perchè Molière nelle sue commedie più impegnate ha stigmatizzato un certo atteggiamento mentale: quello dei Tartuffe e delle Arsinoé, che noi chiamiamo “sepolcri imbiancati” o“farisei”, e Robert ne è un esempio, come la sua fidanzata Eveline comprende troppo tardi per evitare il matrimonio. QUA FINISCE QUEL CHE HANNO IN COMUNE I DUE AUTORI.
Nella prima parte, intitolata - ripeto - “La scuola delle mogli” -, cioè nel diario di Eveline, ma anche nella terza, il manoscritto incompiuto di Ginevra, dove però c’è anche altro, come dirò, Gide fa quel che ha già fatto in altri due suoi brevi romanzi, La porta stretta (1909) e La sinfonia pastorale (1919), cioè CRITICA LA MORALE DEL DOVERE FINE A SE STESSO. Però, mentre nei due romanzi citati, che volgono in tragedia, Gide mostra che il dovere “puro”, quello che rinnega la vita, porta all’infelicità e persino alla colpa, ne “La scuola delle mogli” egli indica la via che da una morale di sacrificio alla fin fine inutile oltre che frustrante, conduce ad una morale che è libertà, libertà anche nell’impegno per gli altri (Eveline lascia infine il marito e va al fronte come infermiera). A chi conosce I sotterranei del Vaticano faccio notare a quest’ultimo proposito che siamo ben lontani dall’”atto gratuito” di Lafcadio.
SE VOGLIAMO CONFRONTARE EVELINE CON QUALCHE ALTRO PERSONAGGIO FEMMINILE CELEBRE, direi che è agli antipodi di Emma Bovary, che vede la realtà attraverso la lente dei suoi desideri, mentre assomiglia moltissimo, per tensione morale e capacità di autoanalisi, alla PROTAGONISTA DEL ROMANZO “LA PRINCIPESSA DI CLÈVES” di Madame de La Fayette (1678), la quale sa scandagliare il suo cuore e ha forza morale sufficiente per rinunciare alla felicità (amorosa): sul diritto alla felicità fa prevalere il dovere morale di non tradire la “fede data”, cioè la fiducia del marito, uomo innamorato e del tutto meritevole di amore (ma al cuor non si comanda ...), e poi, essendo il marito morto di crepacuore sapendosi non amato, ha orrore di godere dei vantaggi della colpa. Tutto sommato, per fortuna Eveline ha un gioco più facile avendo un marito non degno di lei … :)
Nella seconda parte, “Robert”, Gide in fondo non va molto oltre Molière: di “Robert” dico solo che è un Tartuffe moderno, fustigato a sangue dall’autore, che dissemina sapientemente lo scritto del suo personaggio di piccoli indizi che ne smascherano la sostanziale insipienza morale.
Nella terza parte, infine, “Ginevra o la confidenza incompiuta”, che contiene bellissime pagine sulla confusione dell’adolescenza (però forse le ultime trenta pagine sono un po’ troppo didascaliche), Gide pone una questione di gran lunga in anticipo sui suoi tempi: per la giovane “Ginevra” non è ormai più questione di sottomettersi o non sottomettersi ad un uomo, marito o padre che sia, bensì di avere un figlio al di fuori dal matrimonio. E perché? Perchè non sono gli uomini che la attraggono. Così perlomeno si intuisce dalla sua “confidenza incompiuta”.
Tengo molto a precisare che nell’affrontare temi relativi al sesso Gide non è mai ammiccante: i suoi personaggi “positivi”, quali appunto Ginevra, non sono certo caratterizzati da “pruderie”, ma si analizzano, ragionano, sentono, sfidano. Insomma sono persone morali :)