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La disfatta dei fatti
"Tempi difficili" è una storia familiare, nella quale Dickens va ad inserire anche elementi tipici del romanzo urbano, nonché diverse riflessioni sulla condizione lavorativa degli operai proletari nell'Inghilterra industriale di metà Ottocento. Questo ha portato molti suoi contemporanei a bollare l'opera come "socialista" nonostante, pur avendo tra i protagonisti alcuni umili lavoratori, il romanzo rimanga sempre incentrato sulla classe borghese ed i giudizi sui personaggi riguardino la loro morale e non la posizione sociale.
Al centro della vicenda vediamo la famiglia Gradgrind, mentre il resto del cast è impegnato costantemente ad orbitare attorno a loro e le loro vicende. Il capofamiglia Thomas è un glorificatore dei Fatti, qui opposti all'immaginazione e alla creatività; in casa Gradgrind tutto segue la logica ed il ragionamento, tanto che i Fatti arrivano ad essere equiparati a delle divinità,
«Non che essi [i figli di Gradgrind, NdR], per esperienza personale o per sentito dire, sapessero alcunché sugli orchi. Il Fatto ce ne scampi!»
e lo stesso metodo educativo viene esteso a tutti i ragazzi della scuola gestita dall'uomo. Nel corso della storia, anche grazie al confronto con gli altri personaggi, ed in particolare la figlia maggiore Louisa,
«-[...] Siete sempre stato così attento con me, che non sono mai stati bambina. M'avete educato così bene che non ho mai sognato quel che sognano gli altri bambini.»
Thomas arriverà a capire come i Fatti non siano sufficienti per formare il carattere di un individuo adulto. Pur essendo il tema centrale del volume, questa analisi verrà affiancata sulla pagina da personaggi ed eventi estranei; ad esempio, da metà libro in poi si inserisce una sottotrama mistery che pian piano acquisisce un ruolo molto importante per la risoluzione finale.
Per caratterizzare i suoi personaggi, Dickens ricorre come sempre alla satira. Ad eccezione di quelli che potremmo definire gli eroi della storia -ossia le tre protagoniste femminili, Louisa, Sissy e Rachael, più lo sventurato Stephen- il cast è comporto da personaggi quasi comici, per il loro aspetto e per l'esasperazione dei tratti caratteriali. Abbiamo il circense Sleary che confonde le lettere mentre parla ed il sindacalista Slackbridge, pronto a far leva sul malcontento dei lavoratori, dipinti come facilmente influenzabili,
«Si udirono poche voci gridare con fermezza [...] "Slackbridge, ti sei scaldato troppo! Corri troppo!" Ma erano un gruppo sparuto di fronte a un esercito.»
e ad indirizzarlo verso chiunque ritenga un avversario alla sua portata, che si tratti dell'innocente Blackpool o di Bounderby, forse ben più meritevole dell'astio dei suoi dipendenti. E proprio con quest'ultimo che l'autore arriva a parodiare se stesso, superandosi; presentato come un ricco imprenditore, Bounderby svilisce continuamente il suo passato, raccontando storie al limite del surreale,
«-Non avevo scarpe ai piedi, e le calze, poi, non le conoscevo neppure per nome. Ho passato la giornata in un fosso e la notte in un porcile: ecco come ho festeggiato il mio decimo compleanno.»
storie che però non sembrano tanto fantasiose ai lettori di Dickens che personaggi simili li hanno già incontrati nei suoi libri.
Oltre al cast, la forza del romanzo deriva senza dubbio dalla ricercatezza delle descrizioni, specialmente quelle dei luoghi all'interno e nei pressi della città fittizia di Coketown.
«I palazzi fatati si illuminarono ad un tratto prima che la pallida luce del mattino rivelasse i mostruosi serpenti di fumo che si snodavano sopra Coketown.»
Una città fatta di squallidi appartamentucoli ed industrie inquinanti, tanto che anche nelle giornate di bel tempo i raggi solari faticano a farsi strada attraverso la cappa di fumo che intrappola l'abitato.
Per quanto evocative, le descrizioni di Dickens sono state spesso tacciate di pressapochismo, in quanto lui non conosceva direttamente la vita delle realtà industriali nel nord dell'Inghilterra, ma personalmente credo che questo romanzo non ne risenta affatto, perché le fantasiose metafore colmano il divario tra realismo e capacità trasmettere l'immagine desiderata.
Trovo anche che la critica al presunto socialismo del romanzo, successivamente accantonata, avesse una sua ragion d'essere, anche se in un'ottica positiva. Infatti è Sissy, personaggio molto positivo nella storia, ad esprimere al meglio alcune riflessioni contrarie al sistema capitalista,
«-[...] Ho pensato che non potevo decidere se era una nazione ricca o povera e se io ero in un condizione di prosperità o no, se prima non sapevo chi aveva quei soldi e se a me ne veniva una parte.»
in contrapposizione agli sproloqui inconcludenti di Slackbridge; penso che ciò diventi ancor più significativo una volta letto il lieto fine concesso da Dickens alla ragazza.
L'edizione Einaudi -che ho acquistato per rimpiazzare quella Newton Compton- può considerarsi promossa: nel testo ci sono alcuni piccoli errori (date un'occhiata anche alla data di morte dell'autore in quarta di copertina!) e l'introduzione non è tra le più lineari, ma la traduzione risulta scorrevole e reputo ottima l'idea di inserire il saggio di George Orwell a fine volume, chiaro e apprezzabile anche da chi non conosce l'intera opera dickensiana.
NB: Libro letto nell'edizione Einaudi