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La forza della distruzione
“L'uomo è in grado di capire tutto, come vibra l'etere e che cosa avviene sul sole, ma non capirà mai che un altro uomo possa soffiarsi il naso in un modo diverso dal suo”.
Si parla, si discute, si litiga, ma a volte è proprio difficile comprendersi davvero. Soprattutto quando l’età e l’esperienza ti fanno guardare il mondo da prospettive così diverse. Soprattutto tra padri e figli.
Nella Russia del 1859, in un momento di grande fermento politico e intellettuale, queste divergenze si fanno ancora più nette.
I padri sono uomini di una certa età, ancorati ai valori tradizionali e alle convenzioni sociali, uomini buoni e onesti, magari, ma in fondo incapaci di pensare e mettere in atto veri e propri cambiamenti.
Il compito di guardare le cose in modo nuovo e tentare di rinnovare il mondo è, in fondo, da sempre, appannaggio dei figli. A loro la spavalderia e l’energia della giovinezza. A loro il pragmatismo di chi si fa beffe di ideali e sentimentalismi. A loro il rifiuto di dogmi e antichi princìpi: il nichilismo. Ma questa forza distruttrice sarà adatta per costruire qualcosa di nuovo e rispondere alle istanze di riforma della società russa?
Quello che Turgenev mette in scena e fa vibrare attraverso dialoghi mirabili è proprio il conflitto tra figure emblematiche che rappresentano due generazioni, due modi di pensare, due pezzi di storia russa. E se, da un lato, i padri vengono quasi ridicolizzati per la loro inettitudine, i loro vezzi d’altri tempi, i rigidi simulacri in cui ingabbiano la realtà, sarà proprio il loro amore semplice e incondizionato a riempire di tenerezza le pagine, rivelandosi l’unico mezzo capace di cucire la distanza, anche nell’incomprensione. E ai figli, con tutta la loro superiorità intellettuale e il loro scetticismo beffardo, non rimane che piegarsi ai princìpi innegabili della vita, lasciando che quei tanto negati sentimenti corrodano l’armatura ideologica, scoprendo la carne di ragazzi che, in fondo, stanno solo cercando il proprio posto nel mondo.
“Il posto che occupo è infinitamente piccolo se si paragona a tutto lo spazio dove io non sono e non sarò mai... E la porzione di tempo in cui mi è dato di vivere è così insignificante rispetto all'eternità in cui non ho vissuto e non vivrò mai. E in questo atomo, in questo punto matematico, circola il sangue, lavora il cervello, nascono i desideri... Che orrore! Che assurdità!”
L'autore riesce a tenere salde le redini di un romanzo in cui tematiche storico-sociali si intrecciano ad altre più psicologiche, legate all’osservazione e all’indagine dell’animo umano, tratteggiato attraverso una serie di personaggi vivi ed affascinanti, colti con le loro imperfezioni, le loro contraddizioni irrisolte, i loro segreti. E forse la grandezza di questa lettura sta proprio in questo, in una complessità che non si lascia del tutto svelare.
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Un ritratto di un'epoca di cambiamenti. negli ambienti universitari si diffonde il nichilismo, di cui Bazarov è esponente e vittima.
Dieci anni dopo, Dostoevskij pubblica "I demoni" : frange del nichilismo sono già sfociate nel terrorismo.
L'aridità affettiva di Bazarov , votata alla morte, contrasta con il poco ideologizzato e più insicuro suo amico, che invece è destinato a perpetuare la famiglia, la vita. Mi pare 'la morale della favola' che Turgenev ha voluto imprimere alla conclusione del romanzo.
Un abbraccio,
Manu
Grazie mille,
Manuela
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