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La vita, a volte, è una prigione
A Starkfield, un villaggio del Massachussetts occidentale, è pieno inverno. La neve sommerge il paesaggio e i cieli pallidi e indifferenti contemplano la vita, o piuttosto, la sua esatta negazione, delle creature che qui trascorrono i loro giorni.
Fra gli abitanti di Satrkfield emerge la figura di un uomo, da cui traspare un’insolita forza unita ad una profonda tristezza: Ethan Frome.
“ Sembrava parte di quel paesaggio muto e malinconico, un’incarnazione del suo gelido dolore, con tutto quel che di caloroso e sensibile c’era in lui ben sepolto sotto la superficie; il suo silenzio però non aveva niente di ostile. Sentivo solo che viveva chiuso in un isolamento morale troppo radicato per poterlo scalfire per caso, e avevo l’impressione che quella solitudine non fosse soltanto il risultato della sua situazione personale, per quanto tragica, ma che celasse in sé, come aveva lasciato intuire Harmon Grow, il freddo profondo accumulato in tutti quegli inverni passati a Starkfield.”
Quale terribile storia si nasconde dietro la sovrumana sopportazione di questo strano personaggio?
Attraverso una narrazione elegante e allo stesso tempo struggente, in cui la malinconia del paesaggio invernale di Starkfield diventa lo specchio del ghiaccio che ha ricoperto l’anima del protagonista, Edith Wharton costruisce un breve romanzo intenso ed inquietante.
Ethan è un uomo buono, onesto; una persona solida ed introversa ma che ricerca l’affetto e la compagnia dei propri simili. Sarà proprio questo bisogno di sfuggire alla solitudine che lo porterà, molto giovane, a commettere un grave errore: sposare la donna sbagliata.
Ma è giusto continuare a vivere in una gabbia formata da sbarre di dovere e responsabilità? E quando si presenta invece la felicità davanti a te sotto forma di un nuovo amore, dolce, sincero ed appassionato, che dà un senso allo scorrere del tempo, cosa si può fare? Cedere al desiderio oppure rimanere intrappolati per sempre in una situazione angosciante?
“La cruda realtà dei fatti gli si chiuse intorno e si sentì come un ergastolano che viene ammanettato dal secondino. Non c’era via d’uscita… nessuna. Era prigioniero a vita, e il suo unico raggio di sole stava per spegnersi.”
Il meccanismo narrativo di “Ethan Frome” vi terrà in sospeso fino alla fine, quando la vicenda esploderà e vi ritroverete davanti ad un finale che avevate previsto, ma forse non del tutto.
Perché veramente, a volte, la vita è una prigione.
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Commenti
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Cerco fra i suoi libri, me mi paiono sempre più numerosi, vicende più lievi. Graditi i suggerimenti.
Un caro saluto.
Manuela
Certo, anche in Haruf spesso la vita è una prigione... io ho appena finito "Michael mio" di Amos Oz, stessa storia, anche se più delicata e malinconica che opprimente e sconvolgente come questa. È un periodo che ricerco queste letture, ogni periodo richiede le sue letture, c'è poco da fare...
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