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Sulle tracce dei primi pìcari
Deve essere stato forgiato di una magia tutta particolare questo “Lazarillo de Tormes” per risultare ancora oggi, al lettore moderno, così scorrevole e libidinosamente smaliziato. Pubblicato da un anonimo autore alla metà del ‘500, e subito diffuso in diverse stampe e forme come nelle più classiche storie della letteratura d’intrattenimento, il Lazarillo sdogana da subito i pomposi topoi dell’epica e della lirica alta per approdare, con inesauribile disinvoltura, a narrare la vita della gente umile, quella che si arrabatta per strada giorno dopo giorno per vivere, tra una piccola truffa e un piccolo raggiro e consegnandoci così i prodromi di quello che diverrà, dopo almeno un altro paio di secoli, il romanzo realista. Il contenuto sardonico, brioso ma tutto sommato povero, così rapido e asciutto nel suo trapassare di scena in scena, non deve trarre in inganno: l’autore del Lazarillo è abbastanza raffinato, tanto da dissimulare il libello nella forma di una lettera indirizzata a un mittente non meglio specificato, allo scopo di spiegare un particolare “caso” di cui non è dato sapere nulla. Il gioco dell’autore è quello della falsificazione, non della finzione e in effetti in tutte le scene del romanzo il giovane Lazarillo impara a falsificare: prima al seguito di un cieco tirchio, verso cui escogita ogni tipo di stratagemma per ottenere qualcosa da mangiare, poi presso la casa di un chierico ancora più tirchio, sempre sul filo della fame e così via in altre avventure che lo porteranno ad ottenere un posto nell’apparato amministrativo dello Stato. L’ascesa sociale di Lazarillo è certo l’occasione per mettere alla berlina i truffaldini personaggi degli strati sociali più bassi, quelli in genere dimenticati e che da lì a qualche anno saranno meravigliosamente rappresentati da Caravaggio o El Greco, per smascherare le ipocrisie sociali e uno Stato che latita mentre i nuovi arrivisti proliferano, eppure si farebbe torto a voler fare del Lazarillo un manifesto di denuncia sociale, perché tutto in questo romanzo ha la lentezza placida delle lunghe giornate spagnole, il calore sincero del sole madrileno, la spontaneità del carattere iberico e tutto plana con grazia sulla storia per approdare divertiti e soddisfatti al finale. In verità nel Lazarillo si possono apprezzare nel piccolo le strade che prenderà il romanzo, con i suoi intrecci, le sue avventure, i suoi intrighi, sempre però corretto dal dolce e intelligente sorriso del disincanto.
Pungente, senza mai essere cinico, scabro senza mai essere rude, l’autore del Lazarillo sembra sapere che in fondo la vita va presa in tutta la sua multiforme inconsistenza, con un velo di malinconia e un sorriso aperto. Il vero scarto del Lazarillo, il suo essere così moderno è proprio in questo: l’umile non è solo funzionale al ribaltamento di modelli alti (come poteva essere il Satyricon di Petronio), ma anzi l’umile diventa degno di essere rappresentato nella sua vivida concretezza, lontano da modelli antichi e sempre più proiettato al tempo futuro.
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