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Tragedie senza alternative
Ultimo romanzo di Hardy, per la critica il più importante e rappresentativo dell’autore insieme a Tess dei D’Urberville. Un’opera che fece scalpore all’epoca della pubblicazione (era il 1896) e che un vescovo bruciò appena dato alle stampe, perché contenente idee contrarie alla morale religiosa.
Jude Fawley, orfano, cresciuto dalla zia che non fa altro che ripetergli che sarebbe stato meglio che non fosse mai nato, perché povero e perché sulla sua famiglia sembra incomba una maledizione che fa finire in tragedia ogni matrimonio, si mostra subito un sognatore di grande forza di volontà e puro di cuore, sensibile all’arte e verso la natura.
L’epiteto di ‘oscuro’ potrebbe far pensare ad un uomo fosco, dall’indole inquieta e inquietante, in realtà è oscuro perché troppo umano, per amore rinuncia ai suoi sogni di diventare un uomo colto ed erudito, arrivando a ignorare le convenzioni ipocrite della morale cristiana, all’ombra della quale era cresciuto.
È vero che la povertà gli avrebbe di per sè già impedito di iscriversi all’Università, nonostante il lodevole impegno di dedicare le ore del sonno agli studi da autodidatta, dopo una dura giornata di lavoro manuale, ma fondamentalmente due sono i grandi impedimenti alla realizzazione dei suoi sogni. Due impedimenti, due donne: Arabella, un amore immaturo, convolato frettolosamente a nozze, un passo falso commesso in gioventù , e Sue, un sentimento più forte e maturo, sua cugina, delicata e sensibile.
Gli oscuri natali di Jude rimandano sicuramente alle celebri opere di Charles Dickens e di George Eliot, ma il resto del libro ricorda il libro di Giobbe, più volte citato nel romanzo. Stavolta, rispetto ai primi romanzi di Hardy, che ho letto quasi tutti, manca il gusto gotico per l’ambientazione e storia, tipicamente vittoriano e le continue citazioni bibliche, qui ridotte sensibilmente.
Rimangono alcuni residui però delle tradizioni popolari, ad esempio nella credenza dell’elisir d’amore, come quello che Arabella si procura per riconquistare di nuovo Jude, e l’attenzione per i umili lavori manuali, i mercati, le fiere, i reperti archeologici del Wessex, ora Dorset, l’eterno palcoscenico di quasi tutti i romanzi hardiani.
Interessante, affascinante la storia di Jude, le sue vicissitudini dall’infanzia alla fine. Dinamico il personaggio di Sue, che non riconosce nel matrimonio la legittimazione dell’amore e soprattutto “la sistemazione” di una donna emancipata e teme che il sesso possa far sfiorire l’intensità dell’amore; grottesca la rozza e sensuale Arabella, prima moglie di Jude, che passa da un uomo all’altro.
Un libro che, con qualche taglio - sappiamo che l’autore ne fece già parecchi a causa della pruderie della società del tempo- avrebbe meritato tutte le stelle che un grande classico merita. La storia triste di Jude, della fine delle sue aspirazioni, del suo amore per Sue, è una passeggiata a braccetto con la tragedia. Quasi tutti i libri di Hardy escludono l’idea positiva del progresso e di crescita, di ogni realizzazione personale nonostante gli immani sacrifici di chi nasce sfortunato. A questo punto sembra più che legittima l’affermazione di Tinker Taylor, un avventore di taverne ed ex negoziante di ferramenta per chiese, conosciuto da Jude:
“Siete sempre stato un appassionato dei libri, mi è parso di aver capito. Io ho sempre trovato che c’è da imparare più dalla vita che da un libro; e se non avessi agito in conformi alle mie idee, non sarei certo diventato l’uomo che sono”.
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